La parola resistente

 


 

































































     
     
     
 

         Scelga il lettore una parola qualsiasi, la dica molte volte di seguito — a poco a poco andrà perdendo senso e densità, fino a trasformarsi in un articolazione sonora incoerente, che non esprime più nulla.
        Arrivato a questo punto critico, nasce in lui un moto di panico: deve recupe-rare la parola distrutta, impastarla di nuovo nel complesso di emozioni che le restituiscano l’antica e familiare fisionomia. E un’esperienza semplice che serve a mostrare il nostro estremo bisogno delle parole per continuare a essere.
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Se troverà l’introduzione pretenziosa, il lettore la dia per non letta. Né io l’avrei scritta, se non avessi qui sotto gli occhi una parola che ha resistito a tutti i miei tentativi di polverizzazione: non per niente da secoli andiamo dicendo che l’eccezione conferma la regola.
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Tale parola è «orizzonte». Sono arrivato a pronunciarla cinquanta volte. Dopo questa sgobbata, ho finito con il ritrovarmi io dentro una sfera risonante, al centro di un vertiginoso e inaccessibile cerchio. E' stato allora che ho scoperto il prestigio di questa parola, prestigio che le deriva dal particolare carattere di ciò che esprime.


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Vediamo perché. L’orizzonte, secondo le definizioni correnti, è la linea in cui il cielo sembra confondersi con la terra o con il mare. In qualsiasi direzione l’osservatore si sposti, la linea dell’orizzonte si sposta con lui. Si va formando così una successione di cerchi secanti, come se l’osservatore spingesse lo spazio davanti a sé e si trascinasse dietro una cortina distante, che è il limite della sua portata visiva. Dal che si conclude che nessuno potrà mai trovarsi all’orizzonte. In qualsiasi punto ci troviamo, l’orizzonte è sempre un’immagine  che ci sfida, che ci promette meraviglie. Gli andiamo incontro e subito si allontana, per ricominciare a lusingarci.


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Tutto ciò, come il lettore avrà ormai capito, ha due sensi: il proprio e il figurato. L’uno è quello della realtà fisica, contro il quale nulla possiamo, dal momento che non ci è dato stare qui e là allo stesso tempo, essere simultaneamente l’osservatore e l’osservato, stare dove si sta e anche nella linea dove il cielo, ecc. ecc. Di questo senso non curiamoci per buona pace della nostra sanità mentale.


L’altro senso invece (quello figurato) fa al caso nostro. Mi riferisco ora a un orizzonte trasposto sul piano della realizzazione personale, nei trentamila rami in cui essa può proiettarsi. E ciò è molto più importante che avere il dono dell’ubiquità.
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        E’ chiaro che anche in questo caso la linea dell’orizzonte si sposterà a ogni passo che faremo. Oltre l’orizzonte c’è lo spazio infinito. La brevità della vita (della nostra vita) non consente un lungo tragitto sulla strada delle realizzazioni possibili. Ma, a pensarci bene, questa vita non avrebbe molto senso se non fosse, o non dovesse essere, un continuo sforzo per raggiungere orizzonti — anche se essi non si tro­vano più dove li avevamo visti prima.



         Oggi mi è venuta così. Altre volte mi è capitato di raccontare casi reali o storie inventate, intricate al punto che non riesco più a distinguere dove finisce la realtà e dove comincia l’invenzione.
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Stavolta, nel silenzio e nell’isolamento in cui lavoro, è stato come se per magia mi fossi sdoppiato e mi vedessi camminare, sicuro e ostinato, nel paesaggio interiore della mia umanità, con gli occhi a un orizzonte cui nego l’inaccessibilità — perché è là che vado. Come chi si arrampica su una lunga e scabra corda, ben sapendo quanto lunga e scabra sia, ma a cui impongo la realtà del volere e di questa indefinibile certezza che non perdo neppure quando sembro annegare nei dubbi. Non c’è altra via se non quella in cui possiamo riconoscerci in ogni gesto e in ogni parola, quella della tenace fedeltà a noi stessi.

        Oggi mi è venuta così, lettore. Abbi pazienza e volta pagina.


 
     
     
     
 

                           [ da "Di questo  mondo e degli altri" - J.SARAMAGO ]


 
     
     
     
     

Commenti

  1. l'orizzonte, il mio orizzonte.
    seduta, accolata mentre sguardi si perdono...suoni vibrano dentro...onde che ti avvolgono.
    bella, bella
    Nefer

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  2. Pochi luoghi come le alture dei fari danno il senso dell'orizzonte da scrutare. E questa musica dà il senso dell'essere contenuti in una sfera dai mille orizzonti.

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  3. Esperienza fatta con il mio nome.
    Serve per disindentificarsi.
    I risultati sono molto simili ;)

    Buon fine settimana caro

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  4. Una riflessione molto interessante. Da bambina chiesi a mio padre dove finisse l'orizzonte e ricordo che lui mi rispose: "La prima volta che vedrai l'arcobaleno dopo il temporale, ecco è là che finisce l'orizzonte. Quando sarai grande potrai andarci". Bello vero?
    Buona domenica
    Gianluisa-Bessola

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  5. Ciao questa tua riflessione sul senso delle aprole mi ha fatto venire in mente che da bambina facevo lo stesso gioco di ripeterle all'infinito. Ed è verissimo che a volte il senso delle parole da un indirizzo e un senso alle nostre vite...ricordo che una volta ripetendo all'infinito la parola "tappeto" ne dimenticai il significato e ripetendo e ripetendo me ne venne in mente un altro, tappeto, come canneto o aranceto e la visione di un campo pieno di una distesa interminabile di tappi di sughero, fu così forte che cominciai a ridere da sola rotolandomi per terra...ricordo ancora la mia allegria. Forse è questo che significa creare, creare allegria da un suono, o meglio trasformarlo...in qualcosa di diverso...ciao Letisha

    e grazie per gli spunti di riflessione

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