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«E’ buono... » Mio padre annuisce mentre beve il suo bicchiere di granatina. «E’ buono…» Che sorpresa udirlo pronunciare questa frase che l’ha accompagnato così poco nel corso della sua vita. . Per quanto indietro io vada, non credo di aver mai sentito queste due parole affiorargli alle labbra. Ed ecco che ad ottantanove anni, rinchiuso nel morbo di Alzheimer, gli esce un assenso voluttuoso: «E’ buono». Beve il bicchiere a piccoli sorsi. Ora la sensazione di piacere sembra scemare. Alla fine credo persino che torni a quel concetto di dovere che invece non lo ha mai abbandonato. Bisogna a tutti i costi finire il bicchiere, finire il piatto. . Negli ultimi anni di piena coscienza mugugnava di fronte ai piatti colmi che gli mettevamo davanti, soprattutto al ristorante. Non aveva fame ma andava fino in fondo al supplizio, metodicamente a furia di pane; una abitudine presa fin dalla più tenera infanzia. Andava fino in fondo perché era inconcepibile non finire il piatto. Lo esigeva una morale complessa; le sue origini contadine lo obbligavano a onorare ogni abbondanza, fosse anche inflitta. : Tre o quattro anni fa, l’ho visto alzarsi stanco con le gambe molli, sedersi davanti al caffèlatte e mormorare: «Sono spacciato». Ma ora che se n’é andato altrove, in una semisonnolenza apparentemente soddisfatta e rassegnata, eccolo che dice «E’ buono». E’ buono. Non sono parole che si dicono a caso. Il padre che ho conosciuto prima si sarebbe forse sentito tradito per averle pronunciate? Mi ricordo quando tornava su dal giardino, nelle giornate estive più calde, nell’opprimente calura d’Aquitania. Io rientravo da una partita di calcio o da una corsa in bicicletta. Appoggiavo la bici contro il muro di casa mentre lui si lavava le mani lì accanto, al rubinetto esterno. Mi lanciava uno sguardo che non era proprio di rimprovero, ma in cui affermava il trionfo della sua concezione di dovere, l’evidente soddisfazione che aveva nel mostrarsi sudato di un sudore serio. Mia madre gli serviva un bicchiere di birra e gazzosa, che lui beveva ringraziando, ma senza dire é buono. . Ora che tutto é passato che non tiene più le redini – oggi gli hanno cambiato camera per rifare il pavimento e non ha mostrato neanche un po’ di sorpresa -, che senso ha questa confessione di piacere che ripeterà a cena quando assaggerà il dolce alla vaniglia? . L’ho sentito dire «E’ buono». Due volte nella stessa giornata. Due volte in cinquant’anni. Si sente forse meglio, libero da tutte le tensioni che abitavano la sua vita di adulto? Oppure in lui l’espressione del piacere é una sorta di estrema stanchezza, di abbandono contrario alla sua natura? Poco importa, dopotutto. Non conosco mio padre alla perfezione. Dice é buono, gli piacciono le cose zuccherate, la granatina e il dolce alla vaniglia. Dice é buono, e probabilmente l’ha pensato spesso senza dirlo. E’ più se stesso o lo é di meno?
Dice é buono.
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Il padre é più se stesso... Ora.
RispondiEliminaè un magnifico racconto!!!
RispondiEliminachicca
Struggente.
RispondiEliminaSecondo me è se stesso più di quanto lo sia stato in tutta la sua vita! Un bacio
RispondiEliminaesisto ancora :)
RispondiEliminaio non so che succede, ma aprendo il tuo blog mi sono apparse 40 finestre che mi chiedevano di installare qualcosa... non e' che hai installato un contatore stats?
ciao Carlo.... ^^
da brividi
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