DEL BUIO E DEL SILENZIO


 



foto by klimt



foto by klimt




 






















































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        Il silenzio. Il silenzio come il buio. Due risorse sempre più scarse. Sempre più compromesse. Difficili da preservare, difficili da attraversare e da utilizzare.  Non c’è dubbio che viviamo in un ambiente in cui alcune risorse originarie stanno scomparendo. Penso al buio e penso al silenzio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 foto by klimt 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


      Nelle nostre città il buio è sempre più raro. L'autentico buio è infatti ormai emarginato. Scacciato sempre più lontano. Relegato ai margini. Quasi che il buio appartenesse agli sconfitti, ai poveri, ai perdenti. E in questo modo si è smarrita  la dimensione del buio come risorsa, come alimento della nostra anima e del nostro corpo. Perché in realtà il buio è una risorsa. E’ una sfida per i nostri sensi, utile per destarli, per affinarli, per amplificarli. Non è forse vero che soltanto nel buio è possibile tendere ad un vero ascolto?



     La sera guardo alla vastità dei parcheggi illuminati, alle strade deserte, ai piazzali spazzati da luci arancioni e da colori al neon.  Salendo in collina mi capita di contemplare la pianura che dalla via Emilia giunge al mare. E’ un carnevale di luci diverse. Una mappa contrassegnata da toni violenti. Artificiali

      Dov’è più una macchia d’autentico buio?



     Solo fra le colline, la notte, il buio sopravvive come in un ultimo rifugio. Un’ultima sacca di resistenza. Poche isole di buio disperse nella vastità del territorio. Soltanto lassù fra le coste più scoscese, oltre il versante esposto alla pianura è possibile immergersi ancora in questa dimensione desueta della completa oscurità. Ma nella pianura, fra le case e i palazzi, il buio non ha più diritto di residenza.

     Allora penso all’insonnia che affligge migliaia di persone la notte, al ritmo alterato che scorre nelle abitazioni dove la sera tardi, per dormire siamo costretti a barricarci nelle stanze abbassando intenzionalmente le serrande o chiudendo gli scuri delle finestre. Perchè siamo prigionieri della luce artificiale. E che spreco tenere negozi, vetrine, parcheggi, piazze, centri commerciali perennemente illuminati.

     E come il buio è il silenzio. Sfrattato, cacciato, disperso. Come il buio, il silenzio… il vero silenzio  oramai noi non lo possiamo più avvicinare nè conoscere per davvero.
Ovunque stiamo, ovunque andiamo, un rumore di fondo ci accompagna. In casa è il ronzio del frigorifero, o quello ancora più impercettibile di un qualsiasi apparecchio elettrico. Fuori, un rombo basso e costante invade ogni strada. Dicono sia il traffico...
     
      Rumore non suono. Perché mentre il suono è l’alter ego del silenzio, il gemello diverso e complementare, il grande nemico è il rumore che s’insinua come un parassita nella mente mentre 
molti di noi invece lo scambiano per un alleato. E così ovunque si trovano, fanno di tutto per produrne in quantità industriali.



-    Chiacchericcio, brusio, parlottare, e poi rumore di traffico, di fabbriche, di telefoni. Pezzi di conversazioni come cocci aguzzi a ferirci, ad invaderci.
- 
     Con quale diritto mi si impone mentre attendo di entrare dal dentista di assorbire frammenti di dialoghi sconclusionati, ostili e non di rado repellenti? E' allora che immagino al posto di tutto quel clamore, un silenzio piano. Qualcosa perfetto in se stesso. Acquietato e ristoratore.

   E pernsare  che soltanto pochi anni fa, nella mia stessa infanzia, era possibile incontrare ancora frammenti di silenzio. Dentro gli ambulatori, in attesa del medico c’erano bolle di silenzio. Un silenzio che aveva a che fare con un riguardo reciproco. Un rispetto che le persone avevano per le altre persone. Questo s’è perduto da quegli anni in poi. Una vera mutazione antropologica.  Il silenzio ormai è solo patrimonio degli orientali i quali sanno ancora onorarlo.

     In questo nostro mondo attuale al contrario, avverto distintamente come il silenzio sia stato retrocesso a disvalore. Residuo poco maneggiabile di un mondo antico. Disvalore da dissolvere e lacerare tramite ogni sorta di oltraggio.


     Nemmeno nelle case c’è più un tempo dedicato al silenzio. Quanti anziani chiusi in casa, da soli, non sanno far meglio che tenere costantemente accesa la televisione? E con il silenzio è stata travolta la riflessione. La concentrazione interiore. Ci sono musiche al supermercato, musiche nelle sale d’attesa dell’aeroporto, rumore di auto dalle finestre la sera. Voci sguaiate che s’alzano dai quartieri popolari...Ma un autentico silenzio dove, dov’è rimasto disponibile?

   
Non esiste più in natura o almeno dentro la Natura antropizzata in cui ci è dato vivere. E allora quando si arriva ad uno stato di apnea, quando ci pare di scoppiare occorre ricrearlo questo silenzio.

    In luoghi estremi quali la montagna Oppure dentro i boschi. Lontano da ogni assembramento di umani. Solo allora sembra tornare possibile l'immergersi in quell’acqua rigenerante che si chiama silenzio



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

foto by klimt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


     “Silentium” deriva dal latino “silere” nel significato di tacere, non fare rumore. Fin dalla sua etimologia,  al silenzio è attribuito il valore di ciò che deriva per sottrazione dal rumore o dal suono. E qui c'è un primo problema: luoghi del silenzio tendono ad essere sempre più scarsi. L’architettura moderna è quasi incapace di progettare spazi che possano svolgere questa funzione.

    All’opposto, nel passato, esistevano santuari, giardini, edifici, chiostri, dove chiunque poteva rinchiudersi per rimettere ordine nella propria psiche. Questi luoghi si trovavano sul limitare delle foreste o in località di montagna coperte da neve oppure all'interno di conventi o ancora nel lavoro dei campi, o nella loro contemplazione durante il lungo inverno: in quei luoghi si potevano alzare gli occhi verso le stelle, osservare il volo silenzioso degli uccelli e trovare momenti di pace.

    In un certo senso, questa è una condizione del nostro tempo davvero drammatica, anche perché così come sonno e riposo servono per riattivare le nostre energie vitali, momenti di contemplazione e silenzio sarebbero altrettanto indispensabili per ritrovare il riposo dell’animo.

-
     La quiete nel tempo passato era elemento prezioso del codice non scritto dei diritti dell’uomo. Oggi non è più così. E poiché è del tutto impossibile ritornare a quel periodo, una possibilità che invece ci è data, è quella di ricercare nuovi valori del silenzio all’interno della quotidianità che ci appartiene. Qui la responsabilità è solo nostra: sta a noi ricercare. Provare a cercare questo alimento psicologico oltre che energetico.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Una prima riflessione è che il silenzio in realtà consente la vera conversazione umana. Perchè senza pause, nessun dialogo sarebbe mai possibile. Lo si intuisce bene quando in televisione si assiste ad un dibattito politico. Ogni interlocutore allora parla sulla voce dell’altro e non intende più né quello che sta dicendo l’altro né il senso delle frasi che pronuncia egli stesso. Parlano, emettono suoni, espressioni facciali si succedono ad altre espressione ma non vi è nessuna comunicazione. Perché per parlare/parlarsi, occorre fermarsi e “darsi la parola”. L’ascolto richiede molta attenzione e interiorità creativa, proprio per far nascere dentro di noi quegli spazi di accoglienza nei quali le parole dell’altro possano attecchire e trovare spazio e casa.

    Il silenzio non è quindi assenza di comunicazione, ma all’opposto può rappresentare una irrinunciabile possibilità per espanderla. Ciò che in realtà è lampante è che si impara a comunicare, tacendo ma certamente, questo non è facile, essendo noi più abituati a parlare che ad recepire il Verbo dell’altro.
    Non è un ragionamento semplicistico: “darsi tempo” e “fare pause di silenzio” sono invece due grandi lussi nella società contemporanea.
Perché il silenzio deve necessariamente accompagnarsi alla lentezza. Al gustarsi il tempo. L’incanto del tempo. Proprio questo si perde nella frenesia che impone la cosiddetta “modernità”

    Allora occorre proclamarsi antimoderni. Essere fedeli ad un ritmo che sta ben al di là e al di sopra di tutti i ritmi fabbricati artificialmente dall’Uomo. Serve il coraggio dell'uscire dal conformismo, dalle facili e consuete diplomazie. Dalle più radicate ipocrisie. Occorre coraggio e determinazione per non trovarsi schiavizzati da questa falsa modernità che pretende di monopolizzarci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


      Una seconda verità riguarda l' alleanza che può legare silenzio e lentezza. La velocità e i carichi cui ci obbliga il tempo del lavoro e cui noi aggiungiamo infinite altre quantità di azioni e comportamenti del tempo libero, sconvolgono il nostro ritmo biologico e alla fine producono un danno per le nostre psicologie.

    “
Bisogna proteggersi dalle accelerazioni”, sosteneva Pierre Sansot, nel suo libro Sul buon uso della lentezza (1998) e ritrovare tutti i piaceri che si legano alla lentezza e al gustare tranquillamente le piccole cose. Alcuni comportamenti che l’autore cita sono di una assoluta semplicità: andare a spasso (prendere tempo, lasciarsi guidare dai propri passi, fermarsi a osservare un paesaggio come fosse un quadro); ascoltare (rendersi disponibili a quanto gli altri ci dicono, prestando loro attenzione); prestare attenzione alle cose agli alberi come alle stelle, alla luna, ai fili d'erba come alle maree o agli animali;  “annoiarsi” (non inteso come l’amore del nulla, ma come la capacità di accettare e apprezzare anche ciò che si ripete sempre uguale); usare moderazione (nel senso di soppesare con attenzione i propri atteggiamenti e le proprie forme di comunicazione).

    Tutto ciò rimanda a quel classico della letteratura che è la “
leggerezza” di cui parla Italo Calvino nelle Lezioni Americane, soprattutto quando sostiene che: “la funzione esistenziale della letteratura è esprimere una ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”.

    In tutto questo si può arrivare allora a intravedere perfino un possibile progetto di cambiamento socio-culturale, qualcosa da condividere con altre persone: fare silenzio significa prendere per se stessi pause, rallentamenti, scoprire ritmi diversi nel proprio modo di gestire il tempo. Naturalmente la condizione odierna del lavoro frammentato rende davvero arduo praticare questi sentieri. Ma è anche vero che una volta percepito al nostro interno questo bisogno autentico, diverrà molto difficile non orientarsi verso queste isole di rigenerazione e di benessere personale.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                   [  k  ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



 

 

 


 




 



 

 

 

 

 

 

 

 


 



 

 

 


 




 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 





foto by klimt

















 

Commenti

  1. La lettura di questo tuo post mi ha suscitato molte riflessioni.
    L'inquinamento luninoso e acustico delle città contrapposto al buio e al silenzio della natura. Ma la natura è viva, il silenzio e il buio totali non esistono. Esiste di meglio però. Il cielo stellato di montagna, infinito e misterioso. Lontano, come diceva Pavese, più lontano del cielo di giorno. E i rumori del vento fra le piante, o dell'acqua che scorre, i suoni emessi dagli altri animali, il suono del nostro respiro, dei nostri passi sul terreno.
    E' tutto questo che mi manca.
    E poi il vuoto. Quando parli della lentezza e degli spazi di tempo da recuperare, ripenso al tempo dilatato di certi pomeriggi estivi quando ero piccola e leggevo, o grattavo noccioli di pesca sul muro, fino a fare un buco al centro trasformandoli in anelli preziosi. Lo spazio vuoto per rielaborare le esperienze, per sedimentarle, per crescere. Quello spazio vuoto che oggi manca tanto anche ai bambini. E del quale, forse, gli adulti hanno paura.

    RispondiElimina
  2. Parto dal fondo:  trovo assolutamente vero ciò che dici di questa paura che hanno gli adulti.
    Come se si dovessero distrarre con mille frenetiche attività pur di non incontrare un certo tipo di silenzio e un certo tipo di tempo "capace di rimetterci in contatto con le nostre radici più profonde.

    Pure io penso spesso ai pomeriggi che vivevo alle elementari specialmente ad aprile-maggio oppure d'estate in campagna, steso sull'erba, semplicemente a guardare le nuvole passare su un cielo vertiginoso d'azzurro. Quell'azzurro m'è rimasto dentro e so che continua a nutrirmi. Per questo ogni tanto mi fermo e continuo a cercarlo come un amico d'infanzia.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari