A proposito di farfalle
Tutto il visibile è espressione, tutta la natura è immagine, è linguaggio, è colorato geroglifico. Nonostante una scienza della natura molto evoluta, oggi non siamo affatto ben preparati nè educati ad una corretta osservazione e, rispetto alla natura, ci troviamo piuttosto sul piede di guerra. Altri tempi, forse tutti i tempi e tutte le epoche antecedenti la conquista della terra da parte della tecnica e dell’industria, hanno avuto sensibilità e comprensione per il magico linguaggio dei segni della natura, e sapevano decifrano in modo più semplice e innocente di noi. Questa sensibilità non era assolutamente qualcosa di sentimentale, il rapporto sentimentale dell’uomo con la natura è un fatto recente si forse scaturito dalla nostra cattiva coscienza nei confronti della natura.
La percezione per il linguaggio della natura, la percezione della varietà che la vita generatrice mostra ovunque, l’impulso all’interpretazione di questo multiforme linguaggio e, ancor più, l’impulso a una risposta, tutto questo è antico quanto l’uomo. Il presentimento di una unità occulta e sacra dietro la ricca varietà, di una madre primigenia che sta dietro tutte le nascite, di un creatore che sta dietro tutte le creature, questo mirabile impulso primario dell’uomo verso l’alba del mondo e il mistero delle origini è stato alla radice di ogni arte, e lo è ancor oggi, come sempre. Oggi, appariamo essere infinitamente lontani dall’adorazione della natura in quel senso tutto religioso che è la ricerca di una unità dietro la molteplicità, non ci abbandoniamo volentieri a questo infantile stimolo primario, ci scherziamo sopra quando ce lo rammentano. Ma è probabilmente un errore considerare l’intera odierna nostra umanità come irriverente, incapace di avere una esperienza religiosa della natura. È’ solo che, al momento, ci è assai difficile, ci è divenuto quasi impossibile trascrivere innocentemente la natura in miti, e personificare infantilmente il creatore per adorarlo quale un padre, come altre epoche poterono fare. Ora, se possiamo comportarci come devotamente umili o sfacciatamente superiori, se sorridiamo o ci stupiamo delle antiche forme di fede in una natura animata, il nostro reale rapporto con la natura, persino là dove la conosciamo solo più come oggetto di sfruttamento, è ancora quello che il bambino ha con la madre; e non si sono aggiunti percorsi nuovi a quei pochi, antichissimi, che possono condurre l’uomo alla beatitudine e alla saggezza. Uno dei quali, il più facile e infantile, è il cammino dello stupore per la natura, dell’ascolto pieno di trasalimenti del suo linguaggio. | ||
“Sono qui per stupirmi!” afferma un verso di Goethe. Con lo stupore si inizia e anche con lo stupore si termina, e tuttavia non è un cammino vano. Se ammiro un muschio, un cristallo, un fiore, un coleottero dorato, oppure un cielo nuvoloso, un mare con il pacato respiro da gigante del moto ondoso, un’ala di farfalla con le sue ben ordinate nervature cristalline, il taglio e le colorite decorazioni ai suoi bordi, la varietà di caratteri e di ornamenti del disegno e le infinite, morbide, mirabilmente ispirate gradazioni e ombreggiature dei colori — ogni volta che riesco a vivere in sintonia con un frammento di natura grazie all’occhio o un altro senso, ogni volta che sono da essa attirato e incantato aprendomi per un attimo alla sua esistenza e alla sua rivelazione, allora dimentico — in quello stesso istante tutto l’avido cieco mondo delle umane ristrettezze, e invece di pensare o di impartire ordini, invece di conquistare o di sfruttare, di combattere o di organizzare, in quell’istante non faccio altro che “stupirmi”, come Goethe; e con questo stupore non sono solo divenuto fratello di Goethe e di tutti gli altri poeti e saggi; no, sono anche il fratello di tutto ciò che ammiro e sperimento come mondo vivente; della farfalla, dello scarabeo, della nuvola, del fiume e dei monti: perché lungo il cammino dello stupore sfuggo per un attimo al mondo della divisione ed entro nel mondo dell’unità, dove una cosa, una creatura, dice a ogni altra: “Tat twam asi” (“Questo sei tu”).
A volte con malinconia osserviamo l’innocente rapporto verso la natura delle generazioni passate; si, con invidia; ma non vogliamo prendere il nostro tempo più seriamente di quanto meriti, e non ci vogliamo neanche lamentare per il fatto che nelle nostre scuole superiori non si insegna a percorrere le più semplici vie alla saggezza; anzi, per il fatto che vi si insegni invece dello stupore esattamente il contrario: il contare e il misurare invece dell’incantarsi, la freddezza invece della meraviglia, il fisso attaccamento alle singolarità separate invece che l’unione col tutto e con l’Uno. Queste scuole superiori sono non scuole della sapienza, ma scuole del sapere; ma nel loro silenzio presuppongono ciò che non riescono a insegnare; la sapienza del vivere, il sapersi commuovere, il goethiano stupore, e i loro migliori spiriti non conoscono meta più nobile che avvicinarsi sempre più a quegli eventi, cosi come Goethe e altri autentici saggi. | ||
Le farfalle, di cui si occupa questo discorso, sono dunque al pari dei fiori, per molti, uno dei frammenti più amati del creato, un oggetto particolarmente apprezzato e valido di quel famoso stupore, una occasione particolarmente leggiadra per l’esperienza, il presentimento del grande miracolo, la venerazione della vita. Al pari dei fiori, esse sembrano esser state inventate da gentili, leggiadri e arguti geni; immaginate, con delicata voluttà creatrice, espressamente come decorazione, come ornamento, come gioielli; come piccole, scintillanti opere d’arte e canti di giubilo. Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se, alla vista delle farfalle, non si prova una gioia, un frammento di fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano. E certo ve ne sono buoni motivi. La farfalla, infatti, è un qualcosa di particolare, non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima, più elevata, più festosa e insieme vitalmente importante essenza di un animale. È la forma festosa, nuziale, insieme creativa e caduca di quell’animale che prima era giacente crisalide e, ancor prima che crisalide, affamato bruco. | ||
[ H.Hesse ] |
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un post davvero profumatissimo....
RispondiEliminaLezzione numero uno:come dipingere con le parole....numero due.......come non perdere mai l'harmonia.Da quando ti conosco per me sei il punto fermo da dove ha l'inizio l'infinito. emer
Il fiore e la farfalla
RispondiEliminaLa farfalla è un fiore
Liberatosi dalla terra o
Il fiore è una farfalla
Imprigionato dalla terra?
Momenti di un percorso.
Alternanze.
Reciprocità senza fine.
Himma
(Un Bacio!)
Credo proprio che lo "stupore" di fronte al miracolo quotidiano di ciò che ci presenta la Natura sia il termine più approppriato.
RispondiEliminaTesto molto interessante e foto stupende. Anche la prima parte della musica un po' orientaleggiante, delicata e in sintonia col tuo post.
Ciao
Gianluisa
Lo sai perchè mi trovo così bene dalle tue parti... perchè qui le onde coccolano dolcemente la mia anima inquieta donandole tanta serenità...
RispondiEliminaAicha
Ah dimenticavo...
RispondiEliminaun abbraccio immenso come il mare!!!!
Semplicità....stupore e meraviglia....espressioni insite in qualsiasi forma della natura.
RispondiEliminaE' per questo che i bambini sono così meravigliosi...crescendo perdiamo queste caratteristiche e non è affatto un bene.
Un saluto.
Giò
Le ali delle farfalle sono come petali di fiori e certi fiori paiono farfalle.
RispondiEliminaUna simbiosi spesso voluta proprio dalla Natura.
Bel post Carlo e quando mai ci si trova "a bocca asciutta" da te.
Ambrosia....buona serata
Chiara
Voli di farfalle nell'aria lucente di maggio.
RispondiElimina(non di questo, eh!)
Ciao, mio caro, un saluto...
Veltroni? ah no, sono politicamente depressa!
Leggo solo ora...se non aggiungo altro tu sai perchè.
RispondiEliminaGrazie per questo post.
ti abbraccio
BLue