Rileggendo un discorso di Osho, mi é tornato in mente un ragionamento che facevo a 17-18 anni. Allora, pur non avendo nessuna esperienza diretta di quanto immaginavo, mi pareva, [ovviamente da un punto di vista del tutto teorico] che il migliore modo di amare fosse proprio quello svincolato dalle parole e dalle dichiarazioni, la situazione nella quale, cioè, il bene che lega due persone non transita tanto dalla comunicazione verbale, ma direttamente nei fatti.
La mia idea in sintesi, era quella che la modalità migliore di una storia fosse quella in cui ognuno dei due si prodigasse “in silenzio”, senza nessun clamore, senza tante verbalizzazioni. In silenzio, appunto. E in questo silenzio, in questo tacere, in questa discrezione, intuivo perfino una sacralità, un rispetto per l’altro portato all’ennesima potenza.
Riuscivo perfino ad immaginarlo questo silenzio luminoso. Una sorta di silenzio costruttivo. Una sintonia tanto intensa e solida da non richiedere comunicazione. E quindi mi pareva giusto tendere a quella situazione. Calare il proprio bene talmente dentro i fatti, i comportamenti, gli atteggiamenti, che qualsiasi discorso, comunicazione, dialogo a quel punto, sbiadiva, come qualcosa in fin dei conti superfluo rispetto alla concretezza dei comportamenti



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Poi crescendo e attraversando pure io alcune storie importanti, ho gradualmente abbandonato questa certezza così radicale che mi pareva di avere.
Pian piano, anche attraverso la lettura di testi sulle relazioni umane e soprattutto tramite il confronto con altre persone, mi é nata la sensazione, se non la convinzione che, invece, la comunicazione, quella vera, quella profonda, abbia una importanza per nulla trascurabile nel creare le condizioni per vivere l'amore con l’altra persona.
Oggi rileggevo Osho, là dove afferma che l’illuminazione e la crescita interiore di un individuo accade come frutto di due componenti: da una parte l’amore e dall’altra la meditazione. Dove io son portato a leggere in quell’amore e quella meditazione, l'unire la concretezza dei fatti, e quella "silenziosa" responsabilità verso l’altro, alla comunicazione come fonte di ulteriore consapevolezza. E d'altra parte, come non attribuire importanza e valore al ruolo che gioca la "comunicazione da nucleo a nucleo", fra le persone?
Come negare che la comunicazione è un fenomenale mezzo per penetrare nella dimensione interiore dell’altro, fino al suo centro, in quell'ideale spazio, in cui non esiste più l'ego, si è dissolto e ha lasciato il posto alla perfetta trasparenza. Alla consapevolezza, alla capacità di saper accogliere l’altro per come è, senza pretendere di mutarlo.
Come ignorare che è proprio grazie anche a questo tipo di comunicazione che si raggiunge un benessere, una gioia e una specie di stadio estatico nelle due persone ? Tutto questo, credo di averlo sfiorato pure io, qualche volta… Eppure l’interrogativo e il dilemma continuo a pormelo.

  
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Mi chiedo: é predominante la concretezza, la modalità implicita e silente dell’amore, senza necessità di una educazione, di una sorta di “coltivazione” della comunicazione e della sintonia con l’altra persona, oppure é invece fondamentale la comunicazione per relazionarsi in modo profondo con gli altri? E nel caso specifico di un rapporto di amore, non é proprio la ricerca di comunicazione vera a consentire di tessere un solido tessuto di condivisione? Non so. E' complessa come cosa. Ho qualche intuizione appena ma non certezze. Non lo so bene cosa rispondere a questo dilemma e allora lo lascio aperto. Anzi provo a chiederlo al visitatore che capita su questi lidi.

E voi ? Vi vengono mai di questi interrogativi?


 







Commenti

  1. ci vorrebbero empatia e telepatia alla massima potenza...perchè avvenisse il miracolo della perfezione...Ma la cosa bella della imperfezione dei rapporti umani è la possibilità che abbiamo di coltivarli, di farli crscere...tramite anche la meditazione e la comunicazione..E proprio per questo diventano così belli

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  2. Strano a credersi ma in passato ho sempre preteso che le emozioni me le si manifestassero in modo chiaro, apertamente.... in barba alla grande empatia che vado vantando... ma ciò era dovuto credo solo all'insicurezza che mi è congenita.
    Con il tempo il mio compagno mi ha "dimostrato" l'intensa validità di quella che definisci la tua idea di gioventù!!
    Nel silenzio complice le emozioni acquistano uno spessore inimmaginabile!!!
    Aicha

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  3. Mhà? Non mi domando mai troppo ... faccio ciò che sento e prendo ciò che arriva ...
    ... troppo riduttivo ?

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  4. Tesoro, insisti a dire di vera comunicazione...ma pure, se come dici hai letto tanto sull'argomento, dovresti ormai sapere che il silenzio è una forma di comunicazione. E una delle più potenti benché (e proprio perché) interpretabile...mostrando al tempo stesso limiti e spazi espansi.
    Quello che allora conta è il codice, non il messaggio, non la forma di comunicazione, per capirsi.
    Stabilire un codice comune d'intesa con chi si ama, questa è l'impresa! (certamente feconda...)

    A proposito: come devo interpretare i tuoi diuturni silenzi da me?! ;)))

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  5. Cara Leira, ma è chiaro no?
    Proprio perchè so bene
    che il silenzio in determinati (e rari casi), è comunicazione empatica
    tu spesso mi "ascolti" tacere.

    Quindi, "più non dimandare" il senso
    di tali sommi silenzi che tutto il bene contengono. :o)))

    Sorrido... E ti dedico un"sorriso".

    P.S.
    Tuttavia, mi permetto
    di notare che non hai risposto
    al dubbio sollevato nel post.
    Dire che esiste uno dei due termini
    del dilemma, non scioglie
    il nodo,lo rafforza.
    Almeno, così mi pare...


    mumble...mumble...

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  6. Mi piacerebbe avere una risposta a questa domanda.
    O almeno, avere un idea sull'argomento.
    Invece non ne ho.
    In barba a tanti anni di filosofeggianti esperimenti, di lunghe trattative tra la mia mente e la mia percezione.
    In realtà ho solo un idea. E cioè che non ne ho.
    Esistono milioni di manifestazioni del nostro "sentire" e quindi altrettanti modi di creare un rapporto, moltiplicato per le persone che s'intrecciano in un percorso, che non è mai lo stesso e che si evolve e perciò moltiplichiamolo anche per le volte in cui subisce delle modifiche.
    Sai fare un numero Carlo ?
    Io no.
    Fino a un anno fa ti avrei detto che la comunicazione e la presenza fisica fanno di un rapporto platonico qualcosa di concreto. Oggi non me la sento di fare tale affermazione.
    Perchè ho scoperto che non è vero.
    In fondo non è neppure essenziale conoscersi; quante volte amiamo non l'idea che ci siamo fatti di qualcuno, ma solo quello che sentiamo dentro di noi al solo contatto con una persona, in fondo amiamo ciò che si riflette dentro di noi, scaturito da un evento esterno .. ma tutto funziona così; anche l'incontro con un albero.

    Comunicare è tanto facile quando si è aperti e ricettivi, al contrario diventa impresa assai ardua quando ci chiudiamo dentro una bolla di intolleranza e perdiamo anche "l'amore per l'incontro stesso".

    L'unica cosa che conta forse, è l'apertura e la leggerezza :)

    Buona serata mio caro

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