Cos’é  un uomo?
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Meglio ancora: fino a che punto l’integrità di una persona può essere aggredita, smembrata, compromessa ? Fino a che punto può essere degradata la sua vita? Quante cose possiamo sottrargli e avere ancora l’insperata e inconfutabile prova della sua grandezza di essere umano?
Questi alcuni degli interrogativi attorno ai quali ruota un film in proiezione in questi giorni. Si tratta di “Lo scafandro e la farfalla”, film francese tratto da una storia vera e dal libro " Le Scaphandre et le Papillon " pubblicato nel 1997 .


 
     
  E’ la cronaca di una prigionia.  
     
 

Soltanto che in questo caso la prigionia non assume la forma di campo di sterminio o di un regime che incarcera  un innocente sottraendogli la libertà e i suoi anni migliori. No. In questo caso é la natura che l’otto dicembre 1995, in un colpo solo toglie ad un uomo – Jean Dominique Bauby, caporedattore di una rivista di moda (ELLE), tutte le libertà e ogni più elementare certezza, riguardo a se stesso, attraverso un ictus che lo rinchiude definitivamente, dentro un corpo inerte, paralizzato. Dentro una cella della dimensione esatta del proprio corpo.


 
     
 

La cella ha un’unica finestra sull’esterno e questa é costituita dall’udito e dall’occhio sinistro che continua a restare aperto e a vedere.
L’altra via di uscita – diciamo il portoncino della cella – é la morte. Il recluso potrà uscire dalla cella solo in quel modo. E anzi, non di rado capiterà che egli implori con disperazione che quel cancello si apra.
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Ma fra l’inizio di questa reclusione e l’apertura di quel cancello ecco che succede l’imprevedibile. Il film é la cronaca di quell’imprevedibile.


 
     
 

Se é vero che il prigioniero si sente rinchiuso, separato da tutto,  sigillato dentro uno scafandro in caduta libera verso il fondo del mare, se gli é ormai impossibile relazionarsi con i suoi cari, é anche vero che il suo cervello e il suo cuore continuano a funzionare meravigliosamente. Ed allora nel protagonista si rafforza, poco per volta, la volontà di non darsi per vinto e di aggrapparsi con disperata determinazione a ciò che avverte fare di lui, un uomo.

Così mentre Jean-Do registra impietosamente di essere divenuto semplicemente un oggetto nelle mani del personale dell’ospedale che lo tratta come un voluminoso neonato, deve anche prendere atto che l’equipe che lo cura gli prospetta un piccolo, geniale, canale di comunicazione: il battito delle ciglia di quell’unico occhio rimasto ancora aperto sul mondo. E allora l’uomo rinchiuso in fondo ad un pozzo di solitudine in cui l’ha precipitato la malattia, improvvisamente trova modo di dischiudere le ali. Le ali di una immaginaria farfalla, che esce da quell’involucro ormai inservibile e si proietta in un imprevedibile e commovente volo.


 
     
     
     
     
     

 


 



  


 


 


 


 


 













































































































































































































































































































     
     
     
     
     
 

 


 
 

 


 
     
     
 


 
     
     
     
     
     
 

Le ali di questa farfalla hanno un nome. Sono la memoria e l’immaginazione. La capacità di recuperare i mille ricordi di cui é composto un uomo e quella  di abbandonarsi alla immaginazione, al pensiero creativo, alla riflessione. Fino a nutrirsi di quella formidabile risorsa che é la fantasia. Con quelle ali la farfalla si alzerà in volo sul mare, sul più vasto dei deserti, sulle amate montagne, sulle distese di ghiaccio perenne. Ovunque.

"Ho appena scoperto che a parte il mio occhio, ho altre due cose che non sono paralizzate: la mia immaginazione e la mia memoria".
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In questo modo, attraverso quell’esilissimo spiraglio, nel buio soffocante dello scafandro rinascerà la capacità di sentirsi dentro il mondo e dentro i propri affetti. La comunicazione, insomma, per quanto difficile, faticosa ed estenuante aprirà infine un cielo al volo della farfalla e chi assiste a quel prodigio finirà per ritrovarsi fra le mani proprio la fotografia di quel cielo e di quella traiettoria.


 
     
 

La possibilità di vivere sta in quel paradossale modo di conquistare, una lettera per volta, nuove parole. Continuare a sentirsi vivo diventa quel battito di ciglia. Quel battito, quel colpo d’ali permette al protagonista di affermare la propria identità e la continuità del suo essere. Gli concede il dono di sentirsi ancora immerso ed abbracciato dalla corrente della vita.
Attraverso 
quel battito, l’uomo riuscirà a dettare parole, messaggi, addirittura un libro.


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
 

Il cancello della cella, infine, si aprirà una decina di giorni dopo che il libro sarà stato pubblicato (9 marzo 1997).


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
 

Ma é proprio la foto di quel volo contenuta nel libro dettato così faticosamente che sconfina con la poesia.  L’intero film é un inno alla forza e alla poesia della vita. Perché in fondo é così che va: la vita s'intreccia alla poesia e la poesia é la celebrazione della vita stessa. Sempre germoglia da lei. Sempre ci porta in volo. Sempre ci fa oltrepassare i limiti dell’umano fino a vedere più in là di dove ci saremmo mai aspettati.



 


 

 


 
     
  E' un bel film. Di quelli che lasciano qualcosa per sempre.  
     
  Spigoloso, intenso, duro da fare male.  
     

 



Non per tutti, ma rivolto a tutti.



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



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“Sono stato cieco e sordo o ci è voluta l’amara luce di una infermità per trovare la mia vera natura? Ci vuole la sindrome locked-in per divenire coscienti della vita e per creare empatia con gli altri? Ci dobbiamo ammalare perché gli angeli vengano a salvarci?”


 
     
 

                      Jean-Dominique Bauby


 
 

 


 
     
     
     


 


  


Commenti

  1. Mi hai ricordato un altro film:"Mare dentro", anche questo molto forte e intenso. Lì il protagonista decide di morire perchè non riesce più a vivere murato vivo dentro il suo corpo. La vita è una carezza, così mi ha detto un giorno qualcuno che si trovava in fondo a un inferno...

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  2. Mi hai ricordato un altro film:"Mare dentro", anche questo molto forte e intenso. Lì il protagonista decide di morire perchè non riesce più a vivere murato vivo dentro il suo corpo. La vita è una carezza, così mi ha detto un giorno qualcuno che si trovava in fondo a un inferno...

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  3. to Caos:

    Verissimo. L'ho pensato pure io durante la proiezione di questo.
    Mare Dentro di Alejandro Amenábar.
    L'ho visto nel 2005.

    Sono film in cui la poesia attraversa ogni scena e la vita si intreccia con la morte in un disegno straordinario.

    Son contento: mi confermi che sono film che non si dimenticano più

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  4. to Caos:

    Verissimo. L'ho pensato pure io durante la proiezione di questo.
    Mare Dentro di Alejandro Amenábar.
    L'ho visto nel 2005.

    Sono film in cui la poesia attraversa ogni scena e la vita si intreccia con la morte in un disegno straordinario.

    Son contento: mi confermi che sono film che non si dimenticano più

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  5. Carissimo amico mio diletto, hai il potere straordinario di farmi star male e bene nello stesso tempo...

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  6. Carissimo amico mio diletto, hai il potere straordinario di farmi star male e bene nello stesso tempo...

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  7. Anch'io la settimana scorsa ho visto questo film .. "per sbaglio".
    Corsi di fretta dentro la sala non ci siamo accorte che non era il film desiderato.
    Ma è stata una piacevole sorpresa, il film merita.
    Mi spiace però, che come al solito, ci sia bisogno di una storia estrema, ai margini della morte e piena di sofferenza che mostri quanto la vita sia infinitamente preziosa.

    Serena giornata caro

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  8. Ho pensato, leggendoti a "Il vagabondo delle stelle" di Jack London. Sigillato in una camicia di forza, riusciva a proiettarsi con la mente fuori dal corpo e...
    Non ho visto questo film di cui parli ma lo farò.
    Buona giornata
    Gianluisa

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  9. Non credo proprio che riuscirei a vedere questo film.
    Ho dei limiti. A volte posso sembrare una dura che sfida il mondo ma di fronte a certe situazioni verrebbe a galla troppa fragilità. Grazie comunque di averlo segnalato con tanta sensibilità.
    Chiara

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  10. Neppure io sapevo che questo film affrontasse questi argomenti...forse potrei usare le stesse parole di Chiara.
    Mi incuriosiva molto soprattutto per il titolo, ora ho capito cosa è lo scafandro e quanto dolore può regalare, accanto alle farfalle che pur continuano ad esistere e, ad un certo punto, arriva lo sgomento.
    Ciao

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  11. ciao. Non ho visto il film, ma la tua descrizione è commovente. Forse le piccole cose, come una farfalla si apprezzano, quando non si possono avere. La vita stessa si ama, quando non si ha più niente, si legano amicizie, ci si accorge del prossimo. Vedrò di vederlo presto. ciao pennny

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  12. credevo di averti commentato
    pazienza
    Bellissima pagina
    Nefer

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  13. forse sì. la visibilità ha , a volte, le sue atroci regole. letto con vero interesse questo post. per imparare. sempre.

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  14. Spesso la disabilità è una nuova luce nel dolore.
    Grazie per questo magnifico post, la sensibilità con cui scrivi, la segnalazione non fine a se stessa...

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