ALLO   SPECCHIO



 

 

 

 

 


L'architetto e il mago



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



 



 































 

 

 

 

 

 

 


Veduta dal tempio di Giove Anxur (TERRACINA)



 

 

 

 

 

 

 


 



 





 



 






















































































 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


In fondo, l'aveva sempre saputo...  Avrebbe potuto essere un architetto.  Forse anche un buon architetto. Di certo, un architetto fuori dal coro, se solo, a suo tempo, avesse scelto quella strada. Era nelle sue corde...
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Ma più di tutto si sentiva attratto dall’architettura per una intima e profonda convinzione: che non vi era miglior condizione di chi, percorrendo il mondo, si trovasse a leggere con facilità, da tutto ciò che si presentava allo sguardo, come da un immenso e multiforme libro.



 



Perchè "architettura", era, per lui, la scienza e insieme l'arte delle relazioni, dei collegamenti, la capacità e lo sforzo consapevole di legare ogni sapere umano e renderlo nuovamente vivo nel tempo presente, quale strumento aggiuntivo di interpretazione del reale. Questo, l’aveva sempre sorretto…



 





Quale piacere più alto nel visitare un paese straniero e senza conoscerne ancora la lingua, ascoltarne le pietre, le case,  i palazzi, le piazze… Leggere direttamente sulle cose mute, nei materiali, negli stili, in tutto ciò che l’uomo aveva piegato al suo servizio, ovunque aveva lasciato l’impronta della sua mano, il racconto delle epoche più lontane, l’eredità degli uomini che lo avevano preceduto, e riempirsene gli occhi per ritrovare le voci, gli sguardi, perfino le credenze, i pensieri, le paure,  le emozioni di quelle comunità.



 



 





Molto presto aveva considerato quasi divina questa capacità di scorgere fin nelle più minute cose, il segno... la "scrittura del tempo" certo, ma in definitiva, le parole, i vocaboli stessi che componevano il linguaggio eletto, quello dell’anima degli uomini, inciso nel territorio, nello spazio, nel paesaggio. Questo era lo  sforzo meritevole ai suoi occhi. Questa, la cultura, a cui aveva senso mirare.



 




Non soltanto assorbire le parole stampate nei libri, non soltanto ascoltare la voce dei propri contemporanei, ma riuscire a interpretare l’intera realtà come l'insieme composito di linguaggi, messaggi e "anima"... Come il più grande dei testi.



 



 





Forse in quell’unico modo era possibile entrare in contatto per davvero, con l’essenza delle cose e con quella degli uomini che prima di lui, avevano respirato e camminato sul suo stesso  pianeta e dei quali, ora, la presenza era celata appena da sottili pareti di tempo.



 



 



 





Questa comprensione, questa capacità, da sempre gli era parsa assai prossima alla natura di mago. E quella di mago, nella sua ingenuità di ragazzino-sognatore, gli sembrava la condizione privilegiata per andare incontro alla vita fino a toccarne il cuore segreto.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Commenti

  1. Da un linguaggio Universale entriamo, e verso il linguaggio Universale torniamo, le entrate e le uscite son tante, tante quanti sono gli Esseri viventi. Quell’immagine mi par di riconoscerla…la dea dormiente sul promontorio domina, lontana, il paesaggio a ovest del tempio..
    (l’ho sempre intuito che sei un mago..:-)
    Bacione (Clara)

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  2. grazie del tuo passaggio e a parte gli autori che già conosco, il tuo scritto è impregnato da una grande sensibilità e forse questa ci rende un po' visionari da far venire in mente la magia di quest'avventura: chiamata vita.

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