Durante una passeggiata con un amico, il pittore Paul Cézanne disse: “Un artista deve fare la sua opera come un mandorlo fa i suoi fiori, come una lumaca la sua bava”.
Il suo massimo sforzo doveva sembrare all’esterno la cosa più naturale. Passava i suoi tocchi di pennello da destra a sinistra, era così concentrato sul colore che gli sembrava di avere gli occhi inchiodati:
“Non posso strapparli di lì. Sono così incollati nel punto in cui guardo che mi sembra che stiano sanguinando”.
Non ebbe maestri. Da vecchio i bambini gli tiravano sassi dietro. Fu un uomo robusto. Gli piaceva questa frase dell’Émile di Rousseau: “Bisogna che il corpo abbia vigore per obbedire all’anima: un buon servo dev’essere robusto. Più il corpo è debole e più comanda; più è forte e più obbedisce.
Un corpo debole indebolisce l’anima”.
In età anziana, a un critico che gli esprimeva entusiasmo davanti ai suoi quadri, prese la mano con aria grave e disse: “Sono un semplice, non mi si devono fare dei complimenti, mentire per educazione”. Il critico rispose che quello era il suo pensiero e gli spiaceva di averlo detto male. Allora, certo della sincerità, Cézanne pianse. Morì dopo essersi esposto a un temporale in campagna, per dipingerla.
Ci sono opere che hanno bisogno di costringere a queste vite.
Rilke scrisse di lui:
“Il grigio non esisteva come colore, lui scavava sotto e scopriva il violetto o il blu, il rosso o il verde”.
Si possa anche noi essere un poco artisti per raschiare il grigio ed estrarne il giacimento di colori.
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