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CAMBIARE ROTTA


   
     
     
     

 


 


 
























































     
     
     
     
 

Andando per mare si impara che l'abilità del navigatore coincide con la capacità di adattamento alle condizioni del mare, alla situazione atmosferica, alla visibilità e ai pericoli di cui ci si riesce a rendere conto, per tempo.


Navigare significa anche essere capaci di cambiare tragitto qualora il viaggio che si era immaginato sulla carta, si riveli impraticabile. Cambiare direzione e talvolta destinazione è una possibilità che il navigante non esclude mai a priori.
Al contrario, il suo talento, il fiuto per la sopravvivenza sta proprio nell'elaborare continuamente alternative e comportamenti "opportuni" nella situazione reale che si trova a fronteggiare momento per momento.


 
     
     
     
     
     


 









































     
     
  Segavano i rami sui quali erano seduti.
E si scambiavano a gran voce
le loro esperienze, su come segare più in fretta. E precipitarono con uno schianto.
E quelli che li videro, scossero la testa
e continuarono a segare.
 
     
 

[ Bertolt Brecht ]


 
     
     


 




































     
     
 

Il sapiente è colui che ha piena coscienza del suo limite e dell'immensa complessità del reale, sempre pronto alla sorpresa, all'autocritica,
alla verifica, al rispetto, alla scoperta.


 
     
 

[ Lao Tzu ]


 
     


 




































     
     
 

Ce n’è abbastanza per le necessità di tutti,
ma non per l’avidità di ciascuno.


 
     
 

               [ Mahatma Gandhi ]


 
     

 


  







































































     
     
 

La decrescita


 
     
     
 

La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più, con un fare bene finalizzato alla contemplazione.
La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.




     



                          [ Maurizio Pallante ]


 
     
     
     
     


 


 


 


 


 
































































































     
     
     
 

Manifesto della Rete italiana per la Decrescita


 
     
     
 
C’è un mito che, nell’ultimo secolo, ha fondato l’immaginario sociale e che, ancora oggi, costituisce il sottofondo comune delle ideologie politiche sia di destra che di sinistra: è il mito della crescita.
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Questa credenza, cui è connessa l’idea di uno sviluppo illimitato, ha portato con sé le parole d’ordine della massimizzazione della produzione, dei consumi e dei profitti fino a consegnarci all’attuale religione del mercato globale [ Lavorare di più, per produrre di più, per consumare di più].

Questo sistema di pensiero si fonda, e al tempo stesso riproduce, una rappresentazione dell’essere umano come “homo economicus”: un soggetto privo di legami, individualista, razionale, utilitarista, orientato a massimizzare i propri interessi e ad accrescere la propria ricchezza come potere monetario, generico, universale; un soggetto casualmente inserito in un ambiente concepito come “mondo esterno” da sfruttare e piegare ai propri fini, in una crescita incessante del proprio potere di disporre delle cose e degli altri esseri viventi.

Si tratta di una visione del mondo che pur essendo fondamentalmente errata, produce effetti concreti sui comportamenti individuali, con conseguenze disastrose sugli equilibri ecologici, sociali e politici. Occorre riconoscere che la scelta delle società occidentali di puntare unilateralmente sull’accumulazione economica, sulla crescita della produttività e dei consumi, ha prodotto in “Occidente” per tutta una fase storica, una maggiore ricchezza materiale.
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Tuttavia l’unilateralità di questo approccio ha finito col dissolvere i legami sociali e minaccia di portare al collasso gli ecosistemi.
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Inoltre il costo di questi traguardi economici è stato pagato non solo dalle classi lavoratrici e dai soggetti considerati non produttivi, ma anche e soprattutto dai paesi e dalle popolazioni del resto del globo, costrette ad adattarsi e a modificare i propri sistemi sociali e produttivi secondo le nostre esigenze economiche e politiche.

Allo stesso tempo la crescita dei redditi è stata possibile attraverso uno sfruttamento sconsiderato dei sistemi ecologici. Evidenze scientifiche non più ignorabili (caos climatico, picco del petrolio, perdita delle biodiversità, esaurimento progressivo della fertilità dei terreni) mostrano come l’attuale modello di sviluppo sia, già oggi, insostenibile per la biosfera.

Gli effetti negativi si fanno sentire anche sul piano sociale. Non solo per l’emergere di nuove povertà e per l’aumento delle disuguaglianze economiche, ma anche per la crescita del disagio, della precarietà lavorativa ed esistenziale, delle forme di depressione, in una generale sfiducia verso il futuro che assume anche forme violente e autodistruttive.
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Da questo punto di vista dobbiamo imparare a leggere più a fondo il malessere, l’angoscia, l’infelicità che attraversano le nostre società. Questo modello di sviluppo, fondato sulla crescita, negli ultimi decenni ha prodotto un aumento del tempo di lavoro, del precariato e dello stress e, insieme, ha via via eroso e consumato il nostro tempo libero, il tempo delle relazioni, il tempo per noi stessi e per le cose che ci sono più care.

A livello politico l’accumulazione della ricchezza finanziaria, il cui controllo è sempre più nelle mani di pochi, produce una formidabile concentrazione del potere, svuotando di fatto le cosiddette "democrazie" di autentico significato.

Il consumo di risorse globali si sta traducendo in un aumento dei conflitti e delle guerre per il controllo delle risorse e, dunque, in una restrizione degli spazi di democrazia reale nel mondo.

Ma l’effetto più perverso di questo sistema è la sua capacità di suscitare una forma di adattamento alla patologia.
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L’inquinamento, i mutamenti climatici, la crescita del numero degli esclusi e la loro colpevolizzazione, le guerre per le risorse, stanno diventando un paesaggio consueto a cui ci abituiamo passivamente, senza modificare i nostri comportamenti e gli assetti di fondo della nostra società.
In altre parole la "crescita" produce dipendenza.

Ad ogni modo questa breve fase di ricchezza e creazione di benessere sta volgendo al suo termine nello stesso mondo “sviluppato”.

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Dalla metà degli anni Settanta, la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) non solamente si è ridotta nei paesi più avanzati, ma soprattutto non si accompagna ad alcun aumento del benessere individuale.

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Continuare oggi a coltivare l’idolatria del PIL significa non voler aprire gli occhi sull’assurdità di un’idea di ricchezza che non fa i conti con i veri costi ecologici e sociali di questo modello di sviluppo.

Posti di fronte alla percezione dei limiti sociali ed ecologici dell'attuale modello capitalistico, del degrado indotto dalla mercificazione della vita, della crescente conflittualità  attorno alle risorse naturali crediamo che, per imboccare sentieri davvero alternativi, sia necessario rimettere in discussione il mito fondativo della nostra società: la crescita.
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Se per decenni abbiamo combattuto con tutte le nostre forze contro la povertà, oggi ci rendiamo finalmente conto di dover invece mettere in discussione la nostra ricchezza, il nostro modello di benessere.
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Riscopriamo così un tema antico, e al tempo stesso di grande attualità, il tema dei limiti, o più propriamente, della “giusta misura”.

Tuttavia non siamo contrari ad ogni forma di crescita.
Per andare verso una futura società sostenibile, alcuni prodotti e comportamenti dovranno essere ridotti o abbandonati, mentre altri dovranno essere sostenuti e sviluppati.
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Ciò a cui ci dichiariamo contrari è piuttosto l’assunzione della "crescita" come principio fondamentale di orientamento del nostro immaginario.
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Riteniamo che la qualità della vita – in un pianeta finito - non possa continuare a fondarsi su una crescita quantitativa generalizzata, ma debba misurarsi sulla capacità di ri-definire priorità, di ri-pensare qualitativamente tecnologie, istituzioni, lavoro.

In termini generali si tratta di riequilibrare l’ossessione della produzione, con la consapevolezza delle necessità di riproduzione, di rigenerazione, di cura delle persone, delle relazioni, dei contesti, dell’ambiente.
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Parlare di decrescita, dice Serge Latouche, è come lanciare una sfida, azzardare una provocazione. Per un verso si tratta di un atto iconoclasta, per un altro, di un nuovo modo di raccontare il nostro essere qui, ora, nel mondo.
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Vogliamo provare a mettere in dubbio la divinità che abbiamo adorato o, anche, le mappe e le cornici simboliche dentro a cui ci siamo mossi per secoli e che siamo abituati a confondere con la realtà.

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Ci si può domandare se sia possibile rimettere in discussione il nostro immaginario, se sia realistico pensare di istituire una società non improntata ad una crescita fine a se stessa.
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Noi affermiamo che riconoscere la nostra interdipendenza ecologica e sociale, la nostra fragilità umana sia l’unico vero realismo, l’unico modo per evitare di portare a conclusione un processo di adattamento patologico che, consumando il fondamento ecologico su cui ci siamo sviluppati, ci porterebbe al collasso.

Non siamo contro la tecnologia, ma per un'altra tecnologia. Sobria, durevole, sostenibile, conviviale.
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La capacità di ripensare oggi i nostri assetti tecnologici ci permetterà forse di moderare il rischio di una decrescita obbligata, o autoritariamente imposta domani. Dobbiamo mostrarci capaci di rimettere in gioco i nostri valori di fondo e accettare il rischio di immaginare un dopo-sviluppo, una società di decrescita.

Essere realisti oggi non significa adattarsi ad un sistema che si sta autodistruggendo, ma disporsi ad assumere decisioni lungimiranti, prendendo come riferimento una prospettiva temporale e politica più vasta di quella a cui siamo abituati. E per questo occorre ricostruire un rapporto e un patto tra generazioni: dobbiamo imparare a pensare attraverso la prospettiva di più generazioni e non solo della nostra.
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Non si tratta di insegnare il comportamento ideale e nemmeno di colpevolizzare i singoli atti consumistici.
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La sfida più importante sta piuttosto nella capacità di mettere in campo delle differenti pratiche sociali, relazionali, simboliche, evocative, più ricche umanamente e socialmente e alla fin fine, più desiderabili.

Dobbiamo affrontare, contemporaneamente, una serie di cambiamenti sottili nel nostro modo di pensare e di essere.

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Non si tratta di proporre astratte utopie o pianificazioni tecnocratiche: in un mondo complesso non possiamo sapere cosa accadrà o quando, ma possiamo senza dubbio cominciare a muoverci a partire da noi stessi, da dove ci troviamo, dalle nostre relazioni, dal nostro territorio, dai luoghi che abitiamo, mettendo in moto processi virtuosi.

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In questo senso ci proponiamo di reinventare un'altra idea di bellezza che ci porti a vedere le città, il territorio, i paesaggi, le comunità umane in modo differente.

Vogliamo ritrovare il senso dei beni comuni, degli interessi collettivi, dei beni relazionali, sperimentare nuove forme di partecipazione, praticare un consumo intelligente e sociale, una condivisione più profonda.
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Abbiamo fiducia nella possibilità di istituire una società che metta al centro le persone e le relazioni e non le merci e gli scambi economici e che rivaluti l’importanza dei beni immateriali su quelli materiali. Che valorizzi modi di relazione antiutilitaristici e non strumentali e che sappia dare spazio alla solidarietà e al bene comune, piuttosto che all’interesse privato.
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Che valorizzi l’ambiente naturale, e le altre forme viventi, per la loro bellezza e dignità e non solo in termini strumentali.

Questo significa anche ricostruire forme di legame con i territori, valorizzando le risorse e i beni locali, le reti di economia sociale e solidale, rispondendo in primo luogo alle necessità della comunità locale e dell’ambiente e non a quelle del mercato.
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Il territorio è, per noi, la dimensione appropriata da cui partire per costruire una maggiore partecipazione e un reale decentramento: in altre parole per favorire l’autonomia, ossia la possibilità per ciascuno di definire in modo partecipato norme e regole di governo efficiente e sociale delle comunità.

Si tratta di una ricerca non conclusa, che ci mette in gioco profondamente e radicalmente.
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Sappiamo altresì di essere “guaritori malati”.
In una società di mercato orientata alla crescita, non esiste essere umano che, per quanto assuma un comportamento ascetico, possa contemplare dall’esterno la cultura della merce.
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Anche se ci priviamo di ogni oggetto, non di meno restiamo culturalmente prodotti da questa società: solo riconoscendoci impregnati di questa cultura, possiamo fare il primo passo e cominciare ad essere, finalmente, “malati guaritori”.

Capaci di prenderci cura della fragilità nostra e di un pianeta che, assieme alle altre creature, vogliamo continuare ad abitare.

Una utopia allora? Una utopia forse sì.
Ma un’utopia concreta.
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Due scenari sembrano infatti profilarsi all’orizzonte, quello di una decrescita reale, necessaria, inevitabile e subìta, fatta di razionamenti imposti ai più poveri e foriera di prevedibili involuzioni autoritarie, come è del resto già accaduto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, a seguito dei fallimenti del liberismo ottocentesco, e quello, invece, di una decrescita condivisa, sostenibile e responsabile che al contrario può dischiudere grandi opportunità per la democrazia e l’autogoverno delle società.
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Vi chiediamo di unirvi a noi per aiutarci a fare sì che sia la seconda, e non la prima, l’alternativa entro cui possa confluire il corso della storia del XXI secolo.





 
     
 

RETE PER LA DECRESCITA SERENA PACIFICA E SOLIDALE


 
     
 

Movimento per la democrazia economica


 
     
     
     
     
     
     


 


 


 


 


 

Commenti

  1. La tua lucidità e relativo modo di esporre i gravi problemi relati al momento storico che stiamo attraversando è incredibile e in me, anzichè depressione, suscita voglia di muovere più che altro le meningi, ma diciamo la verità, anche un po' le mani. Quelle belle manine lilla che hai pubblicato...Bravissimo Carlo.

    Una buona giornata
    Bessola

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  2. La tua lucidità e relativo modo di esporre i gravi problemi relati al momento storico che stiamo attraversando è incredibile e in me, anzichè depressione, suscita voglia di muovere più che altro le meningi, ma diciamo la verità, anche un po' le mani. Quelle belle manine lilla che hai pubblicato...Bravissimo Carlo.

    Una buona giornata
    Bessola

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  3. Ciao,Buona domenica, saro perdonata se ti dico, che sono arrivata fino alle citazioni molto belle, dopo buio, forse un altro giorno avro la pazienza, ma forse non possedo abbastanza cognizione in questa causa???!un abbraccio con il profumo di maggio.emer

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  4. Ciao,Buona domenica, saro perdonata se ti dico, che sono arrivata fino alle citazioni molto belle, dopo buio, forse un altro giorno avro la pazienza, ma forse non possedo abbastanza cognizione in questa causa???!un abbraccio con il profumo di maggio.emer

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  5. Un post da leggere con molta attenzione.
    Tutto da meditare.
    Da tutti.

    Da me a te un abbraccio :)

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  6. Un post da leggere con molta attenzione.
    Tutto da meditare.
    Da tutti.

    Da me a te un abbraccio :)

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  7. Sottoscrivo il post dall'inzio alla fine.
    (una malata)

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  8. Sottoscrivo il post dall'inzio alla fine.
    (una malata)

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  9. Riconosco di non essere all'altezza per comprendere nella sua totalità questo tuo lungo e molto interessante post. Ma nelle sue linee generali si. Ti ringrazio di informarci sempre e in un modo così professionale e preciso di come si stanno muovendo le cose.
    A presto e grazie del tuo passaggio.
    Chiara

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  10. Riconosco di non essere all'altezza per comprendere nella sua totalità questo tuo lungo e molto interessante post. Ma nelle sue linee generali si. Ti ringrazio di informarci sempre e in un modo così professionale e preciso di come si stanno muovendo le cose.
    A presto e grazie del tuo passaggio.
    Chiara

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  11. Sono perfettamente daccordo...coe devo fare per aderire in maniera fattiva?
    Ah avrei anche bisogno che qualcuno mi insegnasse come si fa a cambiare rotta...

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  12. Sono perfettamente daccordo...coe devo fare per aderire in maniera fattiva?
    Ah avrei anche bisogno che qualcuno mi insegnasse come si fa a cambiare rotta...

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  13. ciao Carlo...auguroni di buon compleanno!!baci

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  14. Auguri Carlo e un bacio!
    Sottoscrivo pienamente il tuo giustissimo post!!!!! A presto...(Clara)

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