«Perché fotografi?» La domanda arriva inattesa e incontra il vuoto.
«In realtà non lo so. Per necessità, forse. Non ho messaggi né significati da trasmettere. Quando fotografo mi muovo nei luoghi che mi sono cari, e mi lascio guidare dai sensi. Seguo una bussola che non è mai quella del calcolo. Vengo catturata dalle immagini come se fossero loro a domandarmi di essere colte: c’è una evidenza, una sorta di costrizione e un piacere che si giustifica da sé e che mi basta.»
Dico ancora che considero la fotografia un potente rivelatore della forma nascosta. Certo non immagino che ci sia una verità dietro la rappresentazione. Intendo piuttosto indicare la presenza di quell’ ovvio che non viene colto o messo a fuoco dagli occhi abituati al dato per scontato e a percepire stereotipi.
Per me, dico, la fotografia serve a guardare meglio o diversamente ciò che ho sempre davanti. Mi rivela altri ordini possibili, mi fa scoprire altre forme, altre estetiche, altre figure. Insomma - proseguo - è un piacere, è un gioco che mi porta in un’area di silenzio di cui non so troppo parlare.
Racconto poi del legame che la fotografia ha col mio lavoro. La terapia che pratico si ispira alle teorie della percezione. Sono abituata a dare estremo risalto alla vita dei sensi, alla visione, all’ascolto, al sentire del corpo attraverso il quale l’essere umano costruisce la sua realtà, legge i fatti e vive le relazioni.
Parlo poi dei gruppi di terapia basati sul lavoro fotografico, dell’uso che faccio degli album di famiglia per la ricostruzione della storia personale coi suoi vissuti e i suoi sentimenti. Parlo degli adolescenti in difficoltà con i quali uso l’autoritratto per cercare di comporre i frammenti di una identità dispersa. Dove esistono difficoltà di comunicazione, le immagini sono capaci di suscitare sentimenti, favorire associazioni, stimolare la memoria e l’interesse per la vita.
A casa ci ripenso.
Le domande ritornano alla mente come a cercare un residuo di non detto. Sento che c’è dell’altro, una emozione che non ha preso forma, forse per pudore, lì, di fronte al pubblico. La mia verità è che il fotografare, come ogni arte, tocca i registri del gratuito, del superfluo
e dell’essenziale insieme.
Mi affiora alla mente una frase di Klee, letta in qualche sua biografia: «Dipingo per non piangere».
Non so bene che cosa intendesse ma quando mi chiedo, lontano dal pubblico, perché fotografo, la risposta che arriva è «fotografo per non piangere».
Sul momento non mi comprendo. ma per quanto assurda mi possa sembrare, intimamente, sento che questa è la ragione vera. A volte le risposte giuste ti arrivano come cortocircuiti del pensiero e solo dopo che le possiedi puoi spiegare a te stesso e al prossimo come sei arrivato lì.
Le verità intuite sono difficili da comunicare perché non sono fatte di logica, di passaggi ordinati e consequenziali: sono fatte di salti e di oscurità. Spesso sai in anticipo senza sapere perché e a volte, anche, sai senza sapere che cosa.
Così, passata la sera della prima, realizzo in solitudine quello che non ho potuto dire agli amici. Mi guardo dentro, intorno e indietro. Mi vedo in una giornata qualunque, a usare le mie energie per mettere argini alla vita, per contenere, scegliere, decidere, circoscrivere il campo, tagliare, ridurre un po’, almeno un po’, questa vita debordante di provocazioni, di distrazioni, di figure, di stimoli, di pensieri, di immagini, di rumori: questa vita che non ci stai più dentro e che ti prende alla gola.
Diventa necessità focalizzare, pensare con precisione, dividere, ordinare, costruire priorità, scegliere, decidere. Per vivere cerchi di creare pensieri trattabili, cerchi di guardare quello che serve o può servire...
Ma lo scarto deborda, perché l’orizzonte che incontri è troppo vasto ed eccede quello che comprendi, assimili, tocchi, conosci, manipoli, usi e controlli.
Forse piango la perdita quotidiana della luce che non posso guardare, piango la mia impotenza a fare, a sapere, a sperimentare altro e di più.
Piango l’amore che non posso dare e quello che non posso ricevere, il tempo finito che non basta ai miei sogni e lo spazio angusto che non può contenere la mia danza.
Fotografo per spalancare il tempo e per fare una stregoneria.
Non certo per imbalsamare la vita, ma al contrario, per esorcizzare il limite. Fotografo per liberare la mente e i sogni che contiene, per sciogliere i lacci di una storia che, qualunque essa sia, è sempre una e solo quella e quando ti volti ti chiedi se c’è stata davvero e vuoi sapere dove tutto, il tuo riso e il tuo pianto, le tue fatiche, i denti stretti e le tue gioie, dove tutto quanto, ora, sia andato a finire.
Fotografo perché mi commuovono i luoghi cari, i visi composti, i legami e le anime. E mi commuove lo sforzo dell’uomo ad addomesticare il mondo, ad arare il mare e i campi, a prevedere i moti del cielo, a domare gli umori della pelle per trasformarli in sentimenti che durano: bisogno di abitudini e di confini che mai si pacifica con la passione e il caos che tutto sovverte.
Chi dice che la fotografia sia degli ossessivi, non ha colto il punto.
La fotografia, come ogni graffito, è dei sognatori indomabili, è la traccia dell’utopia che afferma che non basta vivere per vivere.
Fotografo per produrre segni di luce e sogni e per dire ai compagni di viaggio: «Guardate amici tutto lo sforzo umano per costruire la dignità e non smettete di cercare. C’è sempre altro ai bordi.
C’è sempre un altro punto di vista, ci sono altre meraviglie oltre a quelle che ci concediamo di vedere.»
«Il mondo non finisce dove sembra».
Ma questo non avrei potuto dirlo ad alta voce.
Carloooooooo!!! Che dire? Grazie di cuore per la tua mail, per la fetta di torta e per il semplice fatto di ricordarti di me in questi mesi piuttosto disastrati. Sei unico, dico davvero!!!
RispondiEliminaUn bacione spezializzimo tutto per te!!
Chiara
nessun tuo commento è inutile... grazie di essere pessato
RispondiEliminaun abbraccio grande
il mio principino si è dimenticato di me ieri..nn importa di sicuro avrai avuto da fare..un bacio..ely
RispondiEliminaSolo darti il mio buongiorno... leggerò. Tutto. Con calma.
RispondiEliminaDepende.....mi ricorda una calda e meravigliosa vacanza a Taormina, quando il mio cuore era aperto a 360 gradi. E' anche la mia visione della vita.....nessuno schema mentale a supportare la persona, ma valori, incrollabili, i valori in cui sono cresciuta ed in cui crederò sempre.
RispondiEliminaBacioni, Vera