Collodoro


 
     
 

Un romanzo corale ed epico


 
     
     
     
     


 































     
     
 


 
     
     


  















































































































         
         
         
         
   

       


Per campare Antoni faceva il ceramista, ma aveva sempre sognato di fare l’archeologo. Una notte che da piccolo era affacciato alla finestra di mannai Natalia in attesa di contare le stelle cadenti, vide la luna uscire come una perla lucente dalla montagna sacra di Oddokakkaro e fece una promessa: « Diventerò cercatore di tesori e scaverò la terra per scoprire dove nasce la luna!»
            
Mannai si mise a ridere. « Domani ti regalo una delle mie zappette, cosi puoi già iniziare a sarciare!



 


Era stato costretto a lasciare l’università al secondo anno, dopo la morte di babbu Diegu, perché i soldi non bastavano più e in vicinato era tutto un prestare soldi senza poterli restituire. I nonni erano arrivati al punto di privarsi anche delle uova e del latte delle capre, per contentarlo. Così si dovette decidere a fare quel mestiere di ceramista, che per fortuna  non gli dispiaceva.



 



Lui aveva iniziato a impastare argilla di tutti i colori da quando andava in giro scalzo per le strade. La raccoglieva a palate sulla collina di Currincias e vicino alla palude di Curcullai. Dopo averla ripulita da radici e ghiaino la lasciava decantare dentro i bidoni di latta.
     Quando l’acqua diventava pulita da potersi bere, fru frùn, frullava l’impasto con un ba­stone e colava tutto nei sacchi dì iuta che appendeva a un filo di ferro a sgrondare, fino a quando l’argilla non diventava buona per le sue mani.  Quando era pronta all’uso, la terra lo chiamava per nome, lo invitava all’amore con le forme che lui aveva già in testa: Antò, Antò, mo vedi chi so pronta! Prendimi e dammi vita, fammi frutta, bestia, carne, dammi respiro, forma e luce!». Sembravano femmine in calore quei pani sudati dalla voglia di farsi fecondare a ditate e colpi di canneddu. Allora lui indossava un vecchio grembiulone di mannai Agustina, si sputava le mani in un gesto propiziatorio, e via, verso il regno della terra, dell’aria, del fuoco, dell’acqua.


 


I pezzi finiti li portava in cortile a seccare, li stendeva al sole come anziani stanchi, sopra ripiani di tavoloni. Li riparava dal troppo caldo e dal troppo freddo, dalle correnti e dalla pioggia. Nel frattempo preparava smalti e lucidi, senza mai rispettare le formule studiate sui libri, in cerca di effetti sconosciuti per gli occhi dei compratori.

      Solfuri, solfati, acetati, ni­trati, ossidi, biossidi, protossidi, cloruri, borace, feldspati, caolini, arseniati, carbonati e sabbie silicee. A forza di mischiare e maneggiare quei veleni, gli era venuta un’allergia che lo costringeva a lunghi periodi di riposo. La pelle gli si gonfiava e si ispessiva come se fosse ustionata. A volte l’orticaria gli devastava il viso, deformandogli i lineamenti.
-


In quei giorni, nemmeno per farsi la barba si guardava allo specchio, e non si faceva vedere dai figli. Si buttava a letto e tirava su il lenzuolo fino alla fronte.
      Al buio tornava bambino. E pensava alle parole dello specialista che lo aveva visitato all’ospedale di Noroddile: «Angioedema cronico da pressione. Brutta bestia, caro mio, era meglio se avevi un tumore benigno, te lo portavamo via e buonanotte. Se per disgrazia questa cosa ti scoppia in gola passi l’ultimo quarto d’ora della tua vita, fai in tempo a vedere la morte negli occhi e anche a maledirla».
_
      Appena migliorava un poco e la pelle gaddosa iniziava a sfreddarsi, chiamava Ciccita e le mostrava le labbra storte e gli occhi offiati: « Cosa ti sembra, sono di nuovo presentabile? Faccio paura o no?». Lei, che lo amava anche così sfigurato, lo baciava in punta di naso e, sfottendolo, rispondeva: « Sei bellissimo, amore mio, sembri Gregory Peck in Moby Dick! Anzi, di più, sei preciso a Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco!


 


In quei periodi di ozio forzato, quando non andava in giro a esplorare siti archeologici segnalati da pastori o contadini, si metteva a dipingere. Per fare i quadri usava tutto quello che trovava in casa e fuori, vernici, colla, sapone, bottoni, cereali, legacci, spilli, pezzi di vetro, pietre, tessuti, bulloni, pettini. Di preferenza, disegnava suonatrici di pianoforte e doma­trici d’insetti, grasse come la buonanima di mannai Agustina, aerei rombanti nel cielo, piccoli contadini e mongolfiere di tutte le dimensioni, che volavano in tramonti cremisi.  I quadri non li vendeva, li rega­lava, come i sonetti che scriveva per i matrimoni e i battesimi.


 


Era un sognatore, che cercava di trasmettere al prossimo il gusto del bello, in quel culo di mondo di Oropische, dove di bello c’era solo quello che avevano fatto il tempo e la natura.
_


Già da quando era al liceo si poneva domande sul senso della vita che impensierivano mama Santina e i professori.« Chi ci ha buttato senza permesso in questa vallis lacrimarum che è il mondo? Quando non è dolore, la vita è noia pura, e qui auget scientiam auget dolorem». Voleva capire da dove veniva il dolore misterioso della vita, chi aveva iniziato per primo quello strano gioco.


 


   
         
         
         
         
   

                        [ da  Collodoro - 2008 - Salvatore Niffoi ]


   
         
         
         
         
         


 

Commenti

  1. Spendida, vera interpretazione in continua evoluzione. "ossessiva" e fragile ricerca interiore dell'essere....desideri infiniti portati dal vento per non crollare nel nulla... davvero splendida, complimenti.

    RispondiElimina
  2. ...passi a vedere com'era bella la mia mamma?

    RispondiElimina
  3. Molto interessante. Scegli sempre per noi brani che fanno riflettere.
    Bella la foto iniziale. Una fine estate nell'aria.
    Ciao
    Gianluisa

    RispondiElimina
  4. Che personaggio curioso.
    Curioso in tutti i sensi.
    Bella la foto.
    Ciao
    Chiara

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari