L'ALBERO 
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3° ]


 






  


















   
   
   


  


  


 
















   
   
   


 





































































































































































































































































































































     
     
     
     
 

L’albero e gli opposti


 
     
     
 

Quando muore un albero, muore anche la sua ombra.


 


 


        Proverbio africano
      
 
     
     
     
 

 L’albero è una potente e vivente immagine di sintesi. Esso è simultaneamente radice e chioma, ancorato alla terra ed elevato verso il cielo, simultaneamente nutrito dalla doppia circolazione della sua linfa ascendente e discendente. Da questa simultanea relazione basso-alto, terra-cielo dipende il suo essere, che ce lo rende immagine perenne di vita.


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    Il suo dinamismo è evidente, anche se le sue radici non si scollano dal terreno. Fissato per sempre alla sua terra di origine, in una apparente immobilità, non smette mai di crescere e di rinnovarsi fino a quando muore. Questa sua costante creatività trae origine e sboccia dalla duplicità delle forze, apparentemente contrarie ma di per sé complementari, che nell’albero perennemente interagiscono e si esprimono in una sintesi continuamente rinnovantesi.

     Tra le prime coppie di opposti, quella della stabilità e della flessibilità, che ci rimandano alla categoria duro-morbido. La durezza del tronco determina la stabilità dell’albero e gli consente di spingersi verso l’alto, resistendo a tutte le difficoltà ambientali e atmosferiche. Ma la durezza del tronco è temperata dalla morbidezza del fogliame, che concede alla chioma di piegarsi al vento, trasmettendo all’albero quella flessibilità che gli permette di non venire spezzato. Quante volte abbiamo osservato un albero gemere nella tempesta, piegato sotto le raffiche del vento e tanto più resistere quanto più capace di assecondarle? E’ l’aspetto morbido che dà vita a quello duro e viceversa. E’il bilanciamento che permette la stabilità.  


Così avviene anche per l’uomo. Chi è troppo duro si spezza, chi è troppo morbido soccombe. Ma chi sa essere l’uno e l’altro insieme, cresce attraverso le difficoltà ambientali e relazionali, che diventano occasioni di maturazione personale. Perché nella nostra debolezza sta la nostra forza e nella nostra forza sta la nostra debolezza. Che insieme coniugate si esprimono nella dialettica del no che si oppone e del sì che si apre.


Poi ancora la continuità rappresentata dal tronco che, permanendo se stesso, costantemente si sposa al mutamento della sua chioma, sembrano esprimere il costante e simultaneo matrimonio nella vita dell’albero delle dimensioni dell’essere e del divenire. Così è anche per noi. La continuità della nostra storia personale e collettiva si esprime attraverso il mutamento permanentemente rinnovato delle nostre stagioni interiori.


Ma l’albero ci parla soprattutto di elevazione e di espansione. Più stabile e robusto è il tronco, più esso si innalza verso l’alto in verticale, mentre le sue radici si scavano nella dimensione del profondo una possibilità di vita tra mille difficoltà. Come se una percezione intelligente le guidasse verso quel dove vitale, che può assicurare loro la vita. Lo sforzo doloroso dell’unione del basso e dell’alto è segnato dai contorcimenti del tronco, che ci rivelano la sua fatica di crescere, che è anche la nostra. E mentre esso sale polarizzato verso la vcrticalità, la chioma si espande nelle varie direzioni dell’orizzontalità. Ed è tanto più ampia quanto più forte e sicuro è il sostegno. Quanto più l’uomo è autocosciente e ha conquistato il suo centro interiore, donde si pone in relazione con i livelli spirituali sull’asse Io-Sé, tanto più la sua azione può espandersi creativamente nel quotidiano. Quanto più la relazione tra la personalità e l’anima è stabile, tanto più ci permette di agire con volontà di bene per restituire alla vita i talenti che essa ci ha donato. 
     Perché la psicologia delle vette è anche psicologia degli abissi e contemporaneamente psicologia della relazione, che coinvolge costantemente il nostro dentro come il nostro fuori.


 


 E’ lo spazio relazionale che ci mette alla prova, saggiando la stabilità del nostro tronco per aiutarci a superare la trappola delle identificazioni con i modelli che abbiamo introiettato, che fanno da filtro per la lettura del mondo e dell’altro, trasformandosi in inconsapevoli proiezioni dei nostri vissuti.


 


In sintesi possiamo dire che come l’uomo anche l’albero è attraversato da una doppia corrente energetica Yang e Yin, vale a dire maschile e femminile, che si esprimono e si coniugano in una serie di aspetti opposti ma complementari, da cui dipende la vita stessa dell’albero. Questa intuizione è presente nella lingua latina, in cui tutti i nomi degli alberi sono declinati al maschile, mentre l’aggettivo che qualificandoli li accompagna viene declinato al femminile (populus alba,ficus religiosa, abies rubra eccetera). Come a dire che l’aspetto esterno dell’albero evoca la percezione di un essere al maschile, tanto che viene anche considerato simbolo fallico, mentre le qualità interiori si rivelano di tipo femminile. Per cui si può parlare anche di modalità paterne di sostegno per il tronco e materne di nutrimento per la chioma, come viene evidenziato anche in certe immagini tramandate soprattutto dall’arte egizia e indiana. Così dovrebbe essere per l’uomo che ha saputo integrare dentro di sé, indipendentemente dal suo sesso, il duplice aspetto della sua energia psichica, coniugando nei suo processo di autorealizzazione le proprie valenze sia maschili che femminili. Alla maniera dell’albero.
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   A questo proposito il saggio cinese Lao-tse definiva nel XIII secolo l’uomo realizzato come colui che « sa di essere maschile ma si mantiene al femminile ».  Anche dall’alchimia e da Jung l’albero è considerato androgino, solare e lunare, nel suo perpetuo e simultaneo esprimere l’incontro tra il suo maschile e il suo femminile. Come l’Adamo delle origini, prototipo dell’uomo universale, che custodiva in sé la sua Eva, prima che essa venisse estratta da lui per dare vita nella dualità dei sessi al divenire dell’umanità.


 
     
     
     
     
 

La foglia e la luce.


 
     
     
 

Donami la saggezza così che possa conoscere la lezione


che hai celato in ogni foglia e in ogni pietra.



Preghiera amerinda


 


 


Nel Verde del vivente respira tutto ciò che vive.


 


R. Steiner


 
     
     
     
 

      La foglia è la parte più fragile e contemporaneamente più importante dell’albero. Laboratorio della luce, fonte prima della vita, trasforma l’energia del sole in energia chimica e permette con la fotosintesi la conservazione e lo sviluppo della vita stessa sulla terra. Aspetto femminile dell’albero, ne definisce la qualità (nigra, alba, rubra...) come verifichiamo nei nomi latini della botanica.
    Se l’albero viene privato delle foglie per agenti atmosferici nocivi, come ad esempio le piogge acide, dopo poco è destinato a morire. Consapevole della loro importanza esso si adopera a dispone lungo i suoi rami nel modo più idoneo per captare la luce secondo una sequenza matematica e insieme geometrica, definita dai numeri di Fibonacci. Questo perché esse possano svolgere la loro funzione di pannello solare, captatore di energia luminosa per mezzo della clorofilla, che dà alle foglie il loro caratteristico colore verde.
   Ma sappiamo che l’energia lu
minosa viene trasformata in energia chimica e accumulata come nutrimento per l’albero, che diventa in questo modo simile a una batteria alimentata da un pannello solare.
  
Sappiamo anche, mentre la nostra meraviglia aumenta, che la foglia funziona come depuratore dell’atmosfera e contemporaneamente come una fabbrica di glucosio. Attraverso numerosissime bocchette disposte sulla sua pagina inferiore, chiamate stomi, aspira l’aria e trattiene l’anidride carbonica che viene trasformata in glucosio, subito utilizzato o stoccato come amido o lipidi, mentre il prodotto di scarto di questa trasformazione è l’ossigeno. Ossigeno che permette all’uomo e agli animali e alle piante stesse di respirare e quindi di esistere. Come a dire che la vita sul nostro pianeta dipende dalla foglia, che diventa così «madre dei viventi», ancora come l’Eva delle origini.
    La foglia è anch’essa peraltro un tessuto vivente e come tale consuma ossigeno per respirare e perde acqua per traspirazione. Vale a dire «respira e suda» e quindi interagisce con l’ambiente e ha con questo un rapporto dinamico. Come effetto foresta finisce col condizionare il clima rendendolo più morbido e umido. Ma anch’essa è dal clima condizionata. Alle nostre latitudini siamo abituati al ciclo annuale della vegetazione arborea, che ha quattro stagioni come le età dell’uomo.


    Se ci ponessimo dalla parte delle foglie vivremmo la freschezza della primavera, lo splendore dell’estate, la nostalgia dell’autunno, l’annullamento dell’inverno. Quando cadono le ultime foglie l’albero rimane spoglio, apparentemente morto, chiuso nel silenzio del suo abbandono, fatto terra che si spegne in assenza della vita come ci ricorda il mito di Demetra e Core.


    La voce delle foglie mosse dal vento nei tempi più antichi diventava oracolo messaggero dello spirito della vita, le cui parole venivano tradotte dalle varie Sibille, sacerdotesse dei boschi e dei luoghi sacri. Nella foglia l’albero vive la sua potenza e la sua caducità, che gli ricorda di essere inserito in e dipendente da un ritmo più vasto, a cui es so si adegua. Così dovrebbe essere per l’uomo, che si riconosce parte del cosmo e partecipe delle sue leggi.


   Le foglie caduche permettono alla pianta di ridurre al minimo le sue funzioni vitali per superare il periodo invernale e i periodi di siccità. Dove la luce, l’umidità, il calore sono costanti il ritmo vegetativo non conosce soste e il fogliame è perenne. La caduta delle foglie lì avviene solo in funzione del rinnovamento dovuto all’accrescersi dell’età, mentre le conifere, tra cui l’abete natalizio, con le loro foglie aghiformi sopportano lo stato di totale quiescenza e non rischiano di essere sopraffatte dal gelo e dalla neve. 



Così è per l’uomo che ha imparato a governarsi nelle varie situazioni della vita, ponendosi al centro e dentro la profondità di se stesso e non alla superficie dell’esistenza, dove si è sconvolti se arriva il vento di burrasca o il gelo dell’inverno.


 
     
     
     
     
 

 


 
     
     
     
     
     
     
 

L’albero spoglio


 
     
     
   

Si sta


come d’autunno


sugli alberi


le foglie


 


G. Ungaretti


 
     
     
 



Nudo, spoglio ci appare l’albero d’inverno. Le sue radici aeree battute dal vento e dal freddo sembrano braccia alzate verso il cielo lontano. In autunno ha visto ad una ad una le sue foglie cadere fino a rivelare la trama nuda dei suoi rami, la sua forma essenziale. Ancora più solo, nell’apparente morte dell’inverno, sappiamo però che in segreto l’albero prepara la sua primavera.


Anche noi dovremmo saperci spogliare attraverso le stagioni della nostra vita, che sono quattro come quelle dell’albero, delle « foglie »che ci hanno via via rivestiti. Immagini di ruolo, identità legate alle varie età della nostra vita, che rischiano di diventare maschere che alterano il nostro vero volto, impedendoci di evolvere. Che sarebbe di noi se non ci separassimo dal ruolo di figlio e dalle sue dipendenze? Diventeremmo adulti solo fisicamente, perché il processo della vita è comunque inarrestabile. E se non ci separassimo dal ruolo di genitore? Impediremmo ai nostri figli di crescere e di individuarsi. Così è anche per i vari ruoli professionali e sociali che rivestiamo nella nostra vita. Se essi cessano di essere «veste» e diventano invece «volto» da cui far dipendere la nostra identità, quando inevitabilmente dovremo lasciarli rischieremo una crisi di disorientamento e spesso di depressione.


 


Crescere equivale infatti a trasformarsi, ma ogni tras-formazione che è passaggio attraverso le forme, ci chiede di allenarci alla separazione, soprattutto da quegli aspetti della nostra vita che più ci hanno gratificati e che, se diventano fissazione, ci impediscono di evolvere.
Quante volte, ad esempio, per paura di non essere all’altezza, per paura di sbagliare ci siamo bloccati nel controllo del perfezionismo? Imparare a «morire a noi stessi» è la lezione che ci viene dall’albero nel suo autunno, perché nulla di nuovo può nascere se qualcosa di vecchio non muore. In tutte le tradizioni spirituali ci è chiesto di « spogliarci » e anche di rinunciare alla cosa più cara. In questo caso all’immagine di noi con cui ci siamo maggiormente identificati, spesso come compensazione di un aspetto che abbiamo negato. Il processo di spoliazione equivale a quello di purificazione, raccomandato a livello spirituale come indispensabile per ritrovare la nostra nudità, vale a dire la nostra verità. Spogliarci di tutte le maschere che alterano la nostra identità profonda, imparare a separarci è la condizione prima per poter rinascere, per aprirci come l’albero a una nuova stagione della nostra vita.


 


La ciclica spoliazione dell’albero ci insegna visivamente che il processo di crescita è fatto di tante apparenti morti, necessarie per ulteriori rinascite. Come l’albero che, se non accettasse di lasciare la foglia cadere, impedirebbe alla nuova gemma di aprirsi. E se non permettesse al frutto di staccarsi, impedirebbe al seme in esso rinchiuso di trasmettere la vita. Così come le foglie d’autunno vanno a concimare le radici dell’albero, anche le esperienze della nostra vita, concretate nelle immagini di noi che ci hanno accompagnati, possono nel distacco concimare anch’esse le nostre radici per rinforzare il tronco, che ci permette di crescere in altezza.


 


   Gli alberi sempreverdi sembrano invece per contrasto sfidare le leggi della natura, diventare immagini del sogno di una vita che eternamente si perpetua. Anche quando si presenta come morte. E ciò spiega la presenza dei sempreverdi nei cimiteri, soprattutto sotto forma di cipressi che con la loro forma verticale e affusolata sembrano dita puntate verso il cielo, «paradiso» sempre verde, dove eterna è la vita che non viene scandita dal tempo. Per questo accanto all’albero spoglio compare l’Albero di Natale, anch’esso sempre verde, che ci porta il messaggio di una continuità della vita, pur nell’apparente morte, come lezione estrema che ci invita a rischiare sempre la speranza per non finire nel relativismo e nella filosofia del nulla.


 
     
     
     
     
 

L’albero e il fuoco


 
     
     
 

L’albero invero può diventare una fiaccola ardente.


 


Novalis


 


 


Vìvere ardendo e non sentire il male.


 


G. D’Annunzio



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



   Abbiamo ormai perso coscienza del legame primitivo esistente tra l’albero e il fuoco. Eppure l’albero è stato spesso immaginato come «padre del fuoco», perché non solo lo mantiene come legno che arde, ma lo può anche produrre. L’etnologia ci conferma che i primi acciarini usati dall’uomo sono stati due pezzetti di legno, spesso uniti e in forma di croce, che producevano una scintilla per attrito o per sfregamento. Questo procedimento primitivo per produrre il fuoco era usato ancora nell’Ottocento dai Melanesiani. Stupisce scoprire questa natura ignea dell’albero, favorita probabilmente dalle resine che si formano nel legno. Comunque questo ha fatto sì che l’albero fosse il primo portatore e alimentatore del fuoco sulla terra. Esso è stato per gli uomini anche l’unica fonte di luce e di calore fino a non molti secoli fa. E ancora oggi è così in alcune aree del pianeta.


Ci appare chiaro perciò come tutte le culture e le civiltà umane siano state costruite sulla utilizzazione del legno e del fuoco. I sentimenti di gratitudine e di rispetto nei confronti degli alberi da parte dei primi uomini derivavano probabilmente anche da questa dipendenza. Gli  alberi erano visti come indispensabili benefattori, fornitori della materia prima per costruire utensili di vario tipo e spazi protetti, nonché barche e ponti rudimentali. Diventavano inoltre combustibile per cuocere il cibo, per riscaldarsi e tenere lontani gli animali, mentre il fuoco faceva luce nel buio. Furono dunque gli alberi a fare da culla alla nascita dell’umanità. Ovunque andassero, gli uomini potevano sopravvivere perché gli alberi erano arrivati prima di loro. Di questo l’inconscio collettivo conserva la memoria.


L’albero genera e alimenta il fuoco, mentre la fiamma e il fumo che derivano dalla sua combustione ripetono la spinta ascensionale dell’albero, rinnovandone il messaggio di elevazione. Nelle yurte dei pastori mongoli viene lasciata un’apertura in mezzo alla cupola, perché il fumo diventi colonna e scala che tiene collegati con il cielo. Agni, il dio indù del fuoco, viene considerato contemporaneamente il « signore della foresta». Albero, fuoco e manifestazione del sacro risultano perciò collegati come appare anche nella Bibbia, dove il roveto ardente diventa luogo di comunicazione con il divino.


Non c’è simbolo di trasformazione più totalizzante di quello del fuoco, che riduce in cenere tutto ciò che avvolge con la sua fiamma, ma che attraverso quella cenere permette una rigenerazione totale, come possiamo osservare nei campi, dove le sterpaglie e a volte gli alberi bruciati rinascono a nuova vita. Anche il ceppo natalizio, che era ed è ancora costume bruciare nel periodo solstiziale, ha il valore simbolico di accompagnare la consumazione dell’anno vecchio, le cui ceneri andranno a fertilizzare i semi dell’anno nuovo.
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Anche la struttura intima dell’uomo è fatta di « fuoco », di materia ignea, spirituale, che dovrebbe essere il principio trasformatore, che brucia  gli involucri della personalità per aiutarci a riconoscerci nella parte più profonda, in cui alberga la nostra vera identità.

   Bruciare sempre e di nuovo tutti gli attaccamenti egoici, le false immagini mentali, le identificazioni narcisistiche, per ritrovarci liberi, vale a dire purificati, ad ogni istante. In quanto il fuoco totale è garanzia di purificazione totale. Ed essere purificato è garanzia di rinascita.


È il processo di purificazione e di rigenerazione che sostiene i riti di passaggio vivi ancora nel folclore popolare al tempo del solstizio invernale e alla fine delle grandi piogge nelle culture tropicali. Lo stesso processo dovrebbe essere attivato all’interno di noi per spostare il centro di coscienza dalla personalità all’anima, dall’Io al Sé. Perché l’uomo vecchio possa  «bruciare» per lasciare posto all’uomo nuovo.


 


Di qui anche il mito della Fenice, leggendario uccello che periodicamente spariva ardendo nel fuoco per risorgere dalle sue ceneri. Metafora del destino della coscienza umana, che rimanda a un processo di crescita interiore sempre faticoso e anche doloroso, in cui tutto dovrebbe essere costantemente bruciato, perché tutto possa rinascere. Donde la definizione di «prova del fuoco» per certe esperienze totalizzanti della nostra vita. Nelle tradizioni spirituali il fuoco è costantemente associato allo spirito per la sua azione purificatrice, fecondatrice, illuminatrice, di cui l’uomo e il mondo hanno perennemente bisogno.


 


Anche il fuoco alchemico era considerato indispensabile per ogni trasmutazione e vedeva impegnato l’alchimista in ogni fase dell’opera. Importante era che non si spegnesse e che nei vari passaggi non allentasse la sua forza o sfuggisse al controllo per troppa intensità. Chiara allegoria del nostro processo di crescita, che non può essere che di trasformazione e che ci richiede di essere attenti e sempre vigili nell’alimentarlo, perché il dubbio non lo spenga o l’esaltazione non ci porti fuori strada.
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Di « fuoco interiore » parla anche il buddismo, fuoco del cuore, che distrugge le corazze che ci imprigionano per diventare comprensione amorevole nei confronti di noi stessi, degli altri, di quanto ci circonda. Una frase attribuita a San Martino dice: «L’uomo è fuoco e la sua legge come quella di tutti i fuochi è di dissolvere il suo involucro e unirsi alla fonte da cui si è separato».
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   Anche nella liturgia cristiana il rito del « fuoco nuovo» allude chiaramente alla rigenerazione legata a ogni « risurrezione». Poiché la natura intima del fuoco consiste nel vivere morendo e nel morire vivendo.
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Come accade per l’uomo che ha ancorato il senso della propria vita al livello spirituale.


 
     
     
     
     
 

[ tratto da "IL CANTO DEGLI ALBERI"  di A.M.FINOTTI - Editore ANCORA ]


 
     
     
     
     

 


 


 


 


 
































































































   
     
     

Quercia spezzata


     
     
   
 

Come ti hanno, albero, spezzato.
Come stai dritto nella tua stranianza!

Mille volte hai sopportato
finchè furono in te tenacia e volontà

Io ti somiglio, con le mie ferite
Non ho tradito la vita offesa
E ogni giorno dalle asprezze subite
alzo ancora la fronte nella luce

Quanto c'era in me di dolce e delicato
il mondo l'ha ferito a morte.

Ma la mia natura è indistruttibile.

Sono appagato, soddisfatto
Paziente metto nuove foglie

Sul ramo spezzato mille volte
e a dispetto del dolore resto
innamorato in questo pazzo mondo 







 



 


     
     

 



 



 


 

[ Hermann Hesse ]


 
     
     
     
     

 



 



 



Commenti

  1. Ti auguro un Natale ricco di gioia, serenità, pace e un Anno Nuovo pieno di felici sorprese. Con affetto.

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  2. Ti auguro un Natale ricco di gioia, serenità, pace e un Anno Nuovo pieno di felici sorprese. Con affetto.

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  3. Ti auguro un Natale ricco di gioia, serenità, pace e un Anno Nuovo pieno di felici sorprese. Con affetto.

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  4. Al primo foglio di un nuovo blocco per schizzi disegno sempre un albero.

    Ti auguro un buon albero di natale.

    Myriam

    RispondiElimina
  5. Al primo foglio di un nuovo blocco per schizzi disegno sempre un albero.

    Ti auguro un buon albero di natale.

    Myriam

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  6. Al primo foglio di un nuovo blocco per schizzi disegno sempre un albero.

    Ti auguro un buon albero di natale.

    Myriam

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  7. "..cercate un albero giovane
    e forte,
    quello sarà il posto mio voglio tornare anche dopo la morte,
    sotto quel cielo che dicon di Dio..
    Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,
    come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche mattino.
    E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo
    e innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso.

    Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita,
    sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita.
    E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io
    sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio"

    regalo da una, donna, innamorata di questo pazzo mondo

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  8. "..cercate un albero giovane
    e forte,
    quello sarà il posto mio voglio tornare anche dopo la morte,
    sotto quel cielo che dicon di Dio..
    Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,
    come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche mattino.
    E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo
    e innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso.

    Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita,
    sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita.
    E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io
    sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio"

    regalo da una, donna, innamorata di questo pazzo mondo

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  9. Molto interessante anche questa terza parte. Riflessioni. Accostamento con il fuoco.
    Stupenda la foto (quercia?) con prospettiva particolare.
    C'é in te qualche cosa di UTILE per crescere. Grazie per ciò che ci sottoponi con un tocco particolare che non impegna ma, viceversa IMPEGNA moltissimo.
    Chiara

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  10. Molto interessante anche questa terza parte. Riflessioni. Accostamento con il fuoco.
    Stupenda la foto (quercia?) con prospettiva particolare.
    C'é in te qualche cosa di UTILE per crescere. Grazie per ciò che ci sottoponi con un tocco particolare che non impegna ma, viceversa IMPEGNA moltissimo.
    Chiara

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  11. E' sempre Hesse che mi colpisce in particolare. L'hai accompagnato con una splendida foto.
    Mi è molto piaciuto l'inserimento del fuoco -legame imprescindibile del legno- purificatore e non solo. Simbolo di rinascita. Amico e nemico dell'uomo, con una sua voce quando ruggisce negli incendi e che ti chiama e ti incanta anche solo quando arde nel camino.
    Grazie Carlo.

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  12. E' sempre Hesse che mi colpisce in particolare. L'hai accompagnato con una splendida foto.
    Mi è molto piaciuto l'inserimento del fuoco -legame imprescindibile del legno- purificatore e non solo. Simbolo di rinascita. Amico e nemico dell'uomo, con una sua voce quando ruggisce negli incendi e che ti chiama e ti incanta anche solo quando arde nel camino.
    Grazie Carlo.

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  13. E' sempre Hesse che mi colpisce in particolare. L'hai accompagnato con una splendida foto.
    Mi è molto piaciuto l'inserimento del fuoco -legame imprescindibile del legno- purificatore e non solo. Simbolo di rinascita. Amico e nemico dell'uomo, con una sua voce quando ruggisce negli incendi e che ti chiama e ti incanta anche solo quando arde nel camino.
    Grazie Carlo.

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