CUORE SACRO


































































     
     
     
     
 

     CUORE SACRO  [ 26-febbraio 2005 ]     





Ieri sera son andato a vedere "CUORE SACRO" di Ferzan Ozpetek.

Diversamente da altri film, stavolta, avevo evitato di leggere ogni tipo di commento o recensione. Volevo in realtà godermi questo evento, senza alcun tipo di condizionamento esterno. Forse perché sentivo, in modo sotterraneo, che sarebbe stato un film da assaporare con "sacralità": avendo una sorta di discrezione e al tempo stesso permettendogli di "esplodere dentro", come è giusto che accada per ogni buon film che voglia superare la soglia del "cinema d’evasione". E questo film, si può dire, che sia l’esatto opposto del "cinema d’evasione".


Finalmente Ozpetek ha scelto di "osare".

Ha avuto coraggio, quel coraggio che "devono" avere tutti i grandi registi, per essere e divenire "grandi". In realtà dopo il buon successo dei suoi film precedenti, finalmente se lo poteva permettere e se lo è permesso. Ha scelto una storia controcorrente. Ha imboccato la strada più difficile: fare un film sui bisogni della nostra "Anima"


Cos’è questo film?

A ben guardare è un film denuncia. E’ anche un "grido". Un grido contro il nostro attuale mondo e il nostro attuale modo di vivere, senza radici interiori.

E’ poi la cronaca di una crisi personale, di un prendere coscienza di quali, in realtà, sono le nostre esigenze più profonde.


La protagonista, per la vita che conduce e per il lavoro che fa, inizialmente ci appare "impermeabile", fredda, tutta calata negli investimenti della sua azienda immobiliare, (una categoria di aziende già di per sè, orrenda, basata com'è, su speculazioni di tutti i tipi), immersa nel ruolo di giovane donna in carriera. Cinica.  Fredda. Impersonale.
"Professionale" appunto! Questa parola che tante volte ricorre, nel nostro modo di esprimerci .

Come i mai dimenticati “polli d’allevamento” di Gaber, esibisce una mancanza di originalità e una corazza di buone maniere che ce la rendono familiare, ( sì, perché ne incontriamo davvero tante di ragazze cosi, tutte proiettate verso una meta assai vaga, come "il successo" in campo professonale) ma al tempo stesso distante.
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Distante per l’assoluta mancanza di passione umana.
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Ma la vita è sorpresa continua, e offre occasioni, spiragli fortuiti, per poter andare oltre la sua superficie.
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L’occasione per Irene, è l’incontro con una piccola ragazzina, ladra e bugiarda, ma animata da "qualcosa", che inizialmente Irene, pare non capire.
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Le appare come una creatura di un altro mondo. Non certo il mondo degli affari e nemmeno il mondo della piccola delinquenza.
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C'è in lei qualcosa che "sfugge".
Benny, la ragazzina-ladra che fugge costantemente, che appare e scompare, rappresenta l'elemento di "rottura".
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 Entra in modo fortuito nella vita di Irene. Ed è lì, a rappresentare con forza tragica,  l'irruzione dell'inquietudine, dell'insoddisfazione, in una vita apparentemente tranquilla e ben riuscita, come quella di una giovane imprenditrice.
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Benny è l’occasione per metterla di fronte ad "altro", al diverso, all'apparentemente "estraneo". L'Altro che vive ai margini della nostra società opulenta.Ma per farle incontrare anche l'altro  CUORE che vive dentro ognuno di noi.

Non a caso.. 
'' In ogni uomo ci sono due cuori, e uno eclissa l'altro. Se riusciamo a ritrovare la luce del cuore nascosto capiremmo che in noi c'e' un cuore sacro''.
[...]
"tutti abbiamo due cuori; non lo sappiamo perche' uno dei due cuori nasconde l'altro... se riuscissimo pero' a sentire i battiti del nostro cuore nascosto, allora la nostra vita comincerebbe a cambiare, perche' quello che non conosciamo e' un cuore sacro..."
[...]
"hai sentito i battiti del tuo cuore nascosto? il calore della sua luce?



 


E’ la scoperta che in noi esistono bisogni, esigenze profonde. Esiste a livello di anima, un “ secondo cuore” nascosto, segreto, timido e per lo più, sepolto.

Ma esiste. Ed è quello che ci mette in comunicazione con il resto dell’esistenza. Con i bisognosi, con i malati, con chi soffre. E' il canale che ci permette di vivere il dolore degli altri, come nostro, che ci fa sentire come, tutti quanti apparteniamo ad uno stesso "essere".
Non siamo separati da nessun’altro uomo o donna che sia. Siamo singole  gocce ma apparteniamo tutti all’oceano dell’Umanità.
Non appena riscopriamo le nostre radici profonde, non appena ritroviamo il senso di appartenenza a quell’ Essere Totale, ecco che la nostra vita è improvvisamente trasformata.

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E cosi avviene. Per Irene, cosi come per San Francesco, e per tutti i mistici di tutti i tempi. Il riscoprire le nostre vere radici di umanità, porta ad un’ebbrezza, ad una vertigine, ad un delirio. Cosi come avviene per la gocciolina che dal cielo cade nell’Oceano e si ricongiunge al Tutto.
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Penso ai volontari. A tutte le persone impegnate nelle associazioni umanitarie. Penso gli amici che lavorano per Unaltromondo onlus [http://www.unaltromondo.it/].
Penso alle due Simone e alla loro missione in Irak. Penso alla loro gioia interiore. Sono sicuro che provano esattamente questo: una grande immensa, gioia interiore. Nel dare, nel donare se stessi all’Umanità, riscoprono radici vere al loro interno e ritrovano il senso di comunione con l’Esistenza intera.

Ecco, questo film è quanto mai attuale, proprio perché sempre più persone si avvicinano al volontariato. Cos’è che li spinge? Ci sono ragioni esistenziali ma soprattutto c’è il senso di  "ritrovare un senso" in questo mondo, così vuoto e pieno di falsi miti.
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Del film, mi è piaciuto questo slancio, questo coraggio, questo impeto nello smascherare la cultura dominante del "carrierismo" e di contrapporgli una via interiore, una strada da costruire, dentro ciascuna persona. Facendo a meno di chiese e di religioni, ma puntando tutto sulla religione del tutto laica e non integralista della crescita personale.

Ovviamente ci sono anche cadute di tono nel film (che non è riuscito del tutto). Come la citazione troppo smaccata del Bacio della pantera (indimenticabile Nastassja Kinski in quel ruolo) e la scena  nella metropolitana troppo piena di rimandi allo "spogliarsi di tutto" di San Francesco.

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Film bello, a tratti intenso. Coinvolgente, almeno nella seconda parte. E poi la musica. La musica che come in tutti gli altri film di Ozpetek recita da protagonista.
Anche qui è magica, struggente a volte, ma sempre vibrante. Accompagna le scene come cucendo insieme le emozioni. Un grande Andrea Guerra [Rimini 1961, sì, sì è lui, il figlio di Tonino Guerra].
Andrea Guerra sta diventando un nuovo Ennio Morricone. Dopo "Le fate ignoranti", "Io no", "Prendimi l’anima", "La finestra di fronte", "Che ne sarà di noi", "Conoscete Claudia", si conferma in grande crescita. Un compositore che rinnova la lunga tradizione del  Cinema italiano

Barbara Bobulova è straordinaria e davvero convincente. Il suo stile è fatto di discrezione, di gesti appena accennati, estrema precisione ma è dotata di grande incisività. Da notare come rispetto alla prima parte del film, Irene, pare ringiovanire, pare trasformarsi, come se emergesse per davvero, anche a livello visivo la sua anima. Dalle prime scene in cui appare truccata e formale, si va verso una mutazione graduale. Appare via via, più minuta, più sofferta e scavata, ma al tempo stesso, sempre più “ vera” e viva.

In questo senso, la scena in piscina, di lei aggrappata al tronco del pino, resta impressa in modo potente, perché sembra trasfigurata, tanto che il suo viso, eliminato l’effetto del trucco e dei capelli, ( merito dei capelli bagnati sicuramente) assume tratti essenziali. Un volto trasfigurato appunto, e nel pianto, un volto quasi da bambina. Bravo il regista a mettere in risalto il suo sguardo cosi intenso

Resta da citare Benny Comencini (figlia d’arte) per il bel personaggio che incarna, che lascia come una scia luminosa nella memoria dello spettatore.
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Bel film anche se in certi momenti confuso, volendo essere tante cose allo stesso tempo.
Curioso però, come all’uscita, tante persone non siano subito li a commentare o a dire cose sul film.

Percepita come una “suspence” nell’aria, di chi usciva dalla sala.
Come se tutti, uscissero con il bisogno di un attimo di pausa, con il bisogno di riprendersi e di  "rifare i conti dentro se stessi". Ottimo segnale per un film. Lasciare il segno.


Cuore sacro appartiene al filone  dei film che piacciono a me

 
     
     
 

[  k  ]


 
     
     
     
     



             



Commenti

  1. E a me, che adoro Ferzan Ozpetec ( ma anche certi film di Pupi Avati)
    Sto leggendo il tuo blog ab ovo, è un bel pezzo che non mi capitava

    RispondiElimina

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