Poesia Romagnola

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Annalisa Teodorani, nata a Rimini nel 1978, residente a Santarcangelo di Romagna, laureata alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali a Ravenna, scrive nella lingua materna, il dialetto santarcangiolese, fin da giovanissima e ha pubblicato nel 1999 la sua prima raccolta di poesie.
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Credo che per vivacità e intensità questo tipo di poesia non abbia nulla da invidiare alla poesia maggiore in lingua italiana. Mi pare anzi che continui ad offrire nuove prove di grande valore, testimoniando quanto il dialetto romagnolo, dopo gli illustri esempi di Raffaello Baldini e Tonino Guerra mantenga una sorta di primato poetico fra i dialetti italiani.
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Mi piace quì raccogliere alcune liriche della Teodorani, ascoltata appena ieri sera, in un reading presso la sala lignea della Biblioteca Malatestiana di Cesena.


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Amòur
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Fa còunt e’ Vajònt
una muntàgna ch’la va zò tl’àqua.
L’amòur l’è un’invarnèda
ch’la giàza al tubadéuri
una diga
senza gnénca un rubinèt.

Amore..
Immagina il Vajont 
una montagna che frana nell’acqua.
L’amore è un inverno
che gela le tubature
una diga
senza nemmeno un rubinetto.

Ascolta l'opera




Precipóizi
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L’è cumè mudès senza scapè
tó al miséuri m’un dispiasòir.
Sta vóita che par precipóizi
l’à la spònda d’un lèt
o la róiva d’un pensìr.



Precipizio.
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E’ come cambiarsi d’abito senza uscire

prendere le misure a un dispiacere.
Questa vita che per precipizio
ha la sponda di un letto
o la riva di un pensiero





La sudisfaziòun
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Ta m dé la sudisfaziòun
d’una puràza svóita.

La soddisfazione.
Mi dai la soddisfazione
di una vongola vuota
Ascolta l'opera



Sparguiéd
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Dal vólti ta t sint sparguiéd
e t fiuréss t’un fòs.

Sperso
..
A volte ti senti sperso
e fiorisci in un fosso





Un furminènt
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E se ta m zènd
A dvént un furminènt
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Che fóil ad zèndra
Ch’ e’ sta so par mirècal

Un fiammifero
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E se m'accendi
divento un fiammifero
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..
Quel filo di cenere
che sta su per miracolo



La dota
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I cavèll pulòid i arlèus te sòul
cavèll ad ragàza
da imbastoi curòid
che la nòna e la ma a l s'aracmanda.
La mi dòta l'è un fas ad spòin

La dote
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I capelli puliti brillano nel sole
capelli di ragazza da imbastirci corredi
che la nonna e la mamma si raccomandano La mia dote è un fascio di spini


Ascolta l'opera



Una zèsta

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Lasèm a lè
do ch'a m'avòi vèst
cumè cla zèsta
s'i ghèffal ad lena
s'i fèrr instech


Una cesta.
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Lasciatemi lì 
dove mi avete vista
come quella cesta
coi gomitoli di lana
coi ferri infilzati



 Mèrz
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l'è un cier d'aria quèsi da boi
ti dopmezdè zantoil, ciacarèd
lòngh i vièl, ti trebb di gazott
Ad chèsa è'mond è'dventa pià znin
ad fura l'èrva i pulmèun
U m ciàpa pien una vòia nova
un nonsochè cmè ad campè dabon
vòia ad lasè pan vecc, loibri...
Enca al paroli è' pè
ch'agli apa da ciapè e' voul
dri m'un foil ad vènt
ch'è mov apèna, un talaràgn

Marzo
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E' un chiaro d'aria quasi da bere
nei pomeriggi gentili, chiaccherati
lungo i viali, nei trebbi degli uccelli.
In casa il mondo diventa più piccolo
fuori apre i polmoni.
Mi prende piano una voglia nuova
un non so cosa, come di vivere fino in fondo
voglia di lasciare panni vecchi, libri...
Anche le parole sembrano
dover spiccare il volo
dietro a un filo di vento
che muove, appena, una ragnatela.




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Commenti

  1. Incredibili queste poesie...
    L'ultima "marzo"descrive in modo
    straordinario quella smania di nuovo,
    di fuga dal quotidiano, la voglia di
    vivere intensamente, che la stagione nuova scatena.
    Per me c'è anche l'odore delle spighe
    lungo i fossi, acuito dal sole, che il vento, scompigliandole ti porta...
    E' voglia di andare via...
    Ciao Carlo, un abbraccio

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  2. stupendo.. una donna giovane che scrive in dialetto.
    preziosissima!

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  3. Tutte, mi piacciono tutte. Le ho lette in italiano e penso che non sia la stessa cosa. Credo che proprio nella particolare musicalità del dialetto,ci sia il senso profondo di queste poesie.
    Io per esempio,che sono napoletana, penso che "Era de maggio" di Salvatore Di Giacomo non potrebbe essere goduta se non nel dialetto della mia città.
    Un abbraccio, Carlo.

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  4. Che meraviglia!
    Un brivido sottile di compiaciuta soddisfazione, la mia, nel poter leggere parole così belle nella lingua dei miei nonni.
    Conosco il romagnolo, è il suono delle mie radici, della mia infanzia. Le lunghe conversazioni fra mia madre e mia nonna, i mesi estivi passati da lei e con lei. Riascoltare quei suoni, vederli prendere forma attraverso le parole scritte, è come far rivivere quei ricordi attraverso le fotografie... che bella emozione!

    Complimenti all'autrice e a te CKLIMT che me l'hai fatta incontrare

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  5. @ Eilidh:
    marzo smuove, commuove, proietta verso altre dimensioni.Dici bene tu:voglia di andare via. Buon Marzo!

    @ nez:
    una poetessa dotata di grande forza
    e insieme di quella umiltà tipica del dialetto. E' stata una sorpresa anche per me!


    @ iraida:

    la ricchezza di toni e di sfumature del dialetto, in italiano si ammoscia, viene appiattita e ne rimane appena un riflesso, ma quello è sufficiente per far transitare il senso. Come per il napoletano [che ho imparato ad amare negli ultimi 10 anni] credo che la poeticità sia un tutt'uno con l'impasto di accenti, di suoni, di musicalità.
    Il dialetto è più vicino alla vita, all'emozione, al battito del cuore.
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    Come ha detto qualcuno, il dialetto è "la lingua che ci accade".E' "madre" e "padre" del nostro mondo interiore per chi ha avuto la fortuna di averne l'imprinting nell'infanzia.


    @ Anto:
    Che bella sorpresa! Questa sì che è una soddisfazione... ignoravo che pure tu avessi radici romagnole...
    Ecco vedi?
    La forza della condivisione, quella molla interna che ci porta a gettare in mare messaggi in bottiglia (il blog in fondo è questo), alla fine viene ripagata, diecimila volte quando accade così!

    Felice che queste parole abbiano emozionato anche te.
    Ne metterò altre, prossimamente.
    Un grande abbraccio

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  6. Anche io ho radici romagnole (bassa Val Marecchia). I miei genitori hanno sempre parlato fra di loro in dialetto ma a me si sono sempre rivolti in italiano, salvo quando mi dovevano sgridare per qualcosa... allora lì la lingua madre veniva in aiuto. Comunque capisco il romagnolo anche se, eccetto qualche modo di dire, non lo so parlare. Leggere in genere è più difficile: devo farlo ad alta voce andando per tentativi fino a che trovo il suono che riconosco e allora capisco il senso; qui è stato più facile grazie alla traduzione.

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