Terra di nessuno
REPARTO PSICHIATRICO
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E’ sera. Leggo il cartello sulla porta di metallo. __ VISITE: dalle 12.30 alle 13.30, dalle 18.30 alle 20.00. Suono. Bisogna suonare il campanello. Mi annuncio. Mi aprono. Controllano quel che ho nel sacchetto che ho in mano. _ Questo è un reparto particolare: qui gli orari vengono fatti rispettare in modo rigoroso e il personale gira con mazzi di chiavi tintinnanti. Mi avvio guardando il soffitto e seguendo con gli occhi l’andamento dei cavi dell’impianto a circuito chiuso. Ci sono tante telecamere. Noto, passando, la saletta affollata degli infermieri. Già capisco dal rapporto numerico fra personale e pazienti che è un reparto diverso da tutti gli altri... Sono qui a far visita ad una parente ricoverata da pochissimo tempo... Sono in camera, ora. Seduto. Resto seduto sulla sedia ai piedi del letto _ Dopo i saluti, i discorsi sul tempo, la primavera che tarda, la salute, il mangiare dell’ospedale... dopo aver chiesto se dorme, se mangia, se serve qualcosa... dopo aver giocato il gioco delle persone serie... _ Dopo aver recitato il ruolo delle persone adulte che parlano la lingua del mondo, provo la tentazione di sottrarmi al rituale... Di rompere questo incontro formale. Mi verrebbe da chiedere: "Dimmi l’ultima volta che hai giocato, l’ultima volta che hai cantato.. Qual'è stato il tuo ultimo sguardo chiaro alle rondini in cielo?" Le penso tutte queste domande, in qualche angolo della mia mente. - Poi arriva d’incanto, il momento di un po’ di silenzio. . È piacevole, perché è un modo anche questo, di sottrarsi al rituale. Capire che il tempo può scorrere in silenzio e che a nessuno viene richiesto un ruolo. Solo presenza. . Per assurdo che possa sembrare, il silenzio che arriva, è più cordiale delle parole di prima. _ Nel corridoio passeggiano intanto pigiami dagli occhi curiosi. Un ragazzo giovane, alto, con la radiolina nelle mani, la testa reclinata di lato, passa decine di volte e ogni volta sbircia dentro la stanza. Più lento, un uomo stempiato, procede: passo incerto, ondeggiante. - Io, terminate le parole, aspiro quasi a trovar posto come un oggetto qualsiasi, nella stanza. Sento che non si può essere invasivi in un luogo del genere. . Mi restringo. Torno ad essere puro sguardo ed ascolto.. Resto seduto: una parte di me sta ascoltando il monologo scriteriato della persona per cui sono qui. . E insieme, intanto assorbo i rumori, le voci di questo ambiente rarefatto.. Il mio stare in silenzio ora crea una complicità rilassata. Ho preso posto nell’insieme di colori tenui della stanza. Quando mi muovo lo faccio lentamente. _ Se rispondo qualcosa, di tanto in tanto, è sottovoce. Dico "sì" di frequente. Annuisco. Rassicuro. Dico che è tutto a posto.... . .Di fianco a me c’è il letto in cui è assopita una ragazza. Forse 25, forse 30 anni? Ha un'età? Impossibile a dirsi. Pare riposare... Entra un’altra ragazza. Un’amica? La chiama... A bassa voce, la chiama.. Lei allora spalanca gli occhi, rinviene... cominciano a parlare fitto fitto. Sottovoce... . La persona che son venuto a trovare, intanto pian piano s’è assopita. L’ago la nutre in silenzio. La flebo brilla di un riflesso azzurrognolo sotto la luce del neon... Resto seduto sulla sedia ai piedi del letto e ascolto le ragazze parlare. “Non c’era nessuno domenica, la spiaggia era deserta. Era quasi sera. Mi ero decisa. M’ero messa il costume. Quello nero. Da quest’estate che non lo indossavo. L’acqua non era poi così fredda. Ci speravo che non fosse troppo fredda mentre andavo alla spiaggia. _ Mi sono spogliata. Tirava vento. Il cielo era scuro, gonfio, poteva piovere da un momento all’altro. Mi pareva il momento giusto.. mi pareva che tutto era giusto. Ho camminato un po’ di traverso, obliqua, sulla sabbia più scura e bagnata. M’accostavo all’acqua. Volevo guardarla... e dietro volevo lasciare una traccia del mio camminare... immaginavo poi di vederla dal mare quell'ultima mia traccia sulla terra. Desideravo fissarla una volta che fossi stata lontana. Guardarla dal mare... la traccia del mio passaggio. Capisci? _ Sono entrata nell’acqua. Era tiepida quasi... E rimaneva poca luce del giorno. M'avrebbe dato fastidio una luce diversa ... una luce sfacciata. Invece era giusta... . . Ho camminato dentro il mare per un bel tratto. Mi sentivo sospesa e insieme cullata. _ Poi sono arrivata a dove non si tocca... Mi son sentita senza forze, debole, senza volontà...non ce l’ho più fatta. Ho esitato.. non ce l'ho fatta. Non pensavo fosse cosi difficile lasciarsi andare. No. Non ce l’ho fatta. E' difficile farcela. L'acqua era al collo e sentivo la corrente che mi stava spingendo... Sentivo di non pesare più niente. __ Ero entrata in mare che la spiaggia era vuota. Mi hanno ripescata che c’era una gran folla sulla riva.Vedessi che roba! _ Mi hanno portata subito qui. Si sta bene qui, sai. Sono tutti gentili. No, nessuno è venuto.. soltanto mia madre... _ Però mi dispiace non avercela fatta. Sono delusa. Come sempre... Deludo sempre tutti, io ... lo sai..." _ Sono immobile. Guardo il buio fuori dalla finestra e ascolto come dentro ad una vertigine, il suo raccontare piano, senza apparenti scosse... Senza tremori. Senza emozioni apparenti. _ Ascolto quel suo incamminarsi verso la morte. _ Quella cosa che ora la fa sentire esclusa. Esclusa, allo stesso modo, sia dalla vita che dalla morte. _ Sentirsi rifiutata... Mi immedesimo in quel suo stato d’animo. Percepisco lo stupore. Il sentirsi respinta dalla morte dopo essersi vista smarrita nella vita. E la vita deve esserle apparsa per molto tempo come una lastra di vetro che non si può oltrepassare. :_ Mi da i brividi pensare che aveva scelto il mare di Cesenatico per quell’ultima passeggiata definitiva. _ Per me il mare di Cesenatico è il mare dei bimbi, il mare di me bambino, il mare amico e familiare dei giochi, dei castelli di sabbia, dei ghiaccioli d'estate, del "coccobello" gridato fra gli ombrelloni. _ Apprendere invece che per lei è un mare livido, grigio, una nebbia di mare, dentro cui lasciare affondare la propria nebbia, mi fa effetto. _ Chissà... Deve averlo visto come una nebbia in cui fosse facile dimenticarsi di sè: cancellarsi e cancellare chissà quanti pensieri! Dimenticare tutto e dimenticarsi in un lungo, oscuro affondare... _ Mi fa male. Sento come una fitta e capisco... _ Capisco il suo essere ora in una terra di nessuno. Rifiutata dalla vita, rifiutata dalla morte. Incapace di attraversare un qualsiasi confine. _ Comprendo l’amara distanza che prova verso se stessa. Vive dentro un bozzolo di delusione, delusa e staccata da sè. C’è infatti un distacco polare nel suo raccontare. Come vedersi agire da fuori. Quasi un raccontarsi in terza persona. _ Le cose le si devono essere complicate oltre ogni immaginazione. _ Cercare una via di fuga nel mare e nella definitiva dimenticanza e adesso trovarsi inchiodata. Sbarrata ogni strada. Stare tra due limiti che ormai sono due muri. Il muro della vita. Il muro della morte. _ Seguo il nero volo della follia che le dipinge due occhi spaventati. Noto quegli occhi, occhi rimpiccioliti dalla paura, occhi che smentiscono platealmente il tono rilassato, lineare, la lentezza dei gesti e delle parole. _ Vorrei non esistessero occhi così. _ Invece ci sono. E per un attimo mi sfiorano...indugiano su di me. Ma è lo sguardo che passa sopra un tavolo o una poltrona. E’ uno sguardo cieco. Lo vedo e "la vedo"... intera la vedo, la sua cecità. _ Vorrei non esistessero occhi cosi Vorrei non esistesse questa terra di nessuno. _ Me ne vado, inutile, come sono venuto. _ Stasera in cielo c’è luna piena. _ Pedalo in bici, fissandola ostinatamente finché finalmente, gli occhi fanno male a forza di guardarla fissa. La luce mi acceca. _ Poi, dopo un poco, torno a vedere...le case, le auto, i lampioni, le righe bianche per terra, e, di nuovo, la luna nel cielo. _ Quanto è giusto...mi chiedo, che io possa ancora vederla la luna? Me lo chiedo sul serio. _Me lo chiedo_ E il mio tornare, verso un qualche tipo di casa? E se fosse quella la mia terra di nessuno? .. . . . . . . |
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...verrebbe quasi da chiederti se tu l'abbia salutata con gli occhi o con la voce quella ragazza sperduta, a volte, possiamo fare tanto o poco, magari basta una parola, una carezza e il suo mondo potebbe essere capovolto dalla tua sensibilità.....che è davvero tanta, e potresti indirizzarla verso quegli occhi che fa male vedere e anche immaginare, da come lo hai descritto con infinito amore......
RispondiEliminaforse le piacerebbe......
ciao, una serena giornata per tutti....
anna
commovente questo post... riuscivo a stare li' anche io... e a provare le emozioni mentre leggevo...
RispondiEliminae mi tornano in mente frasi e parole di chi non vuole piu' con se' la mamma per via dell'alzahimer... e mi torna in mente un giorno non tanto lontano dove ho accompagnato una vecchietta nel suo reparto "speciale" .... con le lacrime agli occhi....
e mi viene da chiedermi perche'....
ciao Carlo, buona giornata a te e a tutti ....
hai una bella penna nell'anima.
RispondiEliminaEd è quasi peccato, infrangere con un commento
ogni vibrazione dentro che scuoti con il mouse, fuori.
Ci vuole tanto coraggio ad andare verso "quel" mare.
Spesso vorrei averlo.
Sempre rimando.
Un pò come vivermi le cose che mi cadono addosso.
Grandine.
Sassi.
Emozioni.
Tanto da farmi sempre male.
Su questo struggente post posso esprimere solo SILENZIO.
RispondiEliminaChe é condivisione del tuo e del suo dolore.
Ti ammiro perchè sai raccontare anche cose "scomode". Il contatto con la sofferenza incide, come una lama.
RispondiEliminaVera
Ehilà....ci diamo da fare con la lettera alla Fabbrini???!!!
RispondiEliminaCiaoooo, Vera
...senza parole...
RispondiEliminati abbraccio
Caro Carlo, mi piacerebbe sapere che ogni tanto passi ancora a trovarmi.
RispondiEliminaIo, diversamente da te, non riesco ad usare il blog per riflessioni troppo intime e personali.
A volte sentirsi impotente, senza poter interrompere il dolore di chi ci sta di fronte, ci rende amara la vita. Ognuno di noi ha un viaggio ed il percorso è duro per tutti.
Un abbraccio
..ci sta una terra di nessuno, da qualche parte del cuore, come un miraggio incastrato tra la noia e il dolore... domani che lo diranno dove dobbiamo andare... ci sta una terra di nessuno ci si deve arrivare...
RispondiEliminaL'hai resa quasi una storia soffice. Una di quelle che non fanno poi così male. Che non aggiunge dolore al dolore.
RispondiEliminaQuesta storia in cui forse ti sei sentito di troppo. Forse sbaglio. Ma quando dici "Quanto è giusto.. mi chiedo, che io possa ancora vederla?" mi fa questo effetto. Come il tuo silenzio nella sua stanza. Come il solo osservare e volersi nascondere in un oggetto. E mi ha colpito il tuo comprenderla in una terra di nessuno che spaventerebbe chiunque.
Lei è su un filo. So che tu sapresti reggerlo...