IL VARCO




  








Quel giorno pur in mezzo alla folla vociante, in mezzo al rumore della realtà  che gli stava attorno, K. toccò  un punto dentro di sé che fino ad allora,  non immaginava nemmeno esistesse.
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In quel luogo-non luogo gli capitò di entrare in contatto con una diversa consapevolezza.  Non era una convinzione che si potesse facilmente tradurre in parole, e anzi era possibile soltanto sfiorarne la verità, indirettamente, per approssimazione. Eppure riuscì per quella via a comprendere ciò che gli era stato sottratto in mille altre occasioni.
 

K. quel giorno si rese conto che in mezzo al suo non sapere, in mezzo al suo barcollare attraverso i giorni, dentro  quel suo procedere quasi da sonnambulo  per mesi interi, pur permanendo dentro una confusione paralizzante che gli faceva provare tenerezza e pena per il suo stesso camminare da cieco,  egli aveva portato con sé un piccolo tesoro, il cui splendore soltanto  ora, gli era dato di scorgere.
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Era l’inspiegabile convinzione che tutto quel che aveva fatto fino ad allora era stato guidato da un sentimento di benevolenza, di affetto per l’anima delle persone. E che quelle anime che scorgeva dentro la folla degli amici e conoscenti altro non fossero che il riflesso luminescente del pulviscolo che costituiva una più grande e comune anima umana.
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Tutt'intorno a sé  vedeva un pullulare di storie, di infelicità,  di persone imprigionate in problemi apparentemente insolubili che li opprimeva e lui stesso, ugualmente prigioniero, rinchiuso dentro  muri di impossibilità, di domande senza risposta. In quel suo annaspare avvertiva prepotente e dolce, quel sentimento di fratellanza e di solidarietà per tutte le anime che al suo pari si dibattevano senza sosta in quei dilemmi .

Dov’era la felicità individuale?
Era possibile affidare la propria sorte ad un'altra persona? Far dipendere la propria condizione dagli umori eternamente mutevoli di un'altra anima? Esisteva una direzione che permettesse di dare una linearità al succedersi dei propri giorni?

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Quelle mattine di sole che allagavano gli occhi e che succedevano a notti agitate promettevano questo: una vita diversa, un lasciarsi portare dolcemente dal vento delle emozioni.  Così come era possibile intravedere nel viso di una sconosciuta, un nuovo inizio. Un diverso indizio. La possibilità di un diverso percorso. Ma era plausibile attendersi che la propria salvezza potesse dipendere da altri? Era ragionevole?

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Vi era in realtà un regno assai diverso che a tratti aveva intravisto.
Un regno in cui si era addentrato solo di tanto in tanto.. Notti sospese sul bordo dei giorni in cui era riuscito a dimenticare il proprio tormento, il proprio groviglio di interrogativi. Quel regno aveva ingressi segreti. Ben occultati e mimetizzati sulla superficie del mondo.
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Come vi si accedeva?  Non lo sapeva in astratto …ma di quelle aperture che lo mettevano in contatto con una diversa dimensione emotiva e spirituale,  aveva tuttavia avuto esperienza.

Ricordava le sere in cui nella luce di madreperla di un interminabile tramonto, seduti ad un tavolo all’aperto, nelle parole scambiate con intrepido candore aveva provato un fremito indicibile. Il proprio corpo pareva liquefarsi in quel tepore luminescente, in quello sciogliersi che pareva derivare dalla perdita della propria pesantezza.

Che fenomeno accadeva in quegli istanti?
La durezza, l'inafferabilità, la mancanza di senso del tempo pareva ritrarsi, come un mare improvvisamente clemente.
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Nelle parole e nei discorsi che allora prendevano consistenza era possibile respirare una luce di verità che era preclusa ai giorni ordinari. In quegli attimi spesso affioravano i versi di Montale




 



 
           Tu non ricordi la casa dei doganieri
           sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
           desolata t’attende dalla sera
           in cui v’entró lo sciame dei tuoi pensieri
           e vi sostó irrequieto.

           Libeccio sferza da anni le vecchie mura
           e il suono del tuo riso non é più lieto:
          la bussola va impazzita all’avventura.
          e il calcolo dei dadi più non torna
          Tu non ricordi; altro tempo frastorna
          la tua memoria; un filo s’addipana.

          Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
          la casa e in cima al tetto la banderuola
          affumicata gira senza pietá.
          Ne tengo un capo; ma tu resti sola
          né qui respiri nell’ oscuritá.

          Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
          rara la luce della petroliera!
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          Il varco é qui? (Ripullula il frangente
          ancora sulla balza che scoscende …).
          Tu non ricordi la casa di questa mia sera.

         Ed io non so chi va e chi resta.             
                                                          

                                (E. Montale,  La casa dei doganieri)




 





Quel  "varco",  l'ossessionava da tempo. Quel dischiudersi di una dimensione in grado di unire e permettere una superiore comprensione, una comunicazione profonda fra persone, appariva improvvisamente cosa reale. Una via praticabile. Reale  come la mole scura del monte che intravedeva al di sopra dei palazzi in fondo alla piazza, reale come la linea blu delle colline intorno alla città, come l'esile profilo della mano  della compagna che gli sedeva di fronte, come il calore e la dolce consistenza del corpo di lei.  Erano questi i messaggi di cui aveva esperienza. Questi gli accessi a quell'altro spazio che riusciva di tanto in tanto ad intuire.
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Quante volte era accaduto di arrivare ad un doloroso e insieme dolcissimo levitare in una dimensione di sincerità?
Una nudità, bella da far male... Era stato solo allora che aveva avuto accesso ad una vertigine paragonabile giusto a quella del vino o a quella della birra.

Ecco cos'era.
La sincerità era una birra bionda, una effervescenza che friggeva in gola e al tempo stesso invadeva le vene in una frenesia che dava alla testa.
Ogni volta che si era accostato a questa dimensione pericolosa e indispensabile, aveva vissuto nell'ebbrezza della comprensione amplificata. Nei sensi che prendevano a vibrare di una ubriachezza feconda,  ben più profonda di quella alcolica.
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Non era forse questo il varco che all’improvviso prometteva l’ingresso in uno spazio senza più maschere, senza più ruoli, dove finalmente poteva risuonare l'unica voce autentica che ci appartiene?
Quella voce che ci fa risplendere della nostra luce, dei desideri profondi, delle sole parole che contengono la nostra essenza e danno di noi misura. 




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Commenti

  1. Sono semplicemente incantata!
    Splendida, emozionante
    Buona notte :)

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  2. "Vi era in realtà un regno assai diverso che a tratti aveva intravisto [...]Quel regno aveva ingressi segreti. Ben occultati e mimetizzati sulla superficie del mondo"

    Un varco è qui,nascosto tra le tue parole...

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  3. anche per te gli auguri
    di dolcezza
    per questi giorni
    di vita nuova
    (( ))

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  4. i Negramaro sono il magico scenario di questa forte introspezione al chiaror del lume di candela :-)
    Buona giornata a te..

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  5. Meraviglioso, questo post, e scritto come meglio non si potrebbe.
    Complimenti davvero.

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  6. auguri di Serena Pasqua a te e familiari.

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  7. Tantissimi auguri di Buona Pasqua.

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  8. Un augurio carissimo a te Carlo, per una Pasqua serena e anche perchè tu possa trovare il varco che ti porti in quella realtà dove regna l'essenziale
    e si può essere se stessi in pienezza...

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  9. Tantissimi auguri caro Carlo con la speranza che al di là delle nubi...di qualunque natura esse siano, ci sia sempre un posto incantevole da cui poter guardare e vivere il "sereno"...
    a presto
    T.

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  10. parole emozionanti.
    luminose soprattutto.
    un caro saluto :-)

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