Nel senso di marcia


 


 
     
     
     
     
 

        Per definizione non è un luogo. È tutti luoghi: è il mo­vimento, lo spazio, il paesaggio, il vento, il ritmo, la ve­locità, l’oscillazione, la vista annebbiata che non cat­tura dettagli e che fa rimbalzare i pensieri oppure, ad­dirittura, li genera. È la giostra, la corsa e la rincorsa, è un punto di vista sul mondo che protegge dal mon­do e dal suo rumore: li, di certo, si compie una magia.



 


     
 

  Non ho smesso, col tempo, di provare una sorta di infantile piacere andando in treno. Contraria­mente a quanto potrebbe apparire evidente, il treno in corsa è per me un luogo di tregua. A volte diven­ta una sorta di meditazione: produce un rimescola­mento che mi conduce a una pace rigeneratrice dei sensi e del pensiero.


 
     
 

 Il posto deve essere rigorosa­mente vicino al finestrino e possibilmente nel senso di marcia. Non cerco la conversazione con gli altri dello scompartimento, ma neppure la evito se ven­go sollecitata: sono educata e socievole, semplice­mente non preferisco parlare.
   
Individuato lo scompartimento, il primo gesto é tirar fuori dalla valigia i libri, sempre più di uno, e un notes per gli appunti. La lettura cullerà il mio transito e va da fuori a dentro.


 
     
 

  Lo scrivere diventa una necessità che chiamerei equilibratrice. Non che io abbia un progetto preciso di scrittura, semplice­mente mi dispongo ad annotare quello che certa­mente arriverà. E come se si creasse una sinergia tra la mia mente, la mano e la velocità della corsa: la se­quenza dei pensieri organizza immagini e ricordi, risolve interrogativi latenti e chiude sospesi come spesso fa il sogno.


 
     
 

 Senza sforzo annoto le parole che arrivano facili e il tremore della grafia, inevitabile data la circo­stanza, stranamente non è un impedimento ma solo una ludica variante della scrittura abituale che qui prende la forma di un geroglifico e abbandona sen­za problemi la pista orizzontale del rigo.


 In questo modo obliquo, casuale e senza progetto ho riempito negli anni recenti numerosi taccuini su­gli intercity della linea Milano-Rimini e ritorno.



 Hanno formati diversi, copertine nere o rosse o te­late, dimensioni piccole e maneggevoli. Mi è sempre piaciuto che avessero un elastico per tenere unite —forse ben chiuse — le pagine.


 
     
 

  Il più delle volte non sono riempiti fino in fondo. Dimenticato in un cas­setto, il notes di turno di volta in volta è stato sosti­tuito con uno nuovo e le pagine bianche residue mi parlano del possibile e del valore dell’incompiuto.


 
     
 

  C’è stato bisogno di un trasloco e di un immane riordino delle carte per scoprire le dimensioni dell’accumulo.


 
     
 

  Con gli anni, questi trecento chilometri tra casa e casa sono diventati il luogo di una narrazione circo­lare senza principio né fine, una sorta di diario sen­za storia, capace di legare gli eventi solo attraverso contiguità libero associative.


 
     
 

  Ma nel rileggere mi sono riconosciuta. Vi ho tro­vato le tracce più laterali di un percorso di vita sem­pre giocato in bilico tra dentro e fuori, tra senti­menti e ragione, tra le culture della mia vita, tra le mie vite, tra passato e futuro.


 
     
 

  Sono abituata a credere, anche per ragioni pro­fessionali, che l’introspezione, l’analisi, la riflessione siano sempre orientate a un ordine, alla ricerca di un senso e di un centro. Ma questo erratico percor­so che non procede mai per accumulo, in progres­sione verso una sempre maggiore consapevolezza e verso la soluzione di problemi, mi obbliga a pren­dere atto dell’esistenza di molti ordini possibili, degli infiniti centri e dell’andirivieni del senso che non arriva mai a essere uno, non tanto perché tu non sei bravo e non lo stani, ma perché questo mondo è co­sì cambiato che ci obbliga a fare i conti col para­dossale ordine del caos.


 
     
 

 Se mai c’è stato un passato in cui le biografie po­tevano essere lineari, il tempo coeso e gli spazi fa­miliari a causa di abitudini semplici, oggi non è cer­to più così. Gli scenari del cuore e del mondo mu­tano vertiginosamente, lo smarrimento è la nostra condizione, conoscere molte lingue e molte scrittu­re una necessità per sopravvivere.  Il viaggio non si compie più attorno a un centro, ma è ai confini che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo.


 
 

 


 
 

  La vita ci vuole artisti capaci di ridisegnare ogni volta un am­biente, una geografia del pellegrinaggio.


 
     
     

 



[ "Qui e là - Visioni dai luoghi"  A. Fabbrini, Archinto, 2006 ]


   
     
     

Commenti

  1. Spero di ritornare prestissimo a rileggerti, come si deve...
    Questi ultimi post son tutti molto allettanti.

    Ancora auguri, e auguri e auguri...


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  2. Spero di ritornare prestissimo a rileggerti, come si deve...
    Questi ultimi post son tutti molto allettanti.

    Ancora auguri, e auguri e auguri...


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