Guardare è ri-memorare
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" Guardo tutto velocemente. Consumo ciò che vedo con noncuranza. Del mio passato non ricordo nulla. Ho bisogno di vivere sempre più in fretta. Ho l’impressione che la vita mi sfugga. Sto perdendo la memoria e il senso di ciò che faccio. Vivo nel presente senza voltarmi mai indietro, non ho nulla cui ancorare i miei sentimenti. Non ho tempo per mettere radici, non ho tempo per affezionarmi ai luoghi e alle persone, non ho tempo per amare, per odiare...
Guardo la mia faccia, ho le rughe, guardo questi segni che il tempo ha inciso sulla mia pelle, il tempo che è passato e che mi ha tenuto compagnia, nonostante la mia fuga dal tempo. Guardo un pezzo dopo l’altro del mio corpo: ho una cicatrice sotto il mento, un’altra sul ginocchio e due sul braccio. Ricomincio dalle storie delle mie cicatrici. Mi fermo, rallento pulsazioni, respirazione, parole, sguardi: dalla storia del mio corpo cancellato estraggo i miei primi ricordi. _ Vado alla ricerca dei luoghi, dei volti che ho conosciuto. Per quanti anni ho vissuto in stanze vuote, bianche, in cui non c'era nulla da toccare, da vedere, nulla che potesse ricordare la vita? Scopro luoghi della casa che sono stati nascondigli per i ricordi, apro porte e serrature di armadi, bauli, soffitte e ripostigli. Mi commuovono questi ricordi tenaci, attaccati alle muffe e alle ragnatele. I miei abiti dismessi, serrati in vecchie valigie depositate in cima a scaffali mi parlano. Cos’altro mi è rimasto degli anni che sono passati? Apro un cassetto e prendo un vecchio libro, rileggo le frasi sottolineate, le parole scritte sul margine del foglio e lentamente un ricordo si lega ad un altro, un pensiero al successivo, tra le lettere, le parole e le righe scorgo ciò che non avevo mai letto prima. Mi guardo intorno: le pareti piene di scaffali, gli scaffali pieni di libri, quadri, oggetti, album. Non avevo mai capito quanto fosse astuta, più di me, la memoria che s’attacca alle pareti di casa, sulle mensole di un camino, sulle ante di un mobile, sul ripiano di un tavolino, dovunque: in una scatola, dentro una cornice, dove ho riposto una lettera, un bigliettino, una fotografia, ricordi che si rimpiccioliscono pur di entrare in una tasca, in un portafogli, in un’agendina. _ Eppure di quanti libri, fogli, diari, album ho voluto disfarmi. La memoria — mi dicevano — è in rete, basta esser muniti di telefono, computer e modem come se in rete viaggiassero anche i miei ricordi. Mi istruivano sui motori di ricerca, illudendomi di poter trovare tutto ciò che volessi. |
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Chi mi restituirà la memoria che ho perduto?
Mi aggiro per le strade della mia città, ma anche qui la dimenticanza mi aggredisce dai finti luoghi della finta memoria. Il degrado, il disfacimento offrono mille appigli al ricordo, cui nulla è più nemico della storia esibita in qualche arcata, ponte o rudere pasticcio. Non mi bastano gli archivi, i musei, le biblioteche, non è solo al chiuso che voglio ritrovare la memoria, né troverei lì i miei ricordi, che non appartengono alla storia della città, ma solo a quella di chi mi ha amato.
Mi perdo in questi luoghi in cui non posso più trovare la strada che porta a casa, luoghi che hanno cancellato ogni traccia di me, di ciò che ho fatto, chi ho incontrato, di cosa ho visto e pensato. Camminare qui mi fa sentire più straniera che in qualsiasi altro posto. Non li riconosco questi luoghi, non mi dicono più niente, recitano solo una parte che neppure mi commuove. Mi incammino verso la periferia, alla ricerca di una discarica, lì forse potrò ancora trovare qualcosa capace di parlarmi del tempo che è passato, qualcosa che mi spinga a guardare oltre ciò che ho consumato, mi fermo davanti ad un’insegna rimasta intatta solo un po’ scolorita da quando la guardavo con gli occhi di bambina attratta dalle lettere che sembravano figure. No, non sono una nostalgica e neppure una custode delle tradizioni, al passato chiedo un aiuto per capire ciò che è, che sarà o potrebbe essere. Sento amicizia per questa città condannata, come me, alla dimenticanza. Berlino, Hiroshima loro no, non possono essere malate d’amnesia: ma è necessario passare per olocausti, bombe atomiche e genocidi per farsi carico del peso dolce dei ricordi? _
Può, nonostante tutto, la mia città - dirmi ancora qualcosa, diventare un’esca per attingere al passato? La smemoratezza può essere vinta solo se lo sguardo è in grado di incorporare nel presente pezzi di memoria.
_ Giorgio de Chirico e i Surrealisti sono stati maestri in quest’operazione di sutura, sempre vigili a non lasciarsi corrompere dal significato unico delle cose, alla ricerca di ciò che si nasconde dietro una patina di vecchio, un materiale usurato, un libro ingiallito, pronti ad ascoltare la confessione di un’ombra. Ma il lato misterioso di un oggetto o di una persona hanno bisogno di condizioni e luoghi particolari per rivelarsi. _
Ci sono sguardi più favorevoli al ricordo? Gli sguardi degli stranieri, ad esempio, chi più di loro conosce le alterne vicende del ricordare? C’è un paesaggio interiore, che ci portiamo sempre dietro. Walter Benjamin vede Berlino quando giunge a Mosca. Sono le strade di Berlino, le sue atmosfere, la sua gente che lo scrittore impara a conoscere meglio: un luogo ne evoca sempre un altro, come un volto e una frase.
Quando voglio scrivere è questo che faccio: apro un libro, leggo le parole di un altro, di un’altra. È questo che devo fare per ritrovare i miei ricordi: uscire da me? Le immagini della memoria sono fluttuanti, ambigue come quelle che si riflettono su una vetrina, un parabrezza, come quelle che vedo in una pozzanghera o dietro una finestra, mentre sta piovendo, immagini che ne contengono sempre altre.
Lalla Romano, nel suo Romanzo di Figure attraversa i molteplici percorsi aperti dallo sguardo su una foto che la ritrae bambina, un microcosmo al cui interno rivedersi, ritrovare gli occhi perduti di suo padre (il fotografo) e la copia immutata dei luoghi e dei tempi che non ci sono più. La fotografia può aiutarmi a ricordare educandomi a sguardi sospesi, rallentati, ripetuti.
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Il tempo che mi occorre per guardare una fotografia non è sempre uguale, ci sono immagini che non finisco mai di osservare e in cui scopro sempre nuovi indizi. Dinanzi alle foto di Walker Evans, ad esempio, è la grandezza degli spazi che mi fa leggere come a strati, seguendo i diversi punti, dal lampione in primo piano, ai tetti delle case sullo sfondo e, nel mezzo, un succedersi di eventi: l’asfalto, le macchine, le strade, i ponti, le figure e le ombre. Dinanzi ad alcune foto di Luigi Ghirri, in cui vedo frammenti di cose e di luoghi, comprendo che esistono delle zone della memoria particolarmente adatte a trattenere i ricordi.
Ricordare, fotografare e raccontare hanno in comune l’amore per i casi singoli. Ciò che prelevo andandomene in giro o standomene ferma, sono indizi, tracce che fisso in appunti, schizzi o fotografie, cui ancorare la memoria.
La fotografia può aiutarmi a calibrare la durata dello sguardo che non deve essere né troppo veloce, come al cinema, né troppo statico come in pittura, ma saper conservare un equilibrio mobile tra un prima e un poi.[…]
Corro dei rischi: vivere il presente, in funzione del ricordo che ne conserverò, come è successo ad Antonino Paraggi, il fotografo le cui avventure sono narrate da Italo Calvino di sentire una sorta di coazione: …per quel diabolico potere della fotografia che ci fa vedere per sempre facce beffarde, quando invece, quelle facce beffarde sono esistite una volta sola, un istante solo, in una foto che abbiamo fatto del tutto senza pensarci, cedendo a un improvviso capriccio. E quell’improvviso capriccio ha poi effetti devastanti, anzi terribili. Effetti non più eliminabili, che talvolta spingono fino all’orlo della disperazione (Bernhard, [1986], p. 188).
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È un triste fardello quello che pesa sulla fotografia, talvolta, di dire anche quello che non vuole, di ricordare o far vedere cose che non erano mai state viste prima e che non era nelle intenzioni del fotografo rendere esplicite.
Dinanzi alle foto dei defunti, ad esempio, ci sono parole che non si possono pronunziare e sarebbe bello, invece, se facessero nascere delle storie negli occhi di chi le vede come è successo a Mario Cresci quando ha guardato le immagini dei contadini lucani.
Qualcuno rifotograferà dal mio album, le foto che gli sono piaciute e io nelle nuove immagini andrò in luoghi diversi, farò nuove amicizie, entrerò nelle bacinelle degli acidi, vedrò nuove luci e facciamo l’ipotesi che le mie foto facciano parte di altre foto, sia pure fatte a pezzi, ognuna stabilirà un andirivieni tra passato, presente e futuro. E' un sogno o un alibi per non dire del mistero che lega lo sguardo al tempo.
Come i ricordi mutano con gli anni? Come incide il mio invecchiare e l’usura del mondo? George Perec scrive e riscrive dello stesso luogo per dodici anni, guardando direttamente e ricordando, perché vuole scoprire come agisca il tempo sui ricordi, sui luoghi e sulla scrittura. Quanti espedienti per conservare la memoria di un volto amato! Maschere, calchi, dipinti esposti accanto al cadavere, per ammonirci che solo il corpo muore e non la sua memoria.
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Guardo e riguardo le mie fotografie ed ognuna mi porta con sé in quell’istante preciso in cui tutto ciò che vedo è accaduto, ma chi vedo è sempre un’altra e mi conosco sempre un po’ di più. La fotografia autorizza il mio essere mutante, mi insegna i tempi del vivere, facendosi guardare e riguardare, mi aiuta a vedere diversamente, a non dare mai nulla per scontato. Dieci, venti fotografie, mi riproducono ogni volta diversa: bambina, neonata, ragazza, giovane, adulta, madre, figlia, sorella. Chi delle tante figure che ho davanti sono io? Lego un’immagine all’altra, intreccio fatti, metto insieme ricordi. Il passato e il presente convivono sullo stesso foglio. Mistero e profanazione nel sentirmi viva, mentre guardo me morta." |
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[ tratto da " Fotografia come terapia" - A. D'ELIA ]
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Il potere evocativo di una fotografia è devastante e sublime.
RispondiEliminaMa va oltre. In un luogo, nel nostro luogo come negli altri ci sono io, ci sei tu e c' è persino ciò che non vuoi vedere ma che altri riescono a vedere.
Tutti pezzi dello stesso elemento.
Ti abbraccio.
Buon viaggio.
Gabriella