I FARI [1°]


 

     
     
     
 
Amare il mare, coglierne il fascino, avvicinarsi al suo mistero... . Descrivere il fascino del mare “fisico”, quello a cui ci affacciamo ogni volta incantati, camminando sulla sabbia o inerpicandoci sulla roccia di uno scoglio, é parte essenziale di questo blog. Tuttavia, non é certo in questo, che si esaurisca il mio concepire “Curiosi del mare”.

Il “mare” a cui tendo,  prende sicuramente spunto dal mare che conosciamo tutti, quello fatto di acqua e sabbia, ma va ben oltre: lo comprende ma non si esaurisce in esso. E’ un mare più vasto, multilivello, un “mare dell’essere” quello che mi attira irresistibilmente e che ha originato l’idea di questo blog. Eppure mi viene da pensare che questo “mare ontologico” in pochi, determinati ed precisi luoghi, arriva a toccare il mare "fisico". E che in quei luoghi eletti, i due concetti si compenetrino.

Dove accade questo?
Accade ad esempio quando  il mare, quello di onde, vento, gabbiani impregna del suo fascino alcuni luoghi di terra. Luoghi che da un certo punto di vista appartengono saldamente alla terra, ma che si affacciano anche sul mare come su di un enorme, vertiginoso abisso: l’abisso del Mistero.

A cosa penso? Penso ai fari. . I fari come luoghi sospesi fra terra, cielo e mare. Luoghi di confine. Luoghi dell’altrove per definizione. Luoghi dello spaesamento.

E io stesso... come li ho sempre avvertiti i fari?
Come spazio sacro della fantasia. Luogo dell’immaginazione per eccellenza, luogo in bilico fra realtà concreta e mistero. Fra la consistenza aspra del sasso e il frangersi della marea. . Frontiera dell'inquietudine  fra scogli e bufera .
. Un punto sospeso fra terra, mare, cielo, giorno e notte, luce e buio, mondo conosciuto e ignoto. .
Il faro rappresenta ai miei occhi un magnete puntato al cuore, una sorta di calamita di potenti sensazioni ed emozioni.
I fari…voragini irresistibili per l’immaginazione di qualsiasi uomo.
 
     
     
     
 
Queste alcune delle ragioni per iniziare da oggi una serie di Post sui fari.

 
     
     
     
 
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La storia dei fari risale ad epoche lontanissime e si sviluppa di pari passo alla storia della navigazione umana. All’inizio erano semplici falò alimentati da fascine di rami e arbusti tenuti accesi durante la notte su punti strategici delle coste. Servivano a segnalare zone pericolose per le imbarcazioni che s’avventuravano in mare aperto. Potevano indicare scogli affioranti, secche difficili da scorgere, vortici di correnti e gorghi da evitare. E insieme servivano a segnalare la rotta  per rientrare nei porti o per raggiungere punti d’attracco o insenature al riparo dei venti.
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Gli antichi naviganti avevano una buona conoscenza della volta celeste e quella utilizzavano di norma per tracciare la rotta e per raggiungere gli approdi commerciali. Ma il cielo non era sempre disponibile e le correnti marine spesso portavano a notevoli “derive” rispetto ai calcoli.
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Di qui l’esigenza per i primi marinai di non abbandonare l’orizzonte ottico, di non allontanarsi mai del tutto dal profilo delle coste. Il Mediterraneo in questo, era il mare ideale, sia per l’elevato sviluppo della linea costiera sia per l’essere disseminato da un grande numero di isole. In questo modo avere a disposizione anche di notte e anche con cielo coperto, un punto di riferimento luminoso, era di grandissima utilità.
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Di qui l’importanza dei fari e l’affermazione definitiva della stessa immagine della luce come guida per l’uomo nelle tenebre. L’immagine del fuoco come guida nel buio, per chi  si avventura sul nero mare era così potente che entrò presto anche nel mito. Lo stesso Omero arriva a paragonare il luccichio dello scudo di Achille ad uno di quei fuochi  che dalle alture rendono sicura la via ai naviganti. (canto XIX dell’Iliade).
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Fra i tanti autori antichi che utilizzarono l’immagine del fuoco quale guida nell’oscurità ci sono Ovidio e Virgilio. Entrambi  narrano la leggenda di Ero, la sacerdotessa di Afrodite e del suo amante segreto, Leandro, che ogni notte attraversava a nuoto l’Ellesponto per raggiungerla, guidato da una fiaccola che lei teneva tra le mani per illuminargli la via. Ma una notte il vento arriva a spegnere quella fiamma e Leandro ormai senza più una guida, si perde tra i flutti, mentre Ero, lo segue immediatamente dopo, precipitandosi in mare  in preda alla disperazione.
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Da epoche remote quindi il fuoco veniva acceso in determinati siti che da quel momento assumevano una valenza sacra, in quanto luoghi che proteggevano la sorte dei naviganti.
Se già all’epoca di Omero, la navigazione nel Mediterraneo era entrata nell’immaginario collettivo,  i suoi stessi versi contribuirono ad una capillare diffusione del mito di Ulisse, ovvero il navigatore inesausto quale metafora della vita e dell’avventura umana.
Ma più ancora che i Greci, un altro popolo arrivò a fare della navigazione, dello scambio commerciale e dello spirito avventuroso il motivo stesso del suo successo. Attorno al 1200 a.C. un popolo misterioso si diffuse a macchia di leopardo a partire dal Libano e dalla Siria fino a fondare innumerevoli colonie in tutto il Mediterraneo.
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Per i Greci divennero i “φοινίκές” (phoinikes), cioè “i rosso-porpora” dal colore delle stoffe (o forse anche dal colore delle vele delle loro imbarcazioni), rosse perché tinte con un pigmento ricavato da una  strana conchiglia, che commerciavano, insieme ad olio, vino e legno di cedro.
Alcuni discendenti dei Fenici andarono poi ad insediarsi sulle coste dell'odierna Tunisia, là dove sarebbe sorta, qualche secolo dopo, la città di Cartagine (cfr. il mito di Didone ed Enea). I Romani finirono per  designarli con un termine molto simile al greco “phoinikes” ovvero “punici”.
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Con i Fenici si diffuse l’uso di accendere falò all’ingresso dei porti e di costruire alte impalcature per sollevare in alto delle ceste dentro le quali veniva mantenuta accesa una fiamma per tutta la notte.
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Trascorsero diversi secoli prima che si affacciasse l’idea di edificare strutture fisse per sorreggere quei fuochi. Solo intorno al 300 a.C. fecero la loro comparsa i due più famosi fari dell’antichità, il Colosso di Rodi ed il faro di Alessandria, i primi esempi di fari monumentali, che vennero immediatamente inseriti fra le meraviglie del mondo antico.
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Il colosso di Rodi era una figura antropomorfa, - rappresentazione del Dio Elios - che stando alle notizie arrivate fino a noi, presidiava l’ingresso del porto di Rodi. La statua era alta 32 metri, sorreggeva un grande braciere e fra le sue gambe transitavano le navi che entravano ed uscivano dal porto.
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Costruito da Cario di Lindos nel 290 a.C. sembra che fosse sorretto da una struttura metallica sottostante ricoperta di bronzo ma ebbe però vita breve, in quanto crollò circa 80 anni dopo in seguito ad un forte terremoto avvenuto nell’Egeo.
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Queste notizie ci vengono fornite da Plinio il Vecchio, che visse alcuni secoli dopo, ma che può esserne venuto a conoscenza attraverso i molti libri letti nel corso della sua vita.
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Il faro di Alessandria, era invece costruito sull’isolotto di Pharos e indicava l’esatto imbocco del porto di Alessandria d’Egitto evitando ai marinai il rischio di inoltrarsi nelle vicine paludi del delta del Nilo.
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La torre fu portata a termine nel 280 a.C. dall'architetto Sostrato di Cnido su commissione del re Tolomeo Filadelfo.
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Alta più di 120 metri, la sua luce poteva essere vista a 30 miglia di distanza. Questo faro a differenza di quello di Rodi ebbe una vita lunga sebbene travagliata, tormentata da numerosi terremoti  e crollò definitivamente solo nel 1302 d.c.  Per gli uomini in mare che navigavano nell'oscurità, questo chiarore amico che li rassicurava e li riconduceva verso terra, appariva addirittura un prodigio, tanto che proprio dall'isola di Faro, e da quel fuoco prezioso, derivò uno degli attributi della dea Iside, detta appunto Faria. A lei, protettrice della navigazione, i marinai in pericolo a quel tempo rivolgevano le loro preghiere. Il faro di Alessandria é anche il primo faro di cui si abbiano notizie storiche certe.
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Pharos con la sua monumentale torre in questo modo venne a designare con il suo nome, tutti gli altri monumenti simili nei secoli a venire.
 
     
     
     
 
                                  
 
     
     
     
     
 
 

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Commenti

  1. Pardon, ti ho "rubato" un faro per il mio blog.
    Un Abbraccio...

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  2. Io penso, che mi emoziona leggerti...
    Io penso, che tu sei un faro, e la tua luce conduce in un porto sicuro...
    Io penso, cosa penso, che è bello leggerti e in quel mare mi tuffo dentro.
    Ciao
    Nefer

    ps(questa volta sono arrivata seconda, mi perdoni?)

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  3. @ Caos:

    hai fatto benissimo
    spero che ti regali un pò di luce.


    @ lucialabella

    A me emoziona il fatto che qualcuno possa arrivare a cogliere quello che sta al di là delle mie parole. Significa che non sono pazzo, intanto. E che quel fascino particolare dei fari non afferra solo me. E questo, ripeto, mi rassicura..
    grazie Nefer

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  4. No che non sei pazzo...non nel senso comune...ma pazzo della Divina Pazzia...che anima le persone più belle che ho conosciuto...

    :-)

    Letisha

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  5. io vorrei vivere, ora, in un "faro"...

    tu fai sorgere ai lettori del tuo blog, con i tuoi post, mille domande (è "bene così", come mi hai scritto) e li vizi con tutto ciò che scrivi è con le fotografie...

    un sorriso
    aura

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  6. blog il tuo da scartare come un regalo...
    :) aura
    vorrei vivere, ora in uno dei fari, "luoghi sospesi fra terra, cielo e mare. Luoghi di confine. Luoghi dell’altrove per definizione. Luoghi dello spaesamento."...

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  7. Hai scelto un argomento molto interessante e hai scavato a fondo, come sempre fai tu, in due direzioni: storica in questo caso la prima ma la più importante e che fa riflettere interiormente, è quella simbolica. Le foto poi son da sballo!!! Complimenti. Buona giornata.
    Bess

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  8. I tuoi post sono magie. Non posso dire altro se non grazie.

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  9. Il mare ha il suo nome 
    non domandare niente
    a chi di giorno ha l’ oro che brucia gli occhi
    non capireste
    non domandare niente
    a chi di notte ha l’ argento che inganna il faro
    non capiresti.
    Non capiresti mani d’ulivo buone per cucire vele sui moli e picchiar di morra nelle osterie
    non per suonare su ebano e avorio nei salotti a inutili dogi non di famiglia
    ma armoniche da avvinghiare su scogli di reti ;
    fieri che dopo nove mesi sulla rotta dei monsoni quella musica non si sarà perduta
    Ma ritrovata in un accordo strillato da denti da latte.
    Non domandare niente
    non rubare tempo  a chi ne ha solo
    per preparare quel che sa ,
    niente di più.
    il mare ha il suo nome,
    Non capiresti,
    il mare.

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  10. Ciao, Carlo, guarda da me che c'è un post ispirato da te!

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  11. Split Rock - Lago Superiore - Minnesota

    Un faro su un lago che sembra un mare, in un luogo dal sapore di finis terrae, ancora pieno dei ricordi degli uomini che quel faro costruirono direttamente dal lago (le strade terrestri sarebbero state costruite dopo). Per dirti che ho centellinato le tue parole e che le ho gustate a fondo, e (forse) anche capite.

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  12. Bellissimo questo post, bellissime le foto. Indescrivibili le emozioni che mi da il mare. Un bacio

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  13. il mare è la mia vita!!
    vivo per buona parte dell'anno sul mare, è diventato parte di me, il mattino affacciarsi e verlo lontano che si confonde col cielo , riempie il cuore e la mente di pensieri infiniti!!
    ma il mare d'inverno è speciale, è il mare del cuore e delle emozioni!
    chicca

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  14. bellissimo post, i fari sono costruzioni magivhe, le adoro! me parlo anche nel mio blog.

    un caro saluto

    azzurra

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  15. Il mio è un commento molto tardivo, ma ho scoperto solo ieri il tuo blog. Davvero belle le fotografie che pubblichi, interessanti le cose che scrivi... tornerò spesso a leggere gli arretrati, soprattutto quelli sul dialetto romagnolo.
    ciao MQ

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