OGNI COSA E' ILLUMINATA











Ogni cosa è illuminata
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«L´uomo mortale, Leucò,.non ha che questo d´immortale.
 Il ricordo che porta e il ricordo che lascia»


[ C.Pavese, Dialoghi con Leucò ]
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Sabato 19 novembre, sono stato a vedere il film Ogni cosa è illuminata”.

La dritta mi era arrivata da un’amica che aveva avuto la fortuna di vederlo al Festival di Venezia ai primi di settembre. Ero curioso in modo particolare, come mi capita ogni volta che vedo un film tratto da un libro.

In questo caso, il libro [si tratta dell’omonimo  “Everything is illuminated” di Jonathan Safran Foer uscito nel 2002 Ed. Guanda] è stato un vero caso letterario.

Il suo autore, esordiente, un ragazzo venticinquenne di New york, ha stupito davvero tutti, per lo stile, l'ironia e la padronanza di temi difficili come l’Olocausto, la memoria storica e individuale, la responsabilità di ciascuno davanti al Male.
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Premetto che non avevo letto il libro, ma ne avevo solo sentito parlare. Il film mi ha catturato inizialmente per l’ironica sfrontatezza di tutta la prima parte del racconto.
Inoltre, la figura di uno dei due protagonisti, Jonathan, un ragazzo di origine ebrea che vive ai giorni nostri a New York, appare fin da subito, caricarsi di un valore simbolico, in quel suo essere "un archeologo" del passato prossimo, in quel suo andare a caccia di frammenti del passato, in quel suo essere collezionista di spicchi di realtà che si affretta a riporre  in bustine trasparenti e ad etichettare con data e luogo per poi appenderli alla parete della sua camera.
Nel film in realtà chi recita il ruolo di  Jonathan,  sono i grandi occhi liquidi, silenziosi e stupiti  dell’attore Elijah Wood  (già nel “Signore degli anelli”),   dilatati all’inverosimile dalle lenti degli occhiali.
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La storia prende il via proprio da questo desiderio di ritrovare la donna che permise al nonno di salvarsi dalla minaccia nazista. E da lì inizia il road-movie più strano, surreale,  scanzonato che si posso immaginare .
Il merito è dell’incontro con l’altro protagonista del film, Alex, un ragazzo ucraino sopra le righe in tutto, con il mito degli Usa e dell’hip-hop («Più di tutto sconfinfero i film americani, le auto forzute e i negri»)
Il personaggio di Alex  dona al film una leggerezza e una effervescenza di dialoghi, davvero ammirevole. Alex appartiene ad una famiglia ucraina che si presta a fare da guida agli ebrei che giungono dall’America alla ricerca di frammenti del proprio passato. Egli  finisce quindi per fare da interprete a Jonathan (subito storpiato in  Jonfen”) e l’accompagna, insieme a suo nonno, (un finto cieco che guida perfettamente, dietro spessi e imperscrutabili occhiali neri)  e alla cagnetta psicopatica Sammy Davis junior junior ( una cagnetta
«mentalmente degenerata»)
, alla ricerca d’una donna che spera di trovare  con l’aiuto di una sola foto:quella del nonno ritratto ai tempi della Seconda guerra mondiale.
Prende avvio, così, un viaggio su di una  scassatissima pseudo-Trabant d’annata, che sarà allo stesso tempo, di ricerca e d’iniziazione, rivelatore per ognuno di loro.

E’ un percorso surreale, al limite dell’onirico, e insieme tragico e comico. E’ un viaggio in cui emerge il passato e torna il tema della Shoa, ma in cui si sviluppa soprattutto il rapporto tra i due giovani, che nonostante culture diverse, trovano numerosi punti di contatto e la stima reciproca.
E’ cosi che  ha cominciamento una ricerca molto rigida ”.
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Devo ammettere di avere trovato molto intenso, tutto il racconto e di essere stato colpito dal tono alto e delicato insieme, che viene mantenuto per tutta la durata del film.
Non ci sono cadute o rallentamenti:il tutto scorre magnificamente e tiene altissima l’attenzione dello spettatore, coinvolto pure lui in questo viaggio di scoperta.


Il tema profondo, sottostante a tutta la storia, è l’importanza della memoria e delle "radici", sia quelle personali e familiari, sia quelle storiche.
M'è piaciuto anche perchè è una storia "multi-livello"che merita di essere letta attraverso cento chiavi interpretative.


Una narrazione,  anche a livello visivo, "ricca" di simboli e antitesi.
Una per tutte:i due diversi tipi di occhiali che riempiono lo schermo.
Quelli "illuminati" e illuminanti di Jonathan, alla meticolosa ricerca di un passato sentito come un meraviglioso e magico scrigno, da cui fuoriescono frammenti di meraviglia e di dolore, ugualmente degni di attenzione e sensibilità. E poi gli occhiali neri "da cieco" del nonno di Alex che da tempo immemorabile ha deciso di "non voler vedere", di non voler più confrontarsi con quel suo passato tragico.



Non parlo della seconda parte del film (che commuove e incanta), per non rovinare il piacere a chi deve ancora vedere il film .Dico solo che è un film assolutissimamente da non perdere.

A parte, metto qualche notizia sul cantante punk-rock Eugene Hutz (qui al debutto come attore:un talento istrionico pazzesco,) realmente nato in ucraina (vicino a Kiev)  che interpreta il personaggio di Alex.
E’ una rivelazione assoluta. Riporto anche un articolo apparso nel 2002, all'epoca dell'uscita del libro di J.SAFRAN FOER

Infine, belle anche le musiche del film, che ricordano un pò quelle di Kusturica.


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Giudizio?  Film imperdibile !
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P.S.
Dimenticavo: il film mi è piaciuto a tal punto,
da convincermi ad acquistare il libro.
Sarà uno dei regali che "mi faccio" a Natale.
   :o)
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JONATHAN SAFRAN FOER,
UN ALTRO FORMIDABILE GENIO 
[Il Foglio, 27 aprile 2002] 



Dunque, eccoci al libro struggente di quest'altro formidabile genio. Si intitola "Everything is illuminated", l'autore è Jonathan Safran Foer. E' imbarazzante aprire i giornali newyorchesi, siano essi settimanali, mensili, riviste, magazine o qualsiasi altra cosa. Li apri e ci trovi una recensione entusiastica di "Everything is illuminated". Perché il concetto sia chiaro, l'elogio viene spesso pubblicato più volte, ed è il caso del New York Times che ha già incensato Safran Foer quattro volte in dieci giorni.
Se la si vuole mettere in modo serio, questo è un libro sugli effetti dell'Olocausto, sui sopravvissuti e sui loro familiari; sul rapporto tra passato e presente. Ma è tutt'altro che un racconto noioso. Ci sono tre storie dentro, una autobiografica, una inventata, una metà e metà. Uno dei protagonisti è il ventenne Jonathan Safran Foer, cioè lui stesso, che va in Ucraina alla ricerca della donna che salvò suo nonno dallo sterminio (la storia è vera). Un altro è Alex Perchov, un coetaneo ucraino che gli fa da guida insieme con il nonno e un cane che si chiama Sammy Davis Jr. Jr. (due volte junior). Alex ama l'America e cerca di impressionare il suo ospite. I risultati sono esilaranti, a causa del suo scombinato inglese (questa storia è finzione). Il terzo protagonista del romanzo è il villaggio ucraino di Trochimbrod, il paese del nonno di Jonathan (vero). La storia (fiction) comincia alla fine del 1700 ed è scritta in un inglese antico. Man mano che si va avanti con il libro, l'inglese di Alex migliora e la storia del villaggio ucraino si avvicina ai nostri giorni. Un colpo di scena finale congiunge tutto quanto.
Lo stile, anche tipografico, è simile a quello di Eggers, audace e nuovo. Sembra a tutti che sia nata una scuola, anche se i due probabilmente non si conoscono. Safran Foer fa largo uso di parentesi, corsivi, grassetti, suoni onomatopeici, testi di canzoni, lemmi di enciclopedia. E scrive benissimo, ovviamente. Lui è completamente matto. Il romanzo lo ha scritto a 20 anni, e ora che ne ha 25 è pronto con il secondo, ambientato in un museo dedicato a un soccombente, a uno scrittore degli anni 30 i cui diari non sono passati alla storia per colpa di Anna Frank.
Ora Jonathan è diventato milionario. Ma quando ha ricevuto il mezzo milione di dollari di anticipo, non si è licenziato dal suo lavoro di centralinista. Ha aspettato due mesi per lasciare il posto, "andarmene subito sarebbe stato da stronzo", dice. Jonathan è un ragazzo a modo e gentile, dicono che gli si addica perfettamente la frase "nice jewish boy". Ora la sua principale preoccupazione è il giro in 38 città per promuovere il libro. Non perché sia faticoso o che altro, no. Jonathan non sa se riuscirà a riempire tutte e 5 mila le buste con cerniera che ha deciso di portarsi con sé. Passa le notti riempendo ciascuna busta con una matita e una cartolina bianca preaffrancata. Jonathan ha intenzione di distribuirle ai suoi lettori, i quali dovranno descrivere se stessi e poi imbucare la cartolina preaffrancata. Jonhatan le leggerà tutte. E' il suo "Progetto autoritratti". Jonathan è ossessionato dalla posta. Compiuti gli undici anni ha cominciato a tempestare personaggi famosi con sue lettere. Ora è sereno perché ha trovato un ufficio dell'Us Mail con una casella postale molto capiente, e poco importa se è lontana da casa. L'altro suo grande progetto è sulle pareti del suo appartamento, a Queens. Chiede ai romanzieri americani di inviargli il foglio bianco su cui stanno per scrivere. "Progetto fogli bianchi", si chiama. Gli rispondono quasi tutti, lui incornicia il pezzo di bloc notes, il foglio A4 o quello che è, e lo appende al muro.
Diciamo che Jonathan è eccentrico. Ha stupito tutti per aver rifiutato il party newyorchese che era stato organizzato in suo onore. Non ha tempo, dice. "Mi devo preoccupare soltanto di scrivere un altro libro, poi un altro , e poi ancora un altro. A quel punto tutto sarà ok".Tutto sarà illuminato.        [
C.Rocca ]


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[k]


 

Commenti

  1. i tuoi post sui films mi ricordano che non riesco a andare al cinema da almeno due mesi, per me un'enormità.
    smack

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  2. un capolavoro di film per un personaggio da non dimenticare..

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  3. Anch'io come Kneff sto lontano da più di un mese dai cine! Bella recensione!
    Lo vedrò.
    :-)

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  4. Che ti avevo detto? Ehi, ma la tua recensione è fatta benissimo, hai un lavoro assicurato, sembri un professionista.
    Un abbraccio, Vera

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  5. "due buoni compagni di viaggio, non dovrebbero lasciarsi mai, potranno scegliere imbarchi diversi: saranno sempre due marinai"..
    TU chiedi a ME se puoi dedicarmi proprio QUELLA canzone di QUELL cantautore? e poi apri un posto citanto proprio QUELLO scrittore? fratello.. è il destino che ci ha fatto incontrare! io amo De Gregori e "compagni di viaggio è una delle mie preferite. per non parlare di Cesare: ho letto 4 romanzi in una settimana! poi ho dovuto mettermi gli occhiali e la mia miopia è diventata quella di enrico la talpa, ma vuoi mettere?
    che altro dirti.. paliamone! ^-^
    un abbraccio forte forte
    (ps. scusa se non sono più passata prima di oggi ma sono stati giorni particolari..) un bacio

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  6. Mi hai illuminata di curiosità :))
    (...chissà se riuscirò a vedere pure questo in 'visione privata' ;) !?)

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  7. Colgo al volo il tuo consiglio e vado a comprare il libro. Io adoro leggere. L'unico problema che ho è che solitamente quando un libro mi piace molto, il film mi delude.
    Quindi forse è meglio che prima vada a vedere il film, ed in seguito acquisti il libro.

    buona giornata

    solare

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  8. Haem..il mio commento a questo post è in quello successivo...ma quanto sono stordita eh???!!!!

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  9. Cosa dire?
    Carlo ha detto tanto....ha detto tutto(come al solito)!!!!
    Sono le stesse sensazioni che ho provato io vedendo questo film.
    Esci dal cinema volando,perche' quando provi determnate emozioni e vedi certe immagini,non puoi far altro.
    La prima foto che è in questo articolo non rende giustizia a quello che ho visto....
    Ho ancora quell'immagine davanti gli occhi...UNa casetta circondata da girasoli,tanti...e queste lenzuola bianche..sembrano angeli che danzano...e man mano che l'attore si avvicina prendono corpo....dolci danzatrici del vento...


    Questo è un film che ti accarezza il cuore anche se tratta dell'olocausto.Capisci quanto è importante LA MEMORIA E CHE NON E' POSSIBILE DIMENTICARE.....

    GRAZIE!

    GRAZIE PER SEMPRE...

    un bacio immenso e un abbraccio cosi' forte da toglierti il respiro
    Picci Po'

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  10. Stupendi la Holiday ed Amstrong.....mentre leggo i commenti. E' vero, l'immagine della casetta tra i girasoli è indescrivibile con una foto. Baci, Vera

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