Perchè non possiamo tacere


 
     
     


  







































































     
     
     
     
 

 QUESTIONE TIBETANA?


 
     
 

Molti potrebbero intravedere nella rivolta e nelle proteste in Tibet di queste ultime settimane,  una questione locale, una disputa regionale o farsi fuorviare dalle tesi del governo centrale cinese che banalizza il problema, riducendolo ad una sommossa organizzata dalla “cricca criminale del Dalai Lama


 


Io invece propongo una lettura del tutto diversa. Multilivello e globalizzata.



Ciò che è in gioco in questi giorni in Cina e in Tibet, a mio avviso, ha rilevanza mondiale e ci tocca tutti individualmente. Ma riuscire ad afferrare i contorni di questa vicenda non è nè facile, nè immediato, se non si affronta il problema scavando dietro la superficie fino alle radici della questione.

Mi spiego meglio...
Pochi anni fa la Repubblica Popolare Cinese è stata ammessa nei principali organismi del commercio internazionale, principalmente il W.T.O (world trade organization).  Esattamente in data 11 dicembre 2001, la Repubblica Popolare Cinese è divenuta membro a tutti gli effetti del principale organismo del commercio mondiale  che rappresenta il 90 % degli scambi internazionali planetari.


 


E’ anche vero che fin dal 1999 grazie all’adesione e alla stipula di numerosissimi accordi bilaterali e multilaterali con i principali paesi occidentali e non (Brasile, India, Paesi arabi), la Cina ha trovato nuovi sbocchi alle sue merci. In modo corrispondente, le imprese capitalistiche occidentali hanno trovato un nuovo vastissimo mercato su cui investire e verso cui indirizzare le proprie produzioni. I trionfi più rilevanti la Cina li ha conseguiti all’interno dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto), nella quale, dalla data di ingresso, è stata protagonista di un’ascesa senza precedenti. In cinque anni ha raddoppiato il suo Prodotto interno lordo, sorpassando nelle graduatoria mondiale Italia, Francia e Gran Bretagna. Il reddito medio è passato da meno di mille dollari annui a quasi duemila pro capite. La sua banca centrale è la più ricca con riserve ufficiali pari a mille miliardi di dollari. Questi dati, se accomunati ad un altro importante fattore come l’apertura verso prodotti e investimenti stranieri, assume un valore ancora più significativo. Tra i grandi Paesi asiatici, la Cina importa per il 30% del suo Pil, mentre il Giappone si attesta solo all’11%, malgrado sia una società capitalistica come quelle occidentali. Gli investimenti esteri sono passati da 40 miliardi di dollari annui agli odierni 70, facendola divenire la seconda destinazione favorita dei capitali di tutto il mondo dietro gli Usa. Fin qui l’aspetto puramente economico.


 


Questo storico passaggio ha avuto due tipi di conseguenze: le merci cinesi hanno trovato rapidamente mille possibilità di essere piazzate sui mercati di tutto il mondo e questo ha determinato una fortissima pressione competitiva sulle corrispondenti merci prodotte da tutti gli altri paesi, compresa l’Italia. Nel fenomeno della globalizzazione gran parte degli impatti più dolorosi dipendono proprio direttamente dall’arrivo sui mercati delle merci cinesi.


 


Cìò significa ad esempio che i tessuti o le calzature prodotte in Italia o in Francia hanno cominciato a trovare difficoltà ad essere venduti  dal momento che il mercato si è andato saturando per l’arrivo dei prodotti analoghi provenienti dalla Repubblica Cinese, a prezzi pressochè dimezzati.


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Molte imprese europee da quel momento hanno cominciato a dover ribassare i prezzi e a specializzarsi in settori dove ancora non era forte la concorrenza cinese. In parole povere, si è innescato un processo di riconversione e fuga verso i settori a più alta tecnologia. Altre aziende invece sono finite fuori mercato e hanno dovuto chiudere. Altre ancora hanno spostato la produzione proprio in Cina tramite società miste (join-venture).


 


Ma perché oggi siamo a questo punto?


 


La spiegazione tradotta in parole semplici e comprensibili è questa: con l’ingresso della Cina sul mercato internazionale e con la conseguente apertura di tanti  paesi alle sue produzioni, si è manifestata una fortissima pressione sul mercato globale derivante dall’arma di un prezzo “stracciato” che contraddistingue le produzioni orientali.


 


Ora se qualcuno volesse comprendere qual è la chiave del successo delle merci cinesi dovrebbe avere la pazienza di risalire la catena produttiva (le cosiddette "filiere")  e arrivare al punto di scoprire qual è la vera anomalia della Cina rispetto alla maggior parte degli altri paesi appartenenti al W.T.O.


 


Il comune cittadino che acquista  un prodotto cinese, è ignaro dell’anomalia che è insita dentro quel prodotto.


Qualcuno gli dovrebbe dire che in quel prezzo ultra ribassato, noi acquistiamo anche la negazione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini cinesi. Acquistiamo le condizioni inumane del loro lavoro, l'inesistenza delle tutele sindacali, la negazione dei più elementari diritti civili che è tipica di ogni regime dittatoriale, con buona pace delle espressioni che è solito usare Hu Jintao [presidente cinese] che ha la faccia tosta di parlare di "sviluppo di una società armoniosa".


 


Chi spiega che la massiccia diffusione delle merci cinesi  e il loro prezzo competitivo deriva da una serie infinita di anomalie del paese "Cina"?
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Chi è che  dice apertamente che in Cina non vi è la minima normativa ambientale? Che come evidenziato anche in questi mesi, nei cantieri che costruiscono stadi, impianti sportivi e complessi residenziali, grandi quanto nuove città, per ospitare atleti e delegazioni di tutti i paesi del mondo vengono ignorate le condizioni minime di sicurezza dei lavoratori?  Che vi sono turni di lavoro forzato?


Che il paese erede del celeste impero sta sviluppando il più alto tasso di inquinamento atmosferico sulle sue immense città industriali, tanto che il maratoneta etiope Gebrselassie, una decina di giorni fa, ha annunciato di rinunciare a correre la sua gara a Pechino?
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Ciò che all’interno dei nostri paesi verrebbe ritenuto illecito, immorale, e penalmente perseguibile, all’interno della Cina è il normale modo di produrre. E tutto questo, facilitato dall’inesistenza delle statistiche sugli incidenti sul lavoro, sui morti e sugli invalidi.
E sfido io! In un paese in cui non vi è nemmeno l’ombra della informazione indipendente, tutto può avvenire senza il minimo scontro sociale e al riparo di un impenetrabile  muro di silenzio edificato dal governo cinese.


 


Chi ci racconta che i bassi prezzi dipendono dal disprezzo delle più elementari nozioni di sicurezza sul lavoro? E perché sui giornali e sulle televisioni del nostro paese non si fanno inchieste sul tipo di produzioni inquinanti che avvengono in Cina? E nessuno parla degli orari e del clima di terrore che esiste all’interno delle impresi cinesi.
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A queste domande viene inderogabilmente risposto: il governo cinese non permette di realizzare nessun tipo di inchiesta giornalistica e meno che mai, permette la raccolta e la diffusione di statistiche indipendenti sul mondo del lavoro.


 


Ora, è già passata una decina di anni da quando i rappresentanti della nostra Confindustria qui in Italia, iniziarono a terrorizzare strumentalmente i sindacati ed i lavoratori, paventando l’arrivo in massa dei prodotti Cinesi e la possibilità di spostare in Cina buona parte delle loro produzioni.
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Fin da allora fu chiaro, per i nostri Imprenditori, che la “carta Cina“ poteva essere giocata splendidamente per calmierare le richieste salariali in sede di rinnovo dei contratti nazionali e per sollecitare aiuti di stato per le produzioni italiane.
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In aggiunta a questo primo effetto, l’imprenditore poteva considerare seriamente di “delocalizzare“ parte della propria produzione, in questo grande paese orientale, che aveva la non trascurabile peculiarità di pagare la manodopera con retribuzioni irrisorie


 


E’ così è stato: innumerevoli aziende italiane negli ultimi 10 anni hanno trovato convenientissimo aprire stabilimenti in join-venture con la benedizione del regime di Pechino


Ma nessuno che si sia mai sognato di contestare le condizioni di lavoro di quella particolare prigione dei diritti umani che si chiama Cina.


 


Voglio dire che l’affacciarsi sullo scenario economico mondiale di un gigante come la Cina, è stato accolto senza la minima obiezione dai governi Occidentali ben lieti di essere i portabandiera del loro stesso capitalismo interno che con quel gigante stava già facendo affari. Una vera manna dal cielo è stata finora la presenza di un regime dittatoriale come la Cina intenzionato a sviluppare i commerci e le relazioni industriali.


 


In modo immaginifico si potrebbe dire che sul capo delle classi lavoratrici dell’Occidente, la presenza di un paese che si stava affacciando al mercato avendo al suo interno condizioni di lavoro inaccettabili era come una sorta di minaccia assai funzionale agli interessi dei poteri economici "forti" .


 


Questa la premessa per chiarire un concetto fondamentale: la partita che si gioca relativamente ai diritti civili e di libera circolazione delle informazioni in Tibet e in Cina, oggi ci riguarda tutti.


 


Se nulla verrà fatto e le inumane condizioni di lavoro del paese cinese non verranno modificate, tutti noi saremo ancora una volta sotto ricatto


 


Cosa ci giochiamo in questi mesi?
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E’ come se a livello planetario fosse in corso un enorme braccio di ferro: da una parte i lavoratori dei paesi sviluppati che attraverso le lotte del secolo scorso, sono riusciti ad affermare una serie di diritti e di condizioni irrinunciabili per la dignità umana.


Dall’altra parte, un paese-mostro che ha al suo interno sia le regole del capitalismo mercantile dei nostri tempi, sia un insieme di condizioni di produzione tipico dell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale (lavoro minorile, lavoro sottopagato, negazione dei diritti individuali del lavoratore, inesistenza delle  indennità di malattia, diritti di retribuzione per il periodo della gravidanza, tutela della sicurezza, normativa anti-inquinamento, etc, etc...)


 


Da questo braccio di ferro, il capitalismo mondiale deciderà se noi Occidentali dovremo essere risucchiati nuovamente verso quei meccanismi di sfruttamento e di sopraffazione che caratterizzano il gigante cinese, oppure se sarà la Cina che gradualmente dovrà concedere tutele e diritti ai propri lavoratori.


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E’ una partita epocale questa.
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Se la Cina continuerà a produrre alle condizioni attuali, le imprese Occidentali gradualmente verranno spinte fuori mercato e quelle rimanenti tendenzialmente saranno portate ad imporre le medesime condizioni dei lavoratori cinesi, ai lavoratori americani e europei.
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Il rischio è di tornare indietro di secoli per quanto riguarda le conquiste del lavoro.


Siamo insomma allo scontro fra un Capitalismo avanzato e un Capitalismo pianificato dal governo cinese: ovvero una creatura ibrida mostruosa che sacrifica ogni diritto civile all’imperativo del profitto e dell’arricchimento della nazione cinese.


 


E’ ovvio che il progetto dei governanti cinesi, trova alleanze di comodo e di interesse nei poteri economici e nelle classi dirigenti che guidano le nostre società Occidentali.


 


E’ di tutta evidenza che a questi soggetti conviene fare affari e produrre, beneficiando delle spaventosa pochezza con la quale viene retribuito il lavoro in Cina. E assieme, tenere sotto costante ricatto le rivendicazioni delle classi lavoratrici dei paesi sviluppati… “altrimenti trasferisco la mia impresa in Cina!" – tuonerà l’imprenditore di turno.
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Ecco perchè tacere oggi significa essere complici di questa colossale operazione di sfruttamento umano. Operazione che non sarà indolore neppure per noi che ci crediamo al riparo perchè abbiamo apparentemente delle legislazioni "avanzate".


 


Alla luce di queste considerazioni lo scontro in corso in Tibet rivela uno scenario planetario in pieno movimento.
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Se tutti noi, non sapremo lottare a fianco dei milioni di cittadini cinesi e tibetani perché si liberino dal peso di questo regime dittatoriale e vadano velocemente verso una stagione democratica di maggiori diritti, alla lunga dovremo sopportare noi stessi un arretramento della nostra condizione.


In un mondo oramai ristretto e globalizzato, noi Occidentali dovremo fare ogni sorta di pressione perchè cessi il regime totalitario cinese



Mai come ora, l'esistenza di un regime del genere mette a rischio il nostro stesso futuro. Ecco perchè mi piace evidenziare questa nuova forma di "responsabilità planetaria" che incombe su noi cittadini del 21° secolo .
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Altro che Olimpiade come semplice fatto sportivo!
Altro che offrire al regime cinese una grande e splendente vetrina per fare propaganda interna e mettere a tacere ogni tipo di dissidenza interna!
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E' il momento di fare ogni tipo di pressione per smantellare l'asfissiante censura che soffoca in modo particolarmente aggressivo il WEB cinese, oltre a impedire la libertà di pensiero, di religione e di informazione. E come non ricordare che la Cina ha il record mondiale delle esecuzioni? Nonostante sieda al Consiglio dell'Onu non risulta che abbia la minima intenzione di rispettare la moratoria sulla pena di morte appena approvata.



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Quello che è in gioco è davvero il futuro.


In gioco c’è l’economia mondiale, quel territorio che possiamo anche vedere come il campo di battaglia dove vengono conquistati o perduti diritti fondamentali per la dignità dell’uomo


O riusciamo noi a esportare i diritti civili, a democratizzare il grande continente cinese o saranno compromessi i nostri stessi diritti, la nostra stessa dignità e le conquiste ottenute dai nostri padri e nonni.
Sarà allora il gigantesco regime cinese a constringerci ad un colossale arretramento.


 


Ecco perchè oggi, tutti noi, vestiamo le tuniche dei monaci buddisti che vengono malmenati per le strade di Lasha e tutti dobbiamo combattere la battaglia per l’abbattimento della dittatura cinese.
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Ecco perché non possiamo tacere. _



 


     
     
     
 

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Commenti

  1. Si, Carlo, é proprio così come hai ben descritto Tu:
    "Quello che è in gioco è davvero il futuro. In gioco c’è l’economia mondiale.... O riusciamo noi a esportare i diritti civili, a democratizzare il grande continente cinese o saranno compromessi i nostri stessi diritti, la nostra stessa dignità e le conquiste ottenute dai nostri padri e nonni. Sarà il gigantesco regime cinese a constringerci ad un colossale arrettramento."
    Ti abbraccio! (Clara)

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  2. Di passaggio...e anche di ritorno, spero.
    Un abbraccio, Carlo, e un grazie sentito per i tuoi auguri pasquali...
    F*

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  3. L'elevazione spirituale degli uomini viene qui sporcata dalle idee repressive della polica... sporcata con il sangue purtroppo...

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  4. Grande Klimt...non solo il pittore. Appoggio totale.Un abbraccio

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  5. Carissimo Carlo, hai fatto un lavoro eccellente e di enorme utilità. Lo segnalo subito in ahimsa, dove oggi ho evidenziato una figura per me eccezionale come esempio di humanitas. E' un modo per continuare a parlare. E dovremo anche parlare di tutto ciò che hai detto e proposto nei tuoi commenti da me. Grazie, Carlo!

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  6. Temo di aver fatto un errore, perché non riesco a segnalare il tuo post. E ho capito perché. A presto.

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