LA STORIA NON HA NASCONDIGLI ?


     
     
     


 



 


 


 






























































































































































































































































































































































     
     
     
     
     
 

C’é una frase che mi risuona in testa da tempo. E’ un verso di una vecchia canzone di Francesco De Gregori: “La storia siamo noi”.
Sono cinque parole,  inserite dentro una affermazione: "la storia non ha nascondigli". Eppure nella mia mente queste parole tornano sotto forma di interrogativo. Una domanda che mi arriva in modo ricorrente, e nei momenti più inaspettati. E se la canzone fu scritta e ed eseguita in origine da De Gregori, a me tuttavia, ritorna con la voce affilata e incisiva  di Fiorella Mannoia. E’ la sua versione quella che mi assedia. Quella, che ascolto e che avverto come un graffio di unghie sulla pelle. Un graffio che lascia il segno.


 


Ma la storia per davvero non ha nascondigli?


 


Ora, pur comprendendo il senso  che all’interno del testo originario, De Gregori aveva inteso dare a questa affermazione, a me succede invece, di estrarla da quel contesto, di prendere lei sola, perché é lei che mi assorbe. Su di lei, che m’interrogo.
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La storia non ha nascondigli ”.   Ma é proprio così?
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Ci penso. Altroché, se ci penso. Perchè ogni volta che ascolto mentalmente la Mannoia  con questa canzone, finisce che inchiodo. Mi fermo e comincio ad arrovellarmi su tutti i possibili significati che si potrebbero attribuire  a questa frase.
 


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
     
 

La storia non ha nascondigli ?



Per quanto mi concentri, per quanto cerchi e ragioni, mi pare che invece la storia di nascondigli ne abbia. Anzi, la sensazione é quella che in tanti casi  la Storia sia un formidabile contenitore di nascondigli e ancor più, di storie nascoste, a volte occultate, a volte rimosse, altre volte, semplicemente, difficili da scorgere.


 
     
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
  E il pensiero corre ai “ bordi ”.
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A ciò che sta sul margine. Ai margini di un foglio, ai margini di un testo.
A ciò che galleggia ai lati della corrente di un fiume.
A ciò che quasi mai scorgiamo sui bordi oscuri di un cielo al tramonto.
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La storia per come ci viene narrata, per come siamo abituati a pensarla, appare per davvero come una corrente di fiume.
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Scendono imbarcazioni su quel fiume e perfino tronchi dopo gli acquazzoni primaverili. E arbusti,  rami interi strappati da chissà dove, con attaccate ancora le foglie di un verde brillante. Altre volte é un pallone o un gioco di bimbo a galleggiare sulla corrente. Un punto dai colori allegri che illumina  il verde spento dell’acqua.
Altre volte, dal ponte, vediamo passare perfino un pneumatico. Nero e semi-sommerso. Una gomma screpolata proiettata verso un assai probabile muto naufragio in un’ansa .


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
  Ma ai bordi ?  
     
 

Ai bordi del fiume ci sono canneti, cespugli, mille  rientranze. Affioramenti di sassi, detriti.
E sulla riva, camminamenti e buche: gallerie di talpe, di topi, di lontre.
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Ai bordi del fiume la corrente rallenta e diverge in mille rivoli.
Poi si ingorga in mulinelli, fra golfi di sabbia,  promontori di fango, fra i  depositi di ghiaia e le piante acquatiche, che dal fondo s’innalzano e ondeggiano, opponendosi alla sua ormai esausta energia.


 
     
     
     
     
 


 
     
     
     
     
 

Di nascondigli, le rive del fiume son piene.
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I pescatori che ci si avventurano, conoscono appena alcuni sentieri fra l’erba alta e le canne. Ma ci son zone talmente impervie e nascoste in cui nessuno da anni arrischia inoltrarsi.
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In quegli spazi  remoti é la selva.


 
     
     
     
     
   
     
     
     
     
 

Se la Storia é simile a quella corrente di fiume, allora, la vera avventura diventa inoltrarsi ai suoi bordi. In quello spazio dove l’acqua incontra la selva.
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Anche lì si annida la vita.
Una vita silente, più fitta, discreta, eppure rigogliosa  e selvaggia nella sua segretezza. 


 
     
     
     
 

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Il 23 maggio del 1908, in una dimora patrizia di Zurigo, nacque Mina, terzogenita di Alfred Schwarzenbach e di Renée Wille. Col nome di Annemarie, sarebbe diventata – nonostante o a causa della sua morte ad appena 34 anni – una delle più singolari scrittrici svizzere del '900.
A cento anni dalla nascita, la sua città le rende omaggio con una mostra intima e toccante, intitolata "Eine Frau zu Sehen", dal titolo di un suo racconto pubblicato per la prima volta quest'anno (Kein & Aber, €.12,90 ).
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Scritto nel 1929, rimase inedito a causa della tematica, esplicitamente lesbica. Smarrito fra i manoscritti dell'archivio, è stato rinvenuto da Alexis Schwarzenbach, pronipote della scrittrice, curatore della mostra e autore anche del catalogo, "Auf der Schwelle des Fremden”, un volume ricco di documenti e fotografie, forse definitivo per la biografia della scrittrice. La mostra al Museum Strauhof di Zurigo si é chiusa la settimana scorsa, ma andrà in tournée in altre città europee.




Si tratta di un itinerario affascinante in una vita intensa, ricostruita stanza dopo stanza attraverso centinaia di oggetti, filmati, libri, diari e fotografie. Il visitatore viene accolto da un abito brilluccicante, sospeso al soffitto: il costume del Cavaliere della Rosa che Annemarie, a quattordici anni, indossò per una recita di famiglia.
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Appassionati di musica, i suoi genitori – industriale della seta il padre, discendente del cancelliere von Bismarck, la madre – erano infatti dei mecenati, che trasformarono la loro principesca villa sul lago di Zurigo in un sorta di teatro. Fin dall'infanzia, per volontà della madre Renée, la bambina (occhi grigi, capelli chiari, corpo snello, espressione sempre imbronciata) assunse un'identità maschile: come testimoniano alcune letterine qui esposte, si firmava Fritz. Ma fu appunto nei panni di Ottaviano, il Cavaliere della Rosa di Strauss, che Annemarie esibì per la prima volta pubblicamente la propria conturbante bellezza androgina. E quella maschera maschile, assunta inizialmente per compiacere la madre divenne con gli anni la sua più vera identità.
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Cresciuta tra collegi esclusivi, i privilegi dell'alta società e vacanze nei grandi alberghi di tutta Europa, Annemarie sviluppò una passione imprevista dalla sua famiglia: la scrittura.




Diventare una scrittrice divenne il sogno e l'ossessione della sua vita. La madre che l'avrebbe voluta almeno apparentemente conformista, lottò contro la figlia fino alla morte di lei.
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Annemarie trovò un'altra famiglia nei Mann, legando il proprio destino a quello dei figli di Thomas, l'attrice Erika e lo scrittore Klaus.


Del tentativo di Annemarie di trovare un punto fermo nella professione di archeologa, la mostra offre qualche reperto.
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Di un'esistenza via via più sradicata testimonia invece il passaporto: logoro e sfregiato da visti e timbri.
Della sua breve ma fortunata carriera di fotoreporter testimonia una stanza intera, tappezzata di fotografie dall'Asia, dall'Africa, dall'Europa e dall'America, accompagnata da brevi frammenti dei suoi testi. Della sua torturante dipendenza dalla droga, invece, solo due fotografie sfocate scattate a Parigi nel 1936.




Al piano di sopra c'è poi una stanza bianca, che riassume le molte stanze delle cliniche e dei manicomi in cui dal 1935 Annemarie fu rinchiusa o si rinchiuse per curare la depressione, la dipendenza dalla droga, lo smarrimento esistenziale.
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Lungo i muri scorrono le perizie psichiatriche dei numerosi medici che si occuparono di lei: documenti finora inediti, perché accessibili solo ai familiari. E proprio in questa stanza il lettore e lo studioso della Schwarzenbach hanno la possibilità di rivivere e provare a decifrare i suoi ultimi due misteriosi e assurdi mesi di vita.


 


Annemarie lasciò il Congo nel marzo del 1942. Rientrò in Europa, diretta in Engadina, dove aveva deciso di acquistare una casa e stabilirsi per sempre. Il giorno del suo rientro, la madre cadde da cavallo e batté la testa. Annemarie andò a trovarla all'ospedale di Horgen. I rapporti fra madre e figlia si erano interrotti quando Renée l'aveva scacciata appena un anno prima: si riconciliarono. 
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In Engadina  Annemarie trascorse l'estate a scrivere. Era serena, anche se provata, come dimostra la fotografia che inviò alla sorella il 31 agosto. Il 6 settembre, mentre scendeva a Silvaplana, cadde dalla bicicletta: batté la testa e rimase tre giorni in coma. Al suo risveglio era molto confusa e agitata. Il fratello e il medico decisero di mandarla nella clinica di Prangins, dove era già stata ricoverata sei anni prima per un sospetto di schizofrenia.
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Fu l'inizio di un calvario in cui stupidità, incompetenza e crudeltà si sommarono con esiti fatali.
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I medici dissero che la confusione mentale di Annemarie o era la conseguenza del colpo subito alla testa o la manifestazione di una psicosi già latente prima della caduta. Nel dubbio fu sottoposta a elettroshock e insulino-terapia, che provocava una sorta di coma artificiale.
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Ovviamente, non guarì.
Anzi, le terapie la resero più aggressiva e violenta. Il direttore si convinse di dover domare la sua presunta schizofrenia con un trattamento di shock sempre più invasivi.
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Annemarie rimase tre settimane nella clinica: quando arrivò la madre – che non aveva rivisto la figlia – non poté ripartire senza di lei. «Mamma mi ha tirato fuori dall'inferno di Prangins» scrisse con grafia tremolante all'amica Annigna Godli, che abitava a Sils-Baselgia. Vedendola, la nonna rimase sconvolta e annotò nel diario: «Povera Renée! Annemarie è totalmente malata di mente! O Dio!».

Il 19 ottobre Annemarie tentò di scrivere di nuovo alla sua amica Annigna.
Le sue ultime righe sono un documento straziante.
La calligrafia frana lettera dopo lettera, fino a diventare incomprensibile e aliena. Si legge solo: Ti prego... per favore... baci...
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Da quell'oscurità non ci fu ritorno.
Annemarie fu spedita a Sils-Baselgia con un'infermiera. Era assente, muta, paralizzata, non parlava e non mangiava più. I medici continuavano a interrogarsi sulle cure adatte al suo strano male. Un fitto carteggio corse per tutta la Svizzera. Il 5 novembre il medico chirurgo Paul Gut riferì al collega Schindler la terapia concordata con la famiglia: «Il programma è così riassunto: eutanasia».
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Il terribile documento è appeso alla parete.
Su quella accanto scorrono ininterrottamente le immagini dei filmini di famiglia, girati da Reneé Schwarzenbach nel 1929. Annemarie, ventunenne, in sottoveste, danza per la madre, poi si inclina all'indietro. Sembra che stia cadendo, e invece sta solo facendo il "ponte".
La stessa donna che la filmava con occhio innamorato, autorizzò la terapia del dottor Gut. La pratica si concluse rapidamente.
Annemarie morì il 15 novembre 1942”.












     
 

                    [  da un articolo di MELANIA MAZZUCCO  ]


 
     
     
     
     
     
     


       


      


 



  

Commenti

  1. Un incanto le tue foto

    Uno scorrere la Storia, come l'acqua delle tue immagini,ed attraversa anche i nascondigli

    Un saluto caro

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  2. Un post insolito a partire dai soggetti che hai fotografato .
    Sempre originale, sempre "diverso".

    Ciao

    Chiara

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  3. "Ciò che galleggia ai lati della corrente". Mai trascurare gli angoli nascosti e le tue foto lo dimostrano.
    Certo il tuo discorso è ben altro, pulito e corretto; come sempre ben esposto. Grazie per l'idea originale che hai avuto. Sempre meglio di una vitamina C venire sul tuo blog.
    Ciao
    Gianlù

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  4. Mi piace il tuo modo di descrivere la Vita con le parole e le immagini.Quante storie in una ,mille vite intere,tutte importanti,tutte con un piccola risposta in più,persino lì nei bordi..
    Sono molto belle le foto Carlo,le ultime tre potrebbero essere il mio giaciglio di storie,poesia e magia
    un sorriso

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  5. E' stato un piacere che tu sia passato da me..ancora di piu' passare da te..molto bello qui..foto stupende...
    Sì mi ero dimenticata del calore e l'energia che sprigionano le mani...
    Credo comunque e ne sono convinta che la storia di ieri e di oggi nasconda molto e anche di piu'...
    Un abbraccio
    Biby

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  6. Ciao Carlo, incantata anche io dalle onde inquiete del tuo blog e dalle tue foto così dense e scultoree...
    La storia ha sì nascondigli, anfratti d'ombre dove ha depositato le verità più scomode, più nascoste o più intime. Incombe su di noi quest'ombra, eredi del tempo passato e creatori d'ombra a nostra volta.
    Spero di riaverti tra le mie pagine.
    Un caro saluto
    Margot

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  7. Terribile e inquietante 'la storia' di Annemarie.....
    Che mostra chiaramente quanto la peggiore delle situazioni di assoggettamento ad altrui volontà, sia quella della fragilità della coscienza, che accomuna in questo destino poveri e ricchi: anche al di là di ogni possibile 'potere' prima detenuto.
    (E laddove -a volte- una pietosa eutanasia non è il peggiore dei mali!)
    O forse non era in epoche che ci sembrano tanto distanti, ma non lo sono...

    Mi hai fatto tornare la voglia di continuare a sviscerare l'argomento 'scomodo' (che a pochissimi importa di questo problema, se non direttamente coinvolti come parenti,e anche dolorosamente) del mio penultimo post.
    Se poi, toccherà a noi, un giorno, direttissimamente, non avere voce in capitolo sulla nostra propria ultima sorte (anche solo come fragili e manipolabili per 'anzianità' da gente senza scrupoli) a chi importerà, se non per "fare notizia" per qualche giorno?!?
    O per ergersi paladini della VITA ad ogni costo??!!

    Lo so, ho fatto un calderone ribollente e informe delle mie emozioni...ma stasera va così... mi han preso tutte insieme alla gola, e non ho potuto opporre resistenza (a parte la sintesi, che rende tutto ancora più confuso...) Chiedo venia.

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  8. La tua Storia nasconde molte parole note.
    Impazzisco.

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  9. Mi mancavi. Devo ricominciare a essere più regolare nel passare a trovarti.

    Un abbraccio

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  10. Ciao Carlo.
    Ieri ti ho scritto un commento al tuo post, il 2° della lista per l’esattezza, ma oggi trovo più né il mio né quello che lo precedeva. Sai perché Splinder ogni tanto fa questi scherzetti? Cmq riguardo alla Mazzucco non mi sorprendo più di tanto… è da tempo che ho notato che la nostra sensibilità corre sullo stesso binario… ;)
    Aicha

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  11. Ciao Carlo, mi vergogno moltissimo per aver 'disertato' il tuo blog ma mi succede una piccola collana di guai fisici che diventano anche psichici.
    Bellissime le tue foto.
    un abbraccio

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  12. Oh, i profumi.............ti fanno apparire la luna a mezzogiorno e poi la notte improvvisamente ti tocca il cuore un raggio di sole.........grazie,Carlo, emer

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  13. Le foto sono come sempre stupende. La musica è piacevole, si spende poco ergo ripasserò sicuramente. Ciao, carlo.

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  14. Certo: "la Storia E' un formidabile contenitore di nascondigli e ancor più, di storie nascoste, a volte occultate, a volte rimosse, altre volte, semplicemente, difficili da scorgere." Riflettevo che i bordi del fiume sono davvero la parte più occulta e significativa della vita e della storia. E, la fragilità di "Annemarie" potrebbe essere, oggi, in altri versi, la fragilità di tutti noi davanti all'ingiustizia che ci sovrasta...Perché l'ingiustizia ci sovrasta cosi? Perché, che siamo sani o malati, ricchi o poveri, non potremmo riconoscere una forma di ingenuità e inconsapevolezza di assensi (in noi) ad un potere manipolativo abnorme...che poi ci vuole solo asserviti e ignavi?
    Spesso ci penso...e non so trovare la risposta, ma so che moltissimo dipende da noi...
    Le foto sono di una favolosa bellezza....Grazie Carlo! (Ritama)

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  15. Sono rimasta affascinata dalle tue foto e dalle tue parole....sì anche per me la storia ha nascondigli....i nascondigli che uomini e donne gli hanno costruito intorno....
    Passerò più spesso.
    Ciao!

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  16. mi rinviene una frase femminista: mai piu' fuori dalla storia....è vero quello che dici..la storia è fatta di nascondigli...le donne sono state sempre invisibili

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