MOSTRA  DI PITTURA
NEL COMPLESSO ESPOSITIVO DI SANTA GIULIA A BRESCIA




 






















































 
     GAUGUIN  /  VAN GOGH 
     L'AVVENTURA DEL COLORE NUOVO
.


 
 

Domenica nove gennaio, sono stato a Brescia, a visitare una Mostra importante, una delle più importanti di questa stagione invernale: “Gauguin - Van Gogh : L'avventura del colore nuovo”.

Devo ammettere che da appassionato di mostre quale sono, ho spesso incontrato numerose opere di questi due grandi pittori. Più esattamente, Gauguin e Van Gogh, che furono due grandi interpreti della pittura dell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento e che si confrontarono esplicitamente con tutta la corrente dell’Impressionismo, sono stati più volte esposti, in anni recenti, nelle principali Mostre tenute in Italia.
Se quindi è vero che spessissimo ho ammirato opere di questi artisti all’interno di Mostre aventi per tema l’Impressionismo (ad esempio quelle recenti, tenute a Treviso) mai mi era capitato di confrontarmi con una Mostra di questa intensità.

Beh si, devo ammettere che questa di Brescia è fra le 3-4 mostre più belle che abbia mai avuto la fortuna di visitare.

Perché bella?

Dal mio punto di vista una Mostra è tanto più bella quanto più coinvolge emotivamente l’appassionato d’arte o il semplice visitatore. L’arte è sempre una fonte di emozione, ma in certe occasioni supera se stessa e arriva colpirci su molteplici livelli.
Questa di Brescia, secondo me, non ha eguali nel coinvolgere psicologicamente il visitatore. Non mi era mai capitato di avvertire in maniera tanto penetrante la “presenza” delle persone che sono state, "gli artisti" che quelle opere hanno creato. Mai mai. 



Il grande merito del curatore Marco Goldin, io credo, sia stato di puntare ad aprire uno squarcio illuminante sulle vite e sull’intera poetica di questi due pittori. E di averli accostati-intrecciati-sviscerati da svariati punti di vista.

Oltre a queste riflessioni che mi sono sorte immediatamente credo che il grande impatto di questa mostra derivi dall’aver concentrato l’interesse su due “VITE”
Vite diverse, ma entrambe ricchissime di eventi, di fatti, di svolte anche drammatiche. Ma attraverso il percorso delle opere e delle citazioni esposte si ha proprio l’occasione, impagabile, di accompagnare questi due artisti attraverso  tutti i loro tormenti i dubbi le evoluzioni di stile, i cambiamenti, i traslochi non solo di città e contineti come nel caso di Gauguin ma nei loro frequenti "traslochi" emotivi, i loro cambi di prospettiva .
E li si accompagna durante il periodo più febbrile ed intenso delle loro vite, fino alla loro morte. Per Van Gogh tutto questo è molto più semplice, poiché la sua carriera è racchiusa in appena un decennio (dal 1880 al 1890) ed è come se “da candela” avesse bruciato da entrambe le parti. Visse cioè in appena dieci anni ciò che ad altri artisti capita di attraversare in 4-5 decenni di carriera artistica. Semplicemente bruciò. Bruciò ogni sua energia gettandola a piena mani sulle tele.
Parlerò più avanti della sua vita e della sua opera ma qui voglio riconoscere il merito a chi ha organizzato la Mostra, di aver trasformato l’epistolario fra Van Gogh e il fratello Thèo in uno dei perni dell'intera esposizione.

E' un documento straordinario. Straordinario per capire chi era davvero la persona Vincent. Ed è proprio perché sono convinto che da queste lettere emerga la parte meno conosciuta di Vincent, che mi sono imposto di acquistare la pubblicazione: il carteggio-epistolario fra Vincen e il fratello Thèo.

Ora, nelle prossime settimane lo leggerò con calma ma già da ora sono stato colpito da una di queste missive e la propongo immediatamente a chi avrà la pazienza di leggere.

So che il Blog, e tutti gli strumenti elettronici,  non si prestano alla lettura di lunghi documenti, eppure stavolta ho infranto la regola (come altre volte) proprio convinto dell’estremo valore di questa testimonianza.

Chi non volesse leggere a Pc, potrà sempre stamparlo e assaporarlo meglio su carta. In ogni caso buona lettura. 


 

 [ k ]


 
 
 
 

 



                                                                                   luglio 1880




Caro Thèo


è con qualche imbarazzo che ti scrivo non avendolo fatto da tempo e ciò  per parecchie ragioni. Ad un certo punto sei diventato un estraneo e anch’io lo sono diventato per te più di quanto tu non possa immaginare; forse per noi non sarebbe meglio continuare così.
[…..]
Ho saputo ad Etten  che avevi inviato per me cinquanta franchi: ebbene sì li ho accettati. Certo di malavoglia  certo con una sensazione piuttosto malinconica ma mi trovo in una specie di vicolo cieco, nei pasticci  insomma. Che altro potrei fare?
Ora benché sia di difficoltà disperante riguadagnare la fiducia di una intera famiglia, tuttavia non dispero del tutto che un po’ alla volta, lentamente e sicuramente venga ristabilita con l’uno o l’altro di voi una intesa cordiale. Così in primo luogo vorrei che questa intesa cordiale, per non dire di più venisse ristabilita tra mio padre e me e in secondo luogo ci terrei molto che si ristabilisse anche tra noi due. L’intesa cordiale è infinitamente preferibile al malinteso.

Ora devo tediarti con certe questioni astratte, ma vorrei che le ascoltassi pazien­temente. Sono un uomo passionale, portato e propenso a fare cose più o meno insensate, di cui mi pento più o meno spesso. Mi capita di parlare o di agire un po’ troppo avventatamente, mentre sarebbe meglio attendere con pazienza. Non credo di essere il solo a cadere in simili imprudenze. 

Stando così le cose, cosa dovrei fare? Considerarmi un uomo pericoloso e incapace di alcunchè? Non lo penso. Si tratta piuttosto di cercare con ogni mezzo di trarre vantaggio da queste passioni stesse.

Ad esempio, per citare una passione fra le altre, ne ho una quasi irresistibile per i libri, e sento il bisogno di istruirmi continuamente, di studiare, proprio come ho bisogno di mangiare il pane quotidiano tanto per fare un esempio.

Questo lo potrai capire. Quando mi trovavo in un altro ambiente, un ambiente dì quadri e di cose d’arte, sai bene quanto violentemente mi fossi appassionato per quello, arrivando a entusiasmarmi. Non me ne pento, e anche ora, lontano dalla mia terra, spesso ho nostalgia del mio paese, del paese dei quadri. 

Ti ricordi forse in che misura abbia saputo (ed è possibile che ancor oggi lo sappia) chi fossero i Rembrandt, o i Millet, o i Jules Dupré, o i Delacroix.. anche se ora quell’ ambiente intorno a me non c’è più, quella cosa che chiamiamo anima si dice non muoia mai e viva sempre e cerchi sempre e sem­pre, e sempre ancora. Invece di soccombere alla nostalgia, mi sono dunque detto: la tua terra e la tua patria sono ovunque.. Invece di lasciarmi andare alla dispera­zione, mi sono deciso per la malinconia attiva, nei limiti delle mie possibilità, o —in altri termini — ho preferito la malinconia che spera e che cerca, a quella tetra, stagnante, che dispera. 

Io dunque ho studiato abbastanza seriamente i libri che  avevo a portata di mano, quali la Bibbia e la Rivoluzione francese di Mieheli. poi, l’inverno scorso, Shakespeare e un po’ V. Hugo e Dickens, quindi ultimamente Eschilo e molti altri ancora. Ora, chi si sente attratto da tutto ciò, talvolta risulta urtante, è scioccante per gli altri e, senza volerlo, va più o meno contro certe forme, usanze e convenzioni sociali. 
Eppure è un peccato che tutto ciò venga interpretato male. Ad esempio: sai bene che spesso ho trascurato il mio abbigliamento, questo lo ammetto, e ammetto anche che ciò sia scioccante. Ma ecco, il disagio e la miseria non esistono invano e così anche il più profondo scoraggiamento: anzi, talvolta sono un buon modo di assicurarsi la solitudine necessaria per poter approfondire meglio questa o quella questione che dà da pensare. Una delle questioni inevitabili è proprio la medicina: difficile trovare chi non cerchi di saperne almeno un poco, per quanto poco sia, difficile trovare chi non cerchi di comprendere almeno di che si tratta. E accorgersi invece, che non se ne sa assolutamente niente. Ma tutto ciò assorbe, inquieta, dà da sognare, da immaginare, da pensare. Ora, quando già da circa cinque anni – non so esattamente quanti anni siano- — sono senza un posto preciso, errante qua e là, ora voi dite: da un certo punto in poi sei peggiorato, ti sei spento, non hai tatto niente Ma è proprio così? E’ vero che a volte mi sono guadagnato il mio tozzo di pane e che a volte un amico me l’ha dato per pietà, è vero che ho vissuto come ho potuto, nel bene e nel male, così come veniva, è vero che ho perduto la fiducia di molti, è vero che la mia situazione finanziaria è in triste stato, è vero che l’avvenire è scuro, è vero che avrei potuto fare di meglio, è vero che ho perso tempo solo per guadagnarmi il pane, è vero che i miei stessi studi sono in uno stato piuttosto triste e desolante, e che ciò che mi manca è più, infinitamente più, di quanto abbia. Ma questo si chiama peggiorare, si chiama non fare nulla? 

Tu forse dirai: ma perché non hai continuato, come avremmo tutti voluto, sulla strada dell’università? A questa domanda risponderò solo: costa troppo caro; e poi l’avvenire non è migliore di quello che perseguo sulla strada attuale.Ma sulla strada dove sono devo continuare: se non faccio nulla, se non studio, se non faccio più ricerca, allora sì che sono perduto. Allora, me sventurato! Ecco quel che penso di fare: continuare, continuare. È l’unica via. 

Perché ti dico tutto questo? Non per lagnarmi, non per scusarmi di qualcosa su cui posso anche avere torto, ma semplicemente per dirti questo: all’epoca della tua ultima visita, l’estate scorsa, quando siamo andati a passeggiare assieme nei pressi del deposito abbandonato che chiamano La Strega, mi hai ricordato che un tempo venivamo a passeggiare nei pressi del vecchio canale e del mulino Rijswijk. e allora, dicevi, eravamo d’accordo su molte cose, ma — hai aggiunto — da allora sei molto cambiato, non sei più lo stesso  Eh no! Non è precisamente così. 

Ciò che è cambiato è il fatto che la mia vita allora era meno difficile, il mio avvenire apparentemente meno buio, ma quanto alla mia interiorità, quanto al mio modo di vedere e di pensare, nulla è cambiato; l’unico cambiamento che in effetti potrebbe esser
ci stato è che ora io penso, credo e amo più seriamente di quanto allora già pensassi, credessi, amassi. Sarebbe dunque un malinteso se tu insistessi nel credere che adesso, ad esempio, io mi senta meno accalorato per Rembrandt, o Millet, o Delacroix, o per chiunque altro, perché è vero il contrario; soltanto che, vedi, ci sono più cose da amare e nelle quali credere: c’è qualcosa di Rembrandt in Shakespeare e di Correggio in Michelet, e di Delacroix in V. Hugo, e inoltre c’è qualcosa di Rembrandt nel Vangelo o, se si vuole, del Vangelo in Rembrandt .~ è lo stesso — purché si voglia intendere la cosa da buon intenditore, senza stravolgerla in cattivo senso e non tenendo conto degli equivoci possibili in ogni raffronto, senza aver, la pretesa di diminuire i meriti delle personalità originali. [
…]

Mio dio, quanto è bello Shakespeare! Chi più misterioso di lui? La sua parola e il suo modo di fare valgono proprio quanto un pennello vibrante di febbre e di emozione. Ma bisogna imparare a leggere, come si deve imparare a vedere, e imparare a vivere. 

Dunque non devi pensare che io rinneghi questo o quell’altro, sono una specie di fedele nella mia infedeltà, e per quanto sia cambiato, sono sempre lo stesso, e il mio tormento è solo questo: a cosa potrei essere adatto?
A cosa potrei essere utile e servire in qualche modo? Come poterne sapere di più e approfondire questo o quell'argomento?

Ecco ciò che mi tormenta di continuo; poi, nel disagio, ci si sente prigionieri, esclusi dal partecipare a un’opera o all’altra, e ciò che è necessario diventa inaccessibile.

Per questa ragione si vive nella malinconia, si sente il vuoto là dove potrebbero esserci amicizia e affetti veri e profondi; si avverte un terribile scoraggiamento rodere la stessa energia morale, e la fatalità sembra ostacolare gli istinti affettivi:così, una marea di disgusto ti assale. Ci si dice allora: «Fino a quando Dio mio?» 

Bene, credi che ciò che accade dentro, appaia fuori?

Uno ha un grande fuoco nell’anima e nessuno mai viene a scaldarsi: 
i passanti percepiscono solo quel che ne appare per un po’ di fumo in cima al camino e proseguono per la loro strada.Che fare allora? Trattenere questo fuoco dentro e confidare in se stessi attendere pazientemente nonostante un’enorme impazienza, il momento  in cui qualcuno verrà a sedersi e si fermerà, o che altro? 

Ora, per il momento tutto mi va male a quanto pare e ciò da parecchio tempo ormai; questa situazione può restare così per. un periodo di durata più o meno lunga, ma può anche accadere che quando tutto sembri andare di traverso, proprio allora si metta al meglio. Non ci conto, forse non accadrà mai ma in caso si verifichi qualche miglioramento, lo considererei come un guadagno, ne sarei contento, direi:”finalmente!” Ecco nonostante tutto c’era dunque qualcosa. 
Eppure mi dirai sei un essere esecrabile, poiché hai idee impossibili in fatto di religione e scrupoli puerili di coscienza.Se ne ho di impossibili e di puerili, possa esserne liberato, non domando di meglio. 
M
a ecco grosso modo qual è la mia situazione… 
Troverete in Il filosofo sotto i tetti di Souvestre, come un uomo del popolo un semplice miserabile operaio si rappresentasse la patria. «Tu forse non  hai mai pensato a ciò che la patria è riprese posandomi la mano sulla spalla è tutto ciò che ti circonda, tutto ciò che ti ha allevato e nutrito, tutto ciò che hai amato questa campagna che vedi queste case questi alberi quelle fanciulle che passano ridendo, tutto ciò è la patria! Le leggi che ti proteggono, il pane che paga il tuo lavoro, le parole che scambi, la gioia e la tristezza che ti provengono dalle cose e dagli uomini tra i quali vivi, è la patria! La cameretta dove un tempo hai visto tua madre, i ricordi che ti ha lasciato, la terra dove riposa è patria! La vedi e la respiri ovunque.» [...]

Involontariamente sono sempre portato a credere che il miglior modo per conoscere Dio, sia amare molto. Ama un amico, una persona, una cosa, quello che vorrai, sarai sulla strada giusta per vedere più lontano: ecco ciò che dico tra me e me. Ma bisogna amare con profonda e seria simpatia intima, con volontà, con intelligenza, e bisogna sempre cercare di vedere più lontano, meglio e di più.

Questo porta a Dio, porta alla fede incrollabile. Uno — per farti un esempio — amerà  Rembrandt, ma seriamente: saprà allora che lì c’è un dio, ci crederà. 

Un altro approfondirà la storia della Rivoluzione francese — non sarà miscredente, vedrà che anche nelle grandi cose c’è  un potere sovrano, che si manifesta. 

Un altro ancora, cha abbia assistito solo per un po’ al corso arbitrario della miseria universale, e abbia fatto attenzione alle cose che. vede con i propri occhi e che sente con le proprie orecchie, e ci abbia riflettuto sopra, anche lui finirà con il credere e imparerà forse più di quanto non avrebbe mai immaginato. Cerca di capire l’ultima parola di ciò che dicono nei loro capolavori i grandi artisti, i veri maestri: ci sarà Dio là dentro. Uno l’ha scritto o detto in un libro e un altro, in un quadro. E poi si legga la Bibbia per davvero, e il Vangelo: ci sarà di che pensare, e molto da pensare e tutto da pensare. Ebbene, si pensi a questo molto, a questo tutto: il pensiero si innalza al di sopra del livello comune, nostro malgrado. Dal momento che si sa leggere, che dunque si legga!

Certo, a momenti può succedere di essere un po’ astratti, un po’ sognatori, c’è chi diventa un po’ troppo astratto, un po’ troppo sognatore: questo forse accade ancbe a me, è una mancanza mia personale (ma, dopo tutto, chi non ne ha); ero assorto per una ragione o per l’altra, preoccupato, inquieto, ma da questa situazione ci si riprende. Il sognatore talvolta cade in un pozzo. ma poi si dice che ne risalga. 

L’uomo astratto è presente a se stesso a momenti, come per compensazione. Talvolta è una persona che &egrave
; fatta così per questa o quella ragione, non sempre visibile immediatamente, e che dimentica, entrando in un suo mondo astratto, per lo più involontariamente. Come chi, a lungo sballottato su un mare in tempesta. giunge finalmente a destinazione, come chi, dopo aver dato l’impressione di essere incapace di fare qualcosa, e incapace di occupare un qualsiasi posto, una qualsiasi funzione, finisce col trovarne una e — divenuto attivo e capace di agire — si dimostra completamente diverso da com’era sembrato in un primo tempo. 
Ti scrivo un po’ a caso quel che mi viene alla penna, sarei ben contento se in qualche modo tu potessi vedere in me qualcos’altro che una specie di sfaccendato. 

P
erché c’è sfaccendato e sfaccendato, non sempre sono tutti uguali. C’è lo sfaccendato per pigrizia e debolezza di carattere, di basso profilo: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale. Poi c’è l’altro sfaccendato: lo sfaccendato controvoglia, che è roso all’interno da un grande desiderio di azione, che non fa nulla, perché non può fare nulla, perché è come prigioniero di qualcosa, perché non ha ciò che gli sarebbe necessario per essere produttivo, perché la fatalità delle circostanze lo porta a essere così; uno non sempre consapevole di quel che potrebbe fare, ma che lo sente istintivamente: eppure sono capace di qualcosa, esisto per qualche ragione!
So che potrei essere un uomo del tutto diverso! A cosa dunque potrei essere utile, a cosa potrei servire? C’è qualcosa dentro di me? Che cosa? Questo è un altro tipo di sfaccendato: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale!

Un uccello in gabbia in primavera sa benissimo che c’è qualcosa per cui sarebbe adatto, sente benissimo che c’è qualcosa da fare, ma non può farlo: cos’è che non può fare? Non ricorda bene, poi ha qualche vaga idea, e dice tra sé: gli altri hanno il nido, fanno i piccoli e allevano la covata”; allora dà con la testa contro le sbarre della gabbia. Ma la gabbia resta lì, e l’uccello è pazzo di dolore. Ecco uno sfaccendato” dice un altro uccello che passa, uno che vive di rendita. Eppure il prigioniero vive. Non muore. Nulla di ciò che accade dentro, appare di fuori: sta bene, è più o meno felice alla luce del sole. Ma viene la stagione delle migrazioni. Accesso di malinconia. Eppure — dicono i bambini che lo tengono in abbia, — non gli manca nulla!” Lui invece guarda fuori il cielo gonfio, carico di tempesta, e sente montare la rivolta contro il fato dentro a sé. Sono in gabbia, sono in  gabbia, e non mi mancherebbe nulla? Imbecilli! Avrei tutto ciò che mi occorre? Ah per favore, la libertà! Essere un uccello come gli altri!»  Un uomo sfaccendato assomiglia a un uccello sfaccendato. E gli uomini sono spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigionieri in non so quale gabbia orrenda, orrenda spaventosamente orrenda. C’è anche lo so la liberazione, la liberazione tardiva .Una reputazione cattiva mette l’uomo a disagio. La fatalità delle circostanze, la sventura: è questo che mette in gabbia. Non sempre si sa bene cosa sia ciò che rinchiude, che costruisce muri, che seppellisce eppure, le sbarre, le inferriate, i muri, confusamente li conosciamo.

Tutto ciò è immaginazione, fantasia?
Non lo credo; e poi ci si chiede: mio Dio è per molto, è per sempre, è per l’eternità?
Sai cosa fa scomparire la prigione?

E’ il sentimento profondo, vero. Essere amici, essere fratelli, amare, è questo ad aprire la prigione grazie a una potenza sovrana, grazie a un potentissimo fascino. Colui che non possiede questo potere, resta nella morte. Ma lì dove rinasce la simpatia, rinasce la vita. 

La prigione talvolta si chiama anche: pregiudizio, malinteso, fatale ignoranza, diffidenza, malafede. Ma per parlare d’altro: mentre io sono sceso, tu al contrario sei salito. E se io ho perduto simpatie, tu ne hai acquistate. Questo mi rende contento, lo dico veramente, è qualcosa che mi rallegrerà sempre. Se tu fossi poco serio e poco profondo, potrei temere che non durasse, ma poiché penso che sei serissimo e profondissimo, mi sento portato a credere che durerà. Solo, se tu potessi vedere in me qualcos’altro che uno sfaccendato della peggior specie, ne sarei davvero lieto. Se mai potessi fare qualcosa per te, esserti utile in qualcosa, sappi che sono a tua disposizione. Ho accettato quel che mi hai dato: allo stesso modo anche tu potresti chiedermi qualcosa; se mai io potessi esserti utile ne sarei contento e lo considererei un segno di fiducia. Noi siamo piuttosto lontani l’uno dall’altro e possiamo avere, per alcuni riguardi, modi di vedere differenti, ma, ciò nonostante, in un dato momento o in un dato giorno, l’uno potrebbe essere di aiuto all’altro. Per oggi ti stringo la mano, ringraziandoti ancora della bontà che hai dimostrato nei miei confronti. 
Se prima o poi vorrai scrivermi, il mio indirizzo è: presso Ch. Decrucq, Bue du Papillon 8, a Cuesmes vicino a Mons. E sappi che scrivendo mi farai del bene;  



 


Ti auguro ogni bene, Vincent 
.
 


 

 



   Il  colore e la cenere 



 di Marco Goldin [ tratto dalla prefazione alla Mostra "Il COLORE NUOVO "]




      «Il colore! Questo linguaggio così profondo e misterioso, questo linguaggio del sogno



                                                                                        Paul Gauguin, 1896


 




 



Vi sarà forse un tempo in cui la pittura di van Gogh apparirà come una cosa sul punto di svanire, e il suo strazio e la sua luce, il suo buio, non saranno più ciò che ancora oggi sono.
Vi sarà, forse.
Quando avremo trasformato anche la memoria e

la vita. Ma in questo nostro tempo la sua pittura continua a tormentarci e a interrogarci, come una cenere non del tutto spenta. E anzi, visibilmente, rossa come una brace inestinguibile.
Seguita a darci trasalimen­ti mai casuali, ogni volta diversi, a produrre in noi misurate o smisurate passioni, malinco­nie, gioie improvvise e illimitate luci.

Non conosco altro pittore che come van Gogh sappia fare questo, legato al colore ma anche al durissimo scalpello delle parole. Le sue lettere. Nella dichiarazione la più aperta di un essere nel mondo e altrove, di essere l’uno e il molteplice.

Anche la storia di Gauguin, che in questa mostra gli si fa prossima, non tocca gli stessi vertici di partecipazione umana, pur straordinaria come essa effettivamente è stata. Perché van Gogh mette sulla strada tutto di sé, fino all’ultima stilla d’amore e di vita, senza il timore che quella cenere torni a essere fuoco. Anzi sì, temendolo, ma con la comprensione di colui che sente sulla propria vita il peso e la forza del destino. Ineluttabili. 

Mi domando sempre, ogni volta che viene un nuovo inizio, come si possa restare distaccati davanti alla pittura, alla vita di coloro che quella pittura hanno messo su una tela, hanno eletto a parola sacra sopra qualsiasi altra. Stendere insomma la paginetta critica asettica, apparen­temente priva di errori e dal foglio non sgualcito e senza orecchie sui bordi. Come si faccia, insomma, a dire solo di formule e non di emozione. E tanto più adesso, quando l’emozione, la mia, pare infine smarrirsi dentro la lunga lettura altra volta condotta sulle lettere di van Gogh, e anche di Gauguin, in quel magma ribollente e straziato, colmo di azzurri e venti, che sono state le loro vite.
E non c’è nulla che possa trattenermi dal dichiarare questa emozione, neppure la paura che questa emozione faccia difetto alla chiarezza della spiegazione critica. 
 


 
 
 


 

 

   

  



 


 


 


 

Commenti

  1. piansi tanto al van gogh museum.
    Non so perchè.

    E sono curiosa come una scimmia di gaugin sui tuoi pensieri così diversi dai miei riguardo a "une femme".

    RispondiElimina
  2. to Die:
    piangesti?
    io non lo so perchè eppure lo so lo intuisco oscuramente

    io quando piango
    non mi fermo mai a constatare le lacrime
    voglio sapere.. voglio capire..voglio
    scendere in quel gorgo di buio e
    d'emozione che m'avvolge

    Leggere oggi il carteggio di Vincent ha proprio questo senso..
    comprendere ciò che lui,
    per primo, scoprì della magica conversazione che avviene fra i colori sospesi sulle tele,
    gli occhi e il cuore

    ..ascoltare di quali segreti parlano quali misteri sfiorano.

    quale uragano sommerge
    i nostri sensi
    e quanto fragile,
    a quell'onda,
    sia la diga dei nostri occhi

    RispondiElimina
  3. to Die:
    piangesti?
    io non lo so perchè eppure lo so lo intuisco oscuramente

    io quando piango
    non mi fermo mai a constatare le lacrime
    voglio sapere.. voglio capire..voglio
    scendere in quel gorgo di buio e
    d'emozione che m'avvolge

    Leggere oggi il carteggio di Vincent ha proprio questo senso..
    comprendere ciò che lui,
    per primo, scoprì della magica conversazione che avviene fra i colori sospesi sulle tele,
    gli occhi e il cuore

    ..ascoltare di quali segreti parlano quali misteri sfiorano.

    quale uragano sommerge
    i nostri sensi
    e quanto fragile,
    a quell'onda,
    sia la diga dei nostri occhi

    RispondiElimina
  4. Posso scrivere che 'adoro' Van gogh senza passare per una stronza radical-chic? Tanto piu' che lo amo da quando ero adolescente..
    grazie per questa rinnovata emozione.

    RispondiElimina
  5. Posso scrivere che 'adoro' Van gogh senza passare per una stronza radical-chic? Tanto piu' che lo amo da quando ero adolescente..
    grazie per questa rinnovata emozione.

    RispondiElimina
  6. to kneff:
    a te è tutto permesso.
    Tutto..

    Adorare Van Gogh, credo,
    che ci accomuni e più in generale,
    l'essere sensibilissimi a certi valori "alti" ed "eterni"
    non di questa o quell'epoca

    grazie di essere passata!

    per me la mostra è stata emozione dirompente.
    sono uscito che volavo
    e
    "..il cuore sparpagliato ovunque.."

    RispondiElimina
  7. to kneff:
    a te è tutto permesso.
    Tutto..

    Adorare Van Gogh, credo,
    che ci accomuni e più in generale,
    l'essere sensibilissimi a certi valori "alti" ed "eterni"
    non di questa o quell'epoca

    grazie di essere passata!

    per me la mostra è stata emozione dirompente.
    sono uscito che volavo
    e
    "..il cuore sparpagliato ovunque.."

    RispondiElimina
  8. ...Da parte mia...sono rimasta commossa, molto com-mossa! leggendo la lettera di VIncent a Thèo....

    ...Ed anche a discernere i timbri di voce 'coloristici' di Carlo nel "suo" messaggio a noi....

    In particolare ho raccolto estratti di conoscenza riflessa di se stessi (ognuno di noi naturalmente ne coglierà per sé i più congeniali....)
    come, per esempio:

    Invece di soccombere alla nostalgia, mi sono dunque detto: la tua terra e la tua patria sono ovunque.. Invece di lasciarmi andare alla dispera­zione, mi sono deciso per la malinconia attiva, nei limiti delle mie possibilità, o —in altri termini — ho preferito la malinconia che spera e che cerca, a quella tetra, stagnante, che dispera.

    C’è lo sfaccendato per pigrizia e debolezza di carattere, di basso profilo: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale. Poi c’è l’altro sfaccendato: lo sfaccendato controvoglia, che è roso all’interno da un grande desiderio di azione, che non fa nulla, perché non può fare nulla, perché è come prigioniero di qualcosa, perché non ha ciò che gli sarebbe necessario per essere produttivo, perché la fatalità delle circostanze lo porta a essere così; uno non sempre consapevole di quel che potrebbe fare, ma che lo sente istintivamente: eppure sono capace di qualcosa, esisto per qualche ragione!

    Un uccello in gabbia in primavera sa benissimo che c’è qualcosa per cui sarebbe adatto, sente benissimo che c’è qualcosa da fare, ma non può farlo: cos’è che non può fare? Non ricorda bene, poi ha qualche vaga idea, e dice tra sé: gli altri hanno il nido, fanno i piccoli e allevano la covata”; allora dà con la testa contro le sbarre della gabbia. Ma la gabbia resta lì, e l’uccello è pazzo di dolore. Ecco uno sfaccendato” dice un altro uccello che passa, uno che vive di rendita. Eppure il prigioniero vive. Non muore. Nulla di ciò che accade dentro, appare di fuori: sta bene, è più o meno felice alla luce del sole. Ma viene la stagione delle migrazioni. Accesso di malinconia. Eppure — dicono i bambini che lo tengono in abbia, — non gli manca nulla!” Lui invece guarda fuori il cielo gonfio, carico di tempesta, e sente montare la rivolta contro il fato dentro a sé. Sono in gabbia, sono in gabbia, e non mi mancherebbe nulla? Imbecilli! Avrei tutto ciò che mi occorre? Ah per favore, la libertà! Essere un uccello come gli altri!» Un uomo sfaccendato assomiglia a un uccello sfaccendato. E gli uomini sono spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigionieri in non so quale gabbia orrenda, orrenda spaventosamente orrenda. C’è anche lo so la liberazione, la liberazione tardiva .Una reputazione cattiva mette l’uomo a disagio. La fatalità delle circostanze, la sventura: è questo che mette in gabbia. Non sempre si sa bene cosa sia ciò che rinchiude, che costruisce muri, che seppellisce eppure, le sbarre, le inferriate, i muri, confusamente li conosciamo.


    Io, per me, ho colti questi. Si parva licet........

    RispondiElimina
  9. ...Da parte mia...sono rimasta commossa, molto com-mossa! leggendo la lettera di VIncent a Thèo....

    ...Ed anche a discernere i timbri di voce 'coloristici' di Carlo nel "suo" messaggio a noi....

    In particolare ho raccolto estratti di conoscenza riflessa di se stessi (ognuno di noi naturalmente ne coglierà per sé i più congeniali....)
    come, per esempio:

    Invece di soccombere alla nostalgia, mi sono dunque detto: la tua terra e la tua patria sono ovunque.. Invece di lasciarmi andare alla dispera­zione, mi sono deciso per la malinconia attiva, nei limiti delle mie possibilità, o —in altri termini — ho preferito la malinconia che spera e che cerca, a quella tetra, stagnante, che dispera.

    C’è lo sfaccendato per pigrizia e debolezza di carattere, di basso profilo: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale. Poi c’è l’altro sfaccendato: lo sfaccendato controvoglia, che è roso all’interno da un grande desiderio di azione, che non fa nulla, perché non può fare nulla, perché è come prigioniero di qualcosa, perché non ha ciò che gli sarebbe necessario per essere produttivo, perché la fatalità delle circostanze lo porta a essere così; uno non sempre consapevole di quel che potrebbe fare, ma che lo sente istintivamente: eppure sono capace di qualcosa, esisto per qualche ragione!

    Un uccello in gabbia in primavera sa benissimo che c’è qualcosa per cui sarebbe adatto, sente benissimo che c’è qualcosa da fare, ma non può farlo: cos’è che non può fare? Non ricorda bene, poi ha qualche vaga idea, e dice tra sé: gli altri hanno il nido, fanno i piccoli e allevano la covata”; allora dà con la testa contro le sbarre della gabbia. Ma la gabbia resta lì, e l’uccello è pazzo di dolore. Ecco uno sfaccendato” dice un altro uccello che passa, uno che vive di rendita. Eppure il prigioniero vive. Non muore. Nulla di ciò che accade dentro, appare di fuori: sta bene, è più o meno felice alla luce del sole. Ma viene la stagione delle migrazioni. Accesso di malinconia. Eppure — dicono i bambini che lo tengono in abbia, — non gli manca nulla!” Lui invece guarda fuori il cielo gonfio, carico di tempesta, e sente montare la rivolta contro il fato dentro a sé. Sono in gabbia, sono in gabbia, e non mi mancherebbe nulla? Imbecilli! Avrei tutto ciò che mi occorre? Ah per favore, la libertà! Essere un uccello come gli altri!» Un uomo sfaccendato assomiglia a un uccello sfaccendato. E gli uomini sono spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigionieri in non so quale gabbia orrenda, orrenda spaventosamente orrenda. C’è anche lo so la liberazione, la liberazione tardiva .Una reputazione cattiva mette l’uomo a disagio. La fatalità delle circostanze, la sventura: è questo che mette in gabbia. Non sempre si sa bene cosa sia ciò che rinchiude, che costruisce muri, che seppellisce eppure, le sbarre, le inferriate, i muri, confusamente li conosciamo.


    Io, per me, ho colti questi. Si parva licet........

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  10. Carissimo, l'amore per l'arte fa si che ogni opera ti si ripresenti sempre diversa, più completa e comprensibile, ed anche quadri già visti , in nuovi contesti ci appaiono con nuove emozioni....Bella la mostra, e bella la tua presentazione!
    Un abbraccio Edda

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  11. Carissimo, l'amore per l'arte fa si che ogni opera ti si ripresenti sempre diversa, più completa e comprensibile, ed anche quadri già visti , in nuovi contesti ci appaiono con nuove emozioni....Bella la mostra, e bella la tua presentazione!
    Un abbraccio Edda

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  12. To Edda:
    Non avevo dubbi che avresti apprezzato e compreso alla perfezione l'amore che sta sottinteso a tutto questo Post
    Amare l'Arte è SEMPRE E COMUNQUE una forma di amore per la Vita.
    Una autentica dichiarazione d'amore per la Vita


    to Leira:

    incredibile la coincidenza di argomenti e passi che ad entrambi "parlano " regalando emozioni forti.

    Dopo questo tuo intervento sono ancora di più convinto del valore di queste lettere tanto illuminanti e toccanti rispetto a ciò che era l'animo di Vincent.

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  13. To Edda:
    Non avevo dubbi che avresti apprezzato e compreso alla perfezione l'amore che sta sottinteso a tutto questo Post
    Amare l'Arte è SEMPRE E COMUNQUE una forma di amore per la Vita.
    Una autentica dichiarazione d'amore per la Vita


    to Leira:

    incredibile la coincidenza di argomenti e passi che ad entrambi "parlano " regalando emozioni forti.

    Dopo questo tuo intervento sono ancora di più convinto del valore di queste lettere tanto illuminanti e toccanti rispetto a ciò che era l'animo di Vincent.

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