LIBROTERAPIA 1


   
     
 

Che mi è accaduto?
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Che ho trovato un libro (o, come credo io, è lui che ha trovato me e mi ha scelto, riconoscendomi fra centinaia di persone). E  il libro mi "ha parlato".
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Perchè un libro ha un destino e  una destinazione. Non può farsi leggere dal primo di passaggio.


Un libro ha pazienza. Pazienza di anni, talvolta di generazioni. Capita infatti  che certi autori scrivano per uomini e donne che non appartengono al loro orizzonte ma siano ancora di là da venire. Allora si dice che quell'autore era talmente moderno che non si rivolgeva ai suoi contemporanei ma ai posteri. E' capitato già tutto questo e capiterà ancora,  più di una volta. Ma qui ne parlo per dire soltanto che un libro ha pazienza. Sa attendere.


Ma sa perfettamente per che tipo di donna o di uomo è stato scritto. Sa a chi sussurrerà i suoi più reconditi segreti. Sa in modo esatto dove la sua alchimia potrà trarre dal buio la sua fantsasmagorica combinazione chimica affinchè possano risplendere in mezzo all'oscurità immagini e strade nuove del pensiero. Certi libri sanno risuonare dentro e illuminare angoli mai visti e mai scrutati.


Bene ho letto un libro.
Un libro che a vederlo non gli si darebbe un euro, talmente umile è il suo aspetto. Un libro esile: una ottantina di pagine di parole rarefatte, qualche immagine, una copertina blu e una forma quasi quadrata. Eppure a leggerlo l'ho sentito subito mio. Era il libro che mi serviva leggere ora e qui.  




     
 

E' un libro che parla di libri, o ancora meglio, di "a cosa serve un libro". E fra tutte le cose che porta con se' un libro, ne analizza  una: il potere curativo.
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Ecco perchè il suo titolo è
"LIBROTERAPIA".


     
 

Poi, sfogliandolo, mi è bastato leggere la straordinaria citazione che fa da prologo al testo, per capire che già quella citazione di Elias Canetti, valeva  di per sè  come un intero libro. La riporto, di seguito, per intero... 

Ma una citazione simile la sento a tal punto mia, che in un passaggio,  quando testualmente afferma
" solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.", non ho potuto far altro che sorridere, dovendo ammettere che io, questa cosa quì, l'ho sempre sentita e pensata.
E perchè mai? direte Voi... 
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Perchè io credo da sempre nel potere magico dei libri.


 


 
     
 

                        [ k ]


 
     
     
     
     
     

 


























































































































































































     
     
     
     
     
 

"Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con ogni cura, anche se abbiamo pochissimo posto e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase.


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Poi dopo vent’anni viene un momento in cui d'improvviso quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d'un fiato, da capo a fondo: é come una rivelazione.
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Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare un posto, doveva essere un peso; e ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent'anni trascorsi in cui é vissuto, muto con noi.
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Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose." 


 
     
     
 

Elias Canetti, La provincia dell'uomo.


Quaderni di appunti 1942-1972


   
     
     
     
     
     
 

PREMESSA


 
     
 

Molti anni fa una rivista americana pubblicò una vignetta umoristica in cui si vedevano due capre.


Una divorava metri di pellicola cinematografica, e l’altra si sgranocchiava il volume da cui era stato tratto il film. E quest’ultima diceva: «E' meglio il libro!»
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Quindi, in un paese come l’Italia che preferisce di gran lunga le immagini (televisive, cinematografiche, o di qualsiasi altro tipo), e trascura le parole stampate, io credo proprio, di dover dedicare queste pagine a tutte le "capre" italiane che non leggono mai un libro, e che non sanno cosa si perdono.
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Come diceva una mia saggia amica: «Piuttosto che diventare schiava del Librium, mi prendo un libro
».


 
     
     
     
     
     
     
 

    Un libro — questo libro — è magico come tutti i libri lo sono. Ciascuno a suo modo ha un’anima speciale, piccola, grande, da viaggio o da poltrona, da metrò o da letto matrimoniale, ma sempre un’anima bella fatta di parole, di pensiero, di descrizioni di cose e persone, quindi poetica e viva.


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   Leggere è vivere, magari attraverso gli occhi di un altro, il Signor Autore. In questo modo, si esce per un poco fuori da sé, dimenticando i problemi e gli assilli mondani per calarsi in un altrove sovente straniero e sconosciuto.


E questo ‘altrove’ miracolosamente calma e lenisce. Sì, avete letto bene, ma nel vostro cuore di lettori lo avete sempre saputo: il   libro guarisce.
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Ne sapeva qualcosa il tormentato Vincent Van Gogh, inviato nella triste regione mineraria del Borinage, fra nere colline di terril composte di scarti di carbone, a predicare la parola di Dio alle povere famiglie.
Il Nuovo Testamento gli faceva da cuscino e da sostegno per affrontare le miserie di un mondo di poca speranza e l’aiutava a non perdere del tutto la testa. Ma la testa infine la perse per la semplice ragione che la predicazione non era la sua strada, e se ne tornò a casa sconfitto.
Intanto però, col carboncino, aveva iniziato a disegnare e aveva imboccato la via dell’arte.


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E ne sa qualcosa oggi lo scrittore turco Orhan Pamuk che, nel suo saggio Autore implicito, scrive che la letteratura gli è necessaria come un farmaco, come una medicina da prendere ogni giorno per sopravvivere. Ma la medicina, è ovvio, deve essere buona. «Un brano di romanzo forte, intenso e profondo, mi rende felice più di tante altre cose» scrive Pamuk.


 


I libri: mi viene spesso da pensare che sono come piccole bombe a tempo. A volte, poderose, ti sconvolgono e cambiano subito il corso della tua vita. A volte invece sono solo petardi corti: un po’ di rumore, e pochi secondi di allegria. Altre volte, sono fuochi d’artificio che non ti aspettavi proprio: ti divertono e lasciano un lieve odore di combusto nell’aria attorno a te, qualche ricordo di effervescenza e un po’ di gioia nel cuore.
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Ma con un libro qualcosa succede sempre, anche quando lo acquisti e te ne dimentichi mettendolo via. Prima o poi in casa tua qualcuno lo prenderà in mano, lo aprirà, e...
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Vi siete mai chiesti quanti libri può contenere una casa? Tanti. Ne sanno qualcosa i bibliofili che posseggono pareti e pareti foderate di volumi antichi e pregiati, oppure particolarmente ‘speciali’ e di grande valore.
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Il caustico Carlo Dossi se l’era presa con una certa categoria di collezionisti che, a suo dire, acquistavano ma non volgevano pagina alcuna, e li paragonava agli « eunuchi di un harem ». La forma di un libro dà sicuramente godimento, ma anche ciò che vi sta scritto conta, più per l’anima che dimora dentro che per il senso estetico. «Un libro deve essere l’ascia adatta al mare ghiacciato che c’è dentro di noi» aveva scritto Franz Kafka.
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Io conosco un grande collezionista svizzero che tiene i suoi pezzi più rari in un caveau con porta blindata e a temperatura monitorata.
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Forse questo tipo di collezionismo è eccessivo, ma non mi dispiace. Del resto, chi ama il vino d’annata fa altrettanto, ma un libro offre un sapore tutto suo a una serata e anche se, contrariamente a una bottiglia di vino, non si può condividere subito con gli amici, dura ben di più nella memoria. Comunque, guai a prestarlo! Nella mia biblioteca dì casa, un cartoncino reca scritto, a monito d’ogni mio slancio di generosità, la seguente filastrocca:





«Triste la sorte /
dei libri prestati /
spesso perduti /
sempre danneggiati».


 


 


Al massimo, in caso di vivace entusiasmo, se ne può consigliare l’acquisto, oppure ancor meglio, regalarne con molto affetto una copia. Oscar Wilde era però scettico: «Insegnare alla gente a leggere è un compito inutile e insieme arduo, perché capire e apprezzare la letteratura è questione di temperamento e non di insegnamento; non vi sono manuali che insegnino la via per il Parnaso, e non tutto quello che si può insegnare è degno di essere insegnato. Ma spiegare alla gente cosa non leggere è affare ben diverso, e io oso raccomandare questo come una missione ».


Oscar Wilde finì in pigione, e si salvò l’anima con i pochi libri avuti a disposizione, scrivendo poi con il cuore esulcerato il suo testo più autentico che è La ballata del carcere di Reading, a riprova del fatto che anche scrivere è altamente terapeutico e deriva perlopiù da un innato talento e da anni di buone letture


 
     
     
     
 

[ da LIBROTERAPIA  di M.Silvera, Salani Editore, Settembre 2007 ]


   
     
     
     
     
     


 


 

Commenti

  1. Sono d'accordo con te. Mi piace poi questa frase di Kafka:"Un libro deve essere l’ascia adatta al mare ghiacciato che c’è dentro di noi» , perché spesso é così e le parole di un libro possono aprire quel mare ghiacciato chiuso in noi. Buona serata (Clara)

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  2. A proposito della citazione da Kafka:
    http://unabiblioteca.splinder.com/tag/ingeborg_bachmann

    E' tutto vero quello che si dice in questo libro di cui parli, ma aggiungo che spesso ho trovato nel libro, iniziato a leggere "per caso", senza comunque saperne nulla, o quasi, risposte vere alle domende che in quel momento mi ponevo, risoluzione di enigmi... esistenziali, diciamo così! Davvero!
    Credo molto nella funzione terapeutica della lettura, credo sia strumento magnifico che ci aiuta infinitamente a conoscere noi stessi e che, talvolta, è persino capace di consolarci, che cura, sempre, la nostra solitudine, restituendoci alla compagnia dell'"altro" che vive in noi.

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  3. sono ripassata, dopo tanto tempo, e qui si impara sempre, te lo dice una ex bibliotecara greca, sono emerenz e mi sono fermata un puo a lungo anche x ascoltare della bella musica grazie carlo e stato un piacere ritrovarti. con affetto emerenz p.s. ti dispiace se ti metto nei miei link, per non aspettare mezz'ora di pagine... aspetto il tuo permesso emerenz

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  4. ed io la penso come Wilde...la lettura non si può insegnare, nè tanto meno imporre...è un dono innato, è un impulso interiore, è una spinta verso la conoscenza, anche se si può diventar consapevoli senza aver mai letto un rigo...tante volte la Vita ti si presenta come una libreria e i libri in essa contenuti ti squadernano il loro grande mistero...ma questa è un'altra storia...eh si, anch'io come Wilde tengo più a spiegare cosa non va letto, ma nel profondo spero che lo facciano lo stesso...meglio conoscere che obliare...non credi? ciao

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  5. to enzas:

    si certo...meglio conoscere,
    conoscere più che si può
    e poi, diventare selettivi.

    Credo sia uno sviluppo naturale
    di ognunoi di noi.

    Condivido pienamente poi il fatto che è la Vita, l'esistenza intera
    il libro più grande e maestoso

    E bisogna avere occhi
    e sguardo e un cuore aperto
    per il suo alfabeto.

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  6. La frase di Kafka è splendida.
    Devo dirti però che mi ha divertito molto anche la barzelletta delle due capre.
    Tutto il tuo post comunque è molto valido.
    A presto leggerti ancora.
    Chiara

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  7. Credo che contrariamente a quanto dice Oscar Wilde (che amo molto) si possa insegnare ad apprezzare la lettura. Quando ero una bimba molto piccina mia sorella come premio, se ero stata buona, tutte le settimane mi portava in libreria e mi regalava un libro. Io attendevo il sabato -giorno favoloso- e cercavo di essere una bambina buonissima!!!
    Parte ai miei ricordi il tuo post è come sempre interessante e crea nuovi spunti di riflessione a volte capovolgendo il soggetto: è il libro che mi sceglie e non io che scelgo il libro. Ciao. Gianluisa

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  8. to Gianluisa:

    Si può trasmettere il piacere della lettura. Questo si.

    Se ad esempio si è bambini e si viene raggiunti dal potere evocativo e "quasi magico" che ha un libro
    a contatto con la nostra immaginazione, si verifica come un "imprinting" che è ben difficile da dimenticare.

    A me è capitato questo, da bambino
    e ne sono ben connsapevole.

    Ma su una persona adulta?
    Ti assicuro che è molto,
    molto più difficile trasmettergli
    quel piacere così speciale che è un libro.

    C'è un fatto di educazione dietro
    nel senso più alto.



    to Chiarabella:

    Non è che il tuo micetto
    abbia letto qualche libro
    quando si presenta davanti allo specchio e si mette a ruggire?

    :-PPP
    indaga...indaga... :o)))



    to ottobrenotte:

    So bene che mi capisci.La penso come te. Esattamente.


    to clara:

    E' bello avere questi valori in comune
    Certi libri...
    fanno crescere la persona che siamo, altri rompono il ghiaccio della mediocrità, del conformismo, della banalità, altri sciolgono i blocchi (anche psicologici) che abbiamo dentro e fanno erompere un'acqua che è come una benedizione.

    Una primavera.

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