L'illusione della realtà...
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"All'età di più di settant'anni, subito dopo che ben due università mi avevano conferito la laurea ad honorem, fui trascinato in tribunale per aver sedotto con arti magiche una giovane ragazza.
. In carcere chiesi il permesso di occuparmi di pittura. Mi fu concesso. Degli amici mi portavano colori e pennelli, ed io dipinsi sulla parete della mia cella un piccolo paesaggio. Ancora una volta ero dunque tornato all'arte; tutti i naufragi che avevo subito come artista non mi poterono minimamente impedire di vuotare ancora una volta l'aureo calice, di erigere ancora una volta davanti a me, come un bambino che gioca, un piccolo e caro mondo immaginario e saziarmene il cuore, respingendo ancora una volta ogni saggezza astratta per ricercare la primitiva gioia della creazione. .
Mi misi di nuovo a dipingere, mescolai i colori, e vi intrisi i pennelli; ancora bevvi con rapimento l'infinito incanto: il chiaro suono allegro del cinabro, quello pieno e limpido del giallo, quello profondo e toccante dell'azzurro, e la musica delle loro mescolanze fino al più lungo e pallido grigio. Infantilmente felice continuai il mio gioco creativo dipingendo un paesaggio sulla parete della mia cella.
Esso comprendeva quasi tutto ciò che mi aveva dato gioia nella vita, fiumi e monti, mari e nuvole, contadini alla mietitura, ed una quantità di altre cose belle di cui soddisfarmi. Ma nel mezzo del quadro passava un minuscolo treno, che si spingeva su per un monte, con la testa che era già entrata in un piccolo tunnel, dal cui imbocco scuro usciva a fiocchi il fumo.
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Il mio gioco non mi aveva mai incantato come stavolta. In questo ritorno all'arte scordai non solo che ero un prigioniero, un accusato con poche probabilità di terminare la sua vita altrove che in un penitenziario... dimenticai perfino le mie esercitazioni magiche: mi pareva d'esser sufficientemente incantatore e un mago quando riuscivo a creare col mio pennello sottile una minuscola pianta, una piccola nuvola chiara..
Intanto la cosiddetta realtà, con cui mi ero ormai guastato del tutto, cercava con ogni mezzo di schernire il mio sogno continuando a distruggerlo. . Quasi ogni giorno mi si veniva a prendere, mi si conduceva sotto scorta in ambienti estremamente antipatici, dove in mezzo a una quantità di carta c'erano delle antipatiche persone che continuavano ad interrogarmi, e non volevano credermi, mi sgridavano, trattandomi ora come un bambino di tre anni, ora come uno scaltro delinquente. : Non occorre essere degli accusati per conoscere questo strano e veramente dannato mondo delle cancellerie, della carta stampata e degli atti. Di tutti gli inferni che stranamente l'uomo ha dovuto crearsi, questo mi è sempre apparso il più infernale. Basta che tu voglia traslocare o spostarti, che tu desideri un passaporto, un certificato di nazionalità, ed eccoti piombato in quest'inferno: devi sciupare ore intere nei locali senz'aria di questo mondo di carta, interrogato da persone annoiate e tuttavia frettolose e malevole; per le più semplici e sincere dichiarazioni non trovi che diffidenza e ti trattano come uno scolaretto o un malfattore. Ebbene, è cosa nota a tutti. . Da tempo sarei soffocato ed inaridito in quell'inferno di carta, se i miei colori non mi avessero sempre di nuovo consolato e divertito, se non avesse continuato a darmi respiro e vita il mio quadro. Il mio piccolo bel paesaggio.
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Davanti a quell'immagine stavo un giorno nella mia prigione, quando vi irruppero un'altra volta le guardie con i loro noiosi inviti, e vollero strapparmi al mio felice lavoro. . Allora sentii una stanchezza, come una nausea per tutta quella faccenda e per la realtà nel suo complesso, brutale ed insulsa. Mi sembrò come mettere fine ad uno strazio. . Se non mi era concesso di giocare indisturbato il mio innocente gioco di artista, mi vedevo costretto a servirmi di quelle mie più serie arti cui avevo dedicato tanti anni della mia vita: senza magia quel mondo era insopportabile.
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Mi ricordai dell'antico precetto cinese: tenni il fiato per la durata di un minuto liberandomi dell'illusione della realtà. . Pregai gentilmente le guardie di aver pazienza ancora per un momento perché dovevo salire sul treno del mio quadro per vedere una cosa. Essi come al solito, risero, credendomi tocco nel cervello. .
Allora io mi feci piccino ed entrai nel quadro, salii sul trenino e penetrai con esso nel tunnel nero.
. Per un istante si vide ancora uscire il fumo dall'apertura rotonda, poi il fumo si ritirò e svanì, e con esso tutto il quadro con me insieme. . ..Le guardie se ne rimasero completamente interdette." |
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[ H. Hesse ] |
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Grandi pensieri e belle immagini. Saluti da Salvatore.
RispondiEliminabellissimo.
RispondiEliminaIl titolo è un ossimoro ma il grande Danilo Dolci diceva
RispondiElimina« Se l'occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l'uomo non immagina, si spegne. »
p.s.
ti ringrazio per il tuo commento, sempre gradito, all'ultimo mio post. Volutamente, non ho replicato anche a tutti gli altri, perchè su un argomento tanto drammatico e dolente, veramente non mi veniva da dire nient'altro.
Ti abbraccio
Hesse ha la capacità di far volare non solo la mente, ma il corpo con essa.. come sotto l'influsso di un "flauto magico" ...
RispondiEliminaanche io ho un sogno
RispondiEliminaquello di vivere nel mio
quadro...