ATTENZIONE, SCRIVIAMO SUL TITANIC.


  
  Photo by KLIMT


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Quando frugo fra gli scaffali di una libreria per acquistare un romanzo, leggo tre paragrafi scelti a caso, distanti fra loro. Ci deve essere qualcosa, in quelle tre frasi compiute ma non contigue, che mi dice, e con forza, che appartengono allo stesso libro. Quel qualcosa è lo stile, ciò che unifica.


Lo stile è la ricerca dell'uno attraverso il molteplice. James Joyce aveva l'abitudine di appoggiare l'orecchio al pavimento per ascoltare le voci dei contadini che abitavano al piano di sotto: conversano – diceva – in un idioma così inconsapevolmente ricco di storia e di fascino da costringermi all'ascolto. Ma allora si andava a sentire l'Amleto, oggi lo si va a vedere. Tutto – spettacoli, tv, cinema – sembra congiurare contro l'orecchio, che vive nel rumore, frastornato dalla mancanza di silenzio e dunque di musica e poesia.
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Nell'era del rumore e dell'immagine in movimento spetterebbe agli scrittori organizzare una Resistenza per opporsi alla sordità. E invece no: la letteratura dell'oggi, con poche, magnifiche eccezioni, si accontenta di sembrare tradotta. Non solo quella italiana, ma la nostra più di altre.
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Questa catastrofe culturale ha origini diverse: una di queste è il disprezzo che la scuola, fin dalle elementari, coltiva verso l'imparare a memoria. La parola è un suono che simboleggia ciò che nomina. Senza questi suoni potenti che ridefiniscono il mondo, ben poco ci distinguerebbe dal gatto a cui «manca solo la parola». Ma un sistema di suoni simbolici, per essere decifrato, ha bisogno della vigilanza della memoria.
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Una storia ha un senso se viene ricordata dall'inizio alla fine, cioè nella sua unità. E noi siamo quel che ricordiamo, come individui, popolo, civiltà. Non c'è iato fra essere e ricordare.
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Un popolo senza memoria è un popolo senza letteratura, o con una letteratura posticcia, quindi senza fierezza, con un senso di sé labile e pavido. E quando i predoni verranno – perché sono sempre venuti, perché hanno sempre fiutato la debolezza delle culture decadenti – quel popolo sarà colonizzato, e la sua lingua, cioè la sede di ogni libertà individuale e collettiva, sarà ridotta al ruolo di dialetto.
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La tradizione letteraria non è solo una fonte a cui abbeverarsi, è la nostra vita, siamo noi la tradizione, ma bisogna dirlo ai ragazzi che ogni nostro pensiero prende corpo al cospetto di chi è venuto prima di noi, così come il nostro pensare dovrebbe rivivere nell'agire della posterità.
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Quando il Titanic affondò, Conrad scrisse che bisognava aspettarselo da "una nave con più camerieri che marinai".
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Se il nostro Occidente, e l'Italia che amo, oggi assomigliano tanto a quella nave maledetta, è anche per una questione di mancanza di stile, perché lo stile è soprattutto voglia di verità:
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 « Benedette siano le leggi metriche – dice Auden – che vietano le risposte immediate / Costringono al ripensamento, liberano dalle vaghezze dell'Io ».


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[ Andrea Molesini ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

pubblicato il 10/09/2011  sul  SOLE24ORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       

 

 

 

 

 

 

Commenti

  1. Un pezzo molto interessante su cui riflettere.
    La letteratura italiana ormai è in stato di agonia, tranne rare eccezioni. D'altronde un Paese in cui la cultura viene disprezzata e svilita a un ruolo opzionale, e in cui si legge pochissimo, non può produrre nulla di interessante a livello letterario.

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