Una spia
 

 

 

 

 

 



 nella casa dell'amore
 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 





 



 



 

















































































































































































 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


      Questa volta Alan non avrebbe avuto il potere di esorcizzare il suo stato d’animo. E non avreb­be neanche potuto descrivergli la cosa che più la tormentava: l’uomo che aveva visto per la prima volta qualche mese prima dalla finestra della sua stanza d’albergo, in piedi proprio sotto il suo davanzale a leggere il giornale, come se aspettasse di vederla uscire. Una volta lo aveva visto mentre stava andando da Philip. Lo aveva incontrato alla stazione della metropolitana, e l’uomo aveva lasciato passare parecchie carrozze per poter prendere la stessa su cui saliva lei.
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Non era un corteggiamento. L’uomo non faceva alcuno sforzo per parlarle. Sembrava impegnato a osservarla in modo impersonale. Al Mambo’s Night Club si era seduto a pochi tavoli dal suo mettendosi a scrivere su un taccuino.



Era così che venivano pedinati i criminali, proprio prima di essere catturati. Si trattava di un detective? Di cosa la sospettava? Avrebbe riferito tutto ad Alan? O ai suoi genitori? Oppure avrebbe portato i suoi appunti in centro, in uno di quegli edifici imponenti in cui svolgevano indagini di ogni tipo? E chissà se un bel giorno avrebbe ricevuto un avviso che le chiedeva di lasciare gli Stati Uniti e di ritornare al paese natio, l’Ungheria, perché la vita di Ninon de l’Enclos, o di Madame Bovary non era consentita dalla legge?



Se avesse raccontato a Alan di essere stata seguita da un uomo, Alan avrebbe detto con un sorriso: “E allora, non è certo la prima volta. E’ lo scotto che paghi per essere una bella donna. Non vorresti che non succedesse, vero?”
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Per la prima volta, nello squallore di questa passeggiata di primo mattino per le strade di New York non ancora ripulite dei mozziconi di sigaretta e delle bottiglie vuote di liquore della gente notturna, Sabina capì il quadro di Duchamp che rappresentava un nudo nell’atto di scendere le scale. Otto o dieci silhouettes della stessa donna, come altrettante rivelazioni molteplici della personalità di una donna, ordinatamente divise in molti strati, che scendevano le scale all’unisono.
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Se fosse andata da Alan adesso sarebbe stato come staccare uno di questi profili di donna, e costringerlo a camminare separatamente dagli altri, ma una volta staccato dall’insieme, avrebbe rivelato di essere solo il contorno di una donna, un disegno che gli occhi potevano vedere, ma vuoto di sostanza, essendo evaporata la sostanza attraverso gli spazi tra uno strato e l’altro della personalità.



Una donna divisa davvero, una donna divisa in contorni infiniti, ed ella poteva vedere questa forma apparente di Sabina, che ne lasciava un’altra disperata e solitaria a camminare per le strade in cerca di un caffè caldo, venire accolta da Alan come la ragazza dall’innocenza cristallina che egli aveva sposato anni prima, giurando di amarla, come aveva fatto, solo che aveva continuato ad amare la stessa ragazza che aveva sposato, la prima istantanea di Sabina, la prima immagine consegnata nelle sue mani, la prima dimensione, di questa serie elaborata, complessa e ampliata di Sabine che erano nate dopo, e che lei non era riuscita a dargli.
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Ogni anno, così come un albero getta nuovi rami, Sabina avrebbe dovuto riuscire a dirgli: “Alan, ecco una nuova versione di Sabina, aggiungila alle altre, fondile bene, stringile quando la abbracci, tienile tutte insieme nelle tue braccia, altrimenti, divisa e separata, ciascuna immagine vivrà una vita propria, e non ci sarà una Sabina, ma sei o sette, o otto Sabine che cammineranno talvolta all’unisono, con un grande sforzo di sintesi, talvolta separatamente, mentre una di loro segue un profondo rullar di tamburi in foreste di capelli neri e bocche voluttuose, un’altra va a trovare Vienna-come-era-prima-della-guerra, un’altra giace accanto a un giovane pazzo e un’altra ancora apre le braccia materne a un Donald spaventato.” Era dunque un crimine aver cercato di sposare ogni Sabina con un altro compagno, di accordare a ciascuna una vita diversa di volta in volta?



 



Oh, com’era stanca, ma non per la mancanza di sonno, o per aver parlato troppo in una stanza piena di fumo o per aver eluso le caricature di Jay, o i rimproveri di Mambo o la sfiducia di Philip nei suoi confronti, o perché Donald col suo comportamento tanto infantile le aveva dato l’impressione che i suoi anni fossero un’età da nonna. Era stanca di rimettere insieme questi frammenti disparati. Comprese anche i dipinti di Jay. Forse fu proprio in un momento di isolamento come questo che Madame Bovary prese il veleno. Era il momento in cui la vita segreta corre il rischio di esser smascherata, e nessuna donna può sopportare la condanna. Ma perché lei doveva temere di essere smascherata? In questo momento Alan stava dormendo profondamente, o se non dormiva, stava leggendo tranquillo.
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Era semplicemente questa figura di scopribugie, che la pedinava passo per passo, a causarle un’ansia così acuta? La colpa è l’unico fardello che gli esseri umani non possono sopportare da soli.



Dopo aver bevuto una tazza di caffè, andò all’albergo dove la conoscevano già, prese un sonnifero, e si rifugiò nel sonno. Quando si svegliò alle dieci di sera dalla sua stanza di albergo riuscì a sentire la musica del Mambo’s Night Club al di là della strada.
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Aveva bisogno di un confessore! L’avrebbe trovato là, nel mondo degli artisti? In tutto il mondo, essi avevano i loro luoghi d’incontro, le loro affiliazioni, le loro regole per essere accettati come soci, i loro reami, i loro capi, i loro canali segreti di comunicazione. Anche loro eran gente fuori posto, indesiderati in patria, di solito, o ripudiati dalle loro famiglie. Ma essi fondavano nuove famiglie, religioni proprie, si sceglievano i loro dottori, le loro comunità. Si ricordò che qualcuno aveva chiesto a Jay: “Posso essere ammesso se fornisco le credenziali di un gusto eccellente?”



“Non basta,” aveva risposto Jay sei anche disposto a diventare un esiliato? O un capro espiatorio? Noi siamo i famigerati capri espiatori, perché viviamo come altri vivono solo nei sogni, perché confessiamo apertamente quello che altri confessano solo a dottori sotto il vincolo del segreto professionale. Siamo anche sottopagati: la gente ritiene che, essendo noi appassionati al nostro lavoro, non dovremmo essere pagati per fare quello che ci appassiona di più. “
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Essi non ingannavano mai intenzionalmente gli altri quanto se stessi, tutti imprigionati in un balletto di errori e di travestimenti, ma Djuna era in grado di distinguere tra allucinazione, vita e amore. Era in grado di individuare l’ombra di un crimine che altri non potevano processare. Lei avrebbe saputo l’identità del criminale. A Sabina ora non restava che aspettare.
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I tamburi cessarono di suonare come se fossero soffocati da foreste dall’intricata e impenetrabile vegetazione. L’ansia di Sabina aveva cessato di pulsarle contro le tempie rendendola sorda agli altri rumori. Al sangue fu restituito il suo ritmo, e le mani le giacquero immobili in grembo. Mentre aspettava che Djuna fosse libera, Sabina pensò allo scopribugie che aveva osservato le sue azioni. Era di nuovo nel caffè, seduto da solo a scrivere su un taccuino. Sabina si preparò mentalmente all’intervista. Si sporse a chiamarlo: “Come sta? È venuto ad arrestarmi?”
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L’uomo chiuse il taccuino, si avviò verso il suo tavolo e le sedette accanto. Sabina disse:





Sapevo che sarebbe successo, ma non  così presto. Si sieda. So esattamente cosa pensa di me. Lei sta dicendo: ecco qui la famigerata impostora, la spia internazionale nella casa dell’amore. Bisogna che l’avverta, deve maneggiarmi con delicatezza: sono coperta di un manto di iridescenza altrettanto facile da distruggere di un fiore di sabbia, e benché sia abbastanza pronta a essere arrestata, se mi maneggia bruscamente può perdere gran parte delle prove. Non voglio che lei sciupi quel fragile mantello dai sorprendenti colori creato dalle mie illusioni, e che nessun pittore è mai riuscito a riprodurre. Strano, vero, che nessun prodotto chimico possa dare a un essere umano l’iridescenza che gli danno le illusioni? Mi dia il suo cappello. Ha un’aria così formale e a disagio! E così lei è riuscito a individuare i miei travestimenti! Ma si rende conto del coraggio, dell’audacia che richiede la mia professione? Sono pochi quelli che ci sono portati. Io avevo la vocazione. Si manifestò molto presto, come capacità di ingannare me stessa. Io ero una che poteva chiamare giardino un cortiletto sul retro, villa un appartamento in affitto, e se ero in ritardo quando tornavo a casa, per evitare una lavata di testa, riuscivo a inventare all’istante ostacoli e avventure talmente interessanti, che ci volevano parecchi minuti prima che i miei genitori riuscissero a riscuotersi dall’incantesimo per ritornare alla realtà. Potevo uscire dal mio io di tutti i giorni o dalla mia vita quotidiana, per entrare in molteplici personalità e vite senza richiamare l’attenzione. Voglio dire che il mio primo crimine, anche se può sorprenderla, è stato commesso contro me stessa.



 



Ero dunque una corruttrice di minorenni, e questa minorenne ero io stessa. Io corrompevo quel che si chiama la verità in favore di un mondo più fantastico. Potevo benissimo migliorare i fatti. Non fui mai arrestata per questo: riguardava solo me. I miei genitori non furono abbastanza saggi da accorgersi che una tale prestidigitazione dei fatti poteva produrre una grande artista, o quanto meno una grande attrice. Essi mi picchiavano, per scuotere via la polvere delle allucinazioni.   Ma stranamente, più mio padre mi picchiava, più questa polvere si riformava in  abbondanza, e non era polvere grigia o marrone come la si riscontra nella sua forma quotidiana, ma quello che gli avventurieri conoscono come oro matto. Mi dia il suo cappotto. Come investigatore può interessarle sapere che, per difendermi, accuso gli scrittori di favole. Non la fame, né la crudeltà, né i miei genitori, ma queste favole che promettevano che a dormire nella neve non si prendeva mai la polmonite, che il pane non diventava mai stantio, che gli alberi fiorivano fuori stagione, che i draghi potevano essere uccisi col coraggio, che desiderare intensamente avrebbe portato all’esaudimento immediato del desiderio. Un desiderio intrepido, dicevano le favole, è più efficace della fatica. Il fumo che esce dalla lampada di Aladino fu il mio primo schermo di fumo, e le bugie imparate dalle favole furono i miei primi spergiuri.  Diciamo che avevo delle tendenze falsate: credevo a tutto quel che leggevo.
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Sabina rise delle proprie parole. Djuna pensò che stesse bevendo troppo e le lanciò un’occhiata.“Cos’è che ti ha fatto ridere, Sabina? »



“Ti presento lo scopribugie, Djuna. Forse mi arresterà”



“Ma Sabina, non hai mai fatto niente per cui essere arrestata!”



Djuna guardò in viso Sabina. L’intensità di quel viso, il fervore che l’aveva sempre caratterizzato non erano più quelli di una vivacità esuberante. C’era una tensione nei lineamenti, e un timore negli occhi.



“Devo parlarti, Djuna... non riesco più a dormire. Ti ho cercata quando sono arrivata da Parigi, ma cambi di indirizzo così spesso, e persino di nome. Tu lo sai che ho sempre voluto rompere gli stampi che la vita ci costruisce intorno se glielo permettiamo.”



“Perché?”



“Voglio oltrepassare i confini, cancellare tutte le identificazioni, qualsiasi cosa ci rinchiuda per sempre in uno stampo, un posto senza speranza di cambiamento.”



 



 “E’ esattamente l’opposto di quel che di solito si vuole, vero?”



“Sì, un tempo dicevo che avevo problemi di alloggio: infatti io un alloggio non lo volevo. Volevo una barca, una roulotte, qualsiasi cosa si muovesse liberamente. Mi sento più sicura che mai quando nessuno sa dove sono, quando per esempio sono in una camera d’albergo dove persino il numero è graffiato dalla porta.”




     “Ma al sicuro da cosa?”




      “Non so cosa sto mettendo al sicuro dall’investigazione, salvo forse il fatto che sono colpevole di molti amori, di molti amori invece di uno.”



“Ma questo non è un crimine E’ semplicemente un caso di amori divisi!”



“Ma le bugie, le bugie che devo raccontare... sai, come alcuni criminali ti dicono: ‘Non ho mai trovato il modo di ottenere quello che volevo eccetto col furto,’ anche a me viene spesso voglia di dire: ‘Non ho mai trovato il modo di ottenere quello che volevo, eccetto che con le bugie.”



“E te ne vergogni?”



Sabina ricominciò ad avere paura. «Con ogni uomo, in ogni rapporto, viene il momento in cui mi sento sola.”



“Per via delle bugie?”



“Ma se dicessi la verità non sarei soltanto sola ma anche abbandonata, e farei un gran male a tutti. Come faccio a dire a Alan che per me lui è come un padre?”



E’ per questo che continui ad abbandonarlo, come si abbandona un genitore, è una legge della maturità.”



“Sembra che tu mi esoneri dalle mie colpe.”



“Ti sto esonerando solo nel caso del tuo rapporto con Alan, nel quale ti comporti come una bambina.”



 E’ l’unico di cui mi fido, l’unico il cui amore sia infinito, instancabile, pronto a perdonare tutto.”



“Quello che descrivi non è l’amore di un uomo, e neanche quello di un padre. E’ un padre della fantasia, un padre idealizzato, inventato un tempo da una bimba bisognosa. L’amore di cui hai bisogno, Alan te l’ha dato. Per questa forma d’amore hai ragione ad aver fiducia in lui. Ma un giorno lo perderai, perché ci sono altri Alan esattamente come ci sono altre Sabine, e anch’essi hanno bisogno di vivere e di accoppiarsi. Il nemico dell’amore non è mai all’esterno, non è un uomo o una donna, è quello che viene meno dentro di noi.”



Sabina aveva piegato il capo sul petto, in una posa di contrizione.



“Non credi che quest’uomo sia venuto ad arrestarmi?”



“No, Sabina, sei tu che lo immagini. Sei tu che hai trasferito la tua colpa su quest’uomo. Probabilmente questa colpa la vedi riflessa in ogni poliziotto, ogni giudice, ogni genitore, ogni persona che abbia un’autorità. La vedi con gli occhi degli altri. E’ un riflesso di quello che senti. E’ la tua interpretazione: gli occhi del mondo puntati sulle tue azioni.”



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Sabina alzò la testa. La sommerse una tale ondata di ricordi dolorosi da lasciarla senza fiato. Provò un dolore enorme. Era come il dolore che provavano i palombari quando risalivano in superficie troppo in fretta.



“Nel mondo che ti sei inventata, Sabina, gli uomini sono o crociati pronti a combattere le tue battaglie per te, o giudici che continuano a svolgere i doveri dei tuoi genitori, o principi che non hanno ancora raggiunto la maggiore età, e pertanto non possono diventare mariti.”



 



“Mi liberi,” disse Sabina allo scopribugie. “Liberatemi. L’ho detto a tanti uomini: “Riuscirai a liberarmi?”’



Rise. “Ero pronta a dirlo anche a lei.”



 



Deve liberarsi da sé. E succederà con l’amore...” rispose lo scopribugie.



Oh, se bastasse questo, ho amato a sufficienza. Ho amato moltissimo. Guardi il suo taccuino. Sono sicura che è pieno di indirizzi.”



Lei non ha ancora amato,” fece l’altro. « Ha soltanto provato, incominciato ad amare. La fiducia da sola non è amore, il desiderio da solo non è amore, l’illusione non è amore, il sogno non è amore. Questi erano tutti sentieri che la portavano fuori di sé, è vero, e lei ha creduto che conducessero verso un’altra persona, ma l’altro non l’ha mai raggiunto. Era solo per strada. Adesso sarebbe capace di uscire e trovare le altre facce di Alan, che non ha mai cercato di vedere, o di accettare?



 



Riuscirebbe a scoprire l’altra faccia di Mambo che lui le nasconde con tanta delicatezza? Lotterebbe per trovare l’altra faccia di Philip?”



“E’ forse colpa mia se mi hanno rivolto solo una delle loro facce?”



 



“Tu sei un pericolo per altri esseri umani. Prima di tutto li rivesti col costume del mito: il povero Philip è Sigfrido, deve sempre cantare intonato, ed essere per sempre attraente. Lo sai dov’è adesso? In un ospedale, con una caviglia rotta. A causa dell’immobilità ha messo su un bel po’ di chili. E tu gli volti le spalle, Sabina? Non è più il mito col quale hai fatto l’amore, vero? Se Mambo smettesse di suonare il tamburo per andare a casa ad accudire la madre malata, andre­sti con lui e faresti bollire gli aghi per l’iniezione? E se un’altra donna amasse Alan, la smetteresti di pretendere la sua protezione come una bambina? Ti deciderai a fare di te stessa un’attrice competente invece di continuare a recitare Cenerentola solo nei teatri filodrammatici, tenendoti sul naso il fiocco di neve artificiale anche dopo che la commedia è finita come a dire: “Per me non c e differenza tra la neve di scena e quella che cade addosso sulla Quinta Strada?




     “Oh, Sabina, come hai giostrato i fatti, nei tuoi giochi di desiderio, in modo da vincere sempre. Ma chi pensa solo a vincere, non ha ancora amato!”



 



Allo scopribugie Sabina disse: “E se facessi tutto quello che mi hai chiesto, la smetteresti di seguirmi, smetteresti di scrivere sul tuo taccuino?”



 



”Sì, Sabina, te lo prometto,” le rispose lui.



Ma come facevi a sapere tante cose della mia vita...



Dimentichi che sei stata proprio tu a invitarmi a seguirti. Sei stata tu a conferirmi il potere di giudicare le tue azioni. Hai conferito questo potere a tanta gente: preti, poliziotti, dottori. Seguita dalla tua coscienza, intercambiabile, ti sentivi più sicura. Sentivi di poter conservare la tua salute mentale. Una metà di te voleva espiare, esser liberata dai tormenti della colpa, ma l’altra metà voleva essere libera. Solo metà di te si stava arrendendo, gridava agli estranei: ‘Prendetemi!’



Mentre l’altra metà cercava di sfuggire industriosamente alla cattura finale. Era un altro dei tuoi amoreggiamenti, un amoreggiamento con la giustizia. E adesso sei in fuga, dalla colpa dell’amore diviso, e dalla colpa di non amare. Povera Sabina, non avresti mai smesso di girare. Hai cercato la tua interezza nella musica...



 



La tua è una storia di non amore... e sai, Sabina, se tu fossi stata arrestata e processata, ti sarebbe stata inflitta una condanna meno severa di quella che tu infliggi a te stessa. Perché siamo noi i giudici più severi delle nostre azioni. Giudichiamo i nostri pensieri, le nostre intenzioni segrete, persino i nostri sogni... Non hai mai considerato le circostanze attenuanti.



Un trauma deve averti sconvolto. E così hai diviso gli amori come misura di sicurezza. Tante botole si aprivano, tra il mondo da night di Mambo, la Vienna-prima-della-guerra di Philip, il mondo industrioso di Alan, o l’evanescente mondo di Donald. La mobilità in amore è divenuta una condizione necessaria alla tua esistenza. Non c’è niente di vergognoso nel cercare misure di sicurezza. La tua paura però era enorme.



 “Le mie botole mi hanno tradito.”



 “Vieni con me, Sabina.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sabina salì con Djuna nel suo appartamento, dove poteva anora udire il suono dei tamburi.Come per metterlo a tacere, Djuna ise un disco sul fonografo.



"Sabina..." ma le paole s'inerruppero appena uno dei Quartetto di Beethoven incominciò a parlare a Sabina come Djuna non avrebbe potuto...
      [...]



Sabina si lasciò scivolare sul pavimento e rimase seduta con la testa appoggiata al giradischi, con la gonna ampia che per un attimo fluttuò come un paracadute che si chiuda; poi si sgonfiò completamente per morire nella polvere. Le lacrime sul viso di Sabina non erano rotonde e separate come lacrime ordinarie, ma sembravano cadute come un velo d’acqua, come se fosse stata trascinata sul fondo del mare dal peso e dalle dissolvenze della musica. Gli occhi e i lineamenti le si dissolsero completamente, come se stesse perdendo la sua essenza.




     Lo scopribugie le tese una mano come se volesse salvarla, con un gesto lieve, come se fosse di fronte a una danza del dolore piuttosto che al dolore stesso, e disse: “L’omeopatia ha un rimedio chiamato pulsatile per quelli che piangono al suono della musica.”



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 [ tratto da "Una spia nella casa dell'amore" - Anais Nin ]



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



 































 


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Commenti

  1. Davvero intrigante...non conosco molto di Anais Nin.Questo brano mi ha molto colpita:La tua è una storia di non amore... e sai, Sabina, se tu fossi stata arrestata e processata, ti sarebbe stata inflitta una condanna meno severa di quella che tu infliggi a te stessa. Perché siamo noi i giudici più severi delle nostre azioni. Giudichiamo i nostri pensieri, le nostre intenzioni segrete, persino i nostri sogni...Non hai mai considerato le circostanze attenuanti...Grazie, un sorriso

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