DEL VIAGGIARE...



fotografia di Misti 



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Hermann Hesse, pellegrino di molti santuari
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La predilezione di Hesse per la vita errabonda e per quelle immagini che più o meno metaforicamente ne adombrano il significato polisenso, era già visibile in Peter Camenzind, se non vogliamo addirittura risalire ad Hermann Lauscher, il cui nome ci fornisce l'indicazione di una attitudine, quella dell'origliare appunto, che è anche scelta e disponibilità ad una attenzione reverente e sommessa verso le voci della vita e della natura più dimesse ed umbratili.. 
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Peter Camenzind ama le nuvole che incorniciano i cieli del suo paese montano ed ama, in loro, il movimento e la libertà leggera «eterno simbolo d'ogni vagabondaggio, d'ogni ricerca, d'ogni desiderio e d'ogni nostalgia».
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Il giovane Peter si riconosceva nei trasognati vagheggiamenti di lontananze così come nell'inguaribile volontà di essere dappertutto e perciò stesso in nessun luogo. Il montanaro introverso e sensibìle che parte da Nimikon, alla scoperta del «vasto mondo», con un programma tanto puntiglioso quanto intrinsecamente vago: «Lenten, schaffen, schauen, wandern», imparare, operare, vedere, vagare, tornerà alla sua «kleine Welt» senza aver realizzato la conciliazione di un piccolo e grande mondo. […] .
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Eppure già in quel giovanile libriccino, oltre a certe preziosità stilistiche che rivelano il paesaggista sicuro e l'acquarellista innamorato della tavolozza, Hesse indicava a sè stesso alcune coordinate che avrebbero retto al tempo e si sarebbero rivelate preziose nella navigazione spesso perigliosa degli anni a venire.
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C'è in Camenzind una volontà tenace, che bene si attaglia alla sua robusta figura di montanaro, di venire a capo della propria vita e del senso da conferirle in un ordine prospettico che trascenda la provvisorietà della vicenda individuale.
[…]
Ogni uomo è un “Wurf” e un “Versuch der Natur”, un progetto e un parto della natura, un tentativo solo accennato; la lunga strada della vita, passa attraverso gli stadi dell'individuazione, ed in questo processo non esistono leggi immutabili, né regole che valgano per tutti: «Il cammino verso la devozione è diverso per ciascuno» e, chi dice no a se stesso non può dire sì a Dio».  
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Demian, il demone di Sinclair, è appunto l'alter ego, la forma che vuole giungere a compimento e che deve, a tal fine, chiudere col passato, con tutto ciò che del passato costituisce un impedimento al libero sviluppo del proprio io.
[…]
L'uomo nuovo che Hesse vuol divenire, l'esperienza di Abraxas, implica la destituzione di valore, di ogni ordine codificato. «Tutte le religioni sono belle. Religione è come dire anima ed è indifferente se uno si accosta all'eucarestia cristiana o va in pellegrinaggio alla Mecca, dirà Pistorius. Abolita la precettistica  si abolisce automaticamente anche la distinzione tra il bene e il male, o meglio si abolisce la visualizzazione dei valori come entità separate, e da lì inizia la strada del risveglio, nella acquisizione di una moralità che obbedisce al proprio "Eigensinn".
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La morale del gregge cede il posto ad una morale individuale più difficile perché sempre provvisoria e sempre da riscattare.

. Certo Hesse-Demian conosce, come Dostoevskij, la tentazione della libito ad oltranza e Sinclair si chiede se non sia lecito, allora anche uccidere. La risposta di Pistorius è a questo proposito illuminante "quando odiamo un uomo, odiamo nella sua immagine qualcosa che sta dentro di noi. Ciò che non è dentro di noi non ci mette in agitazione."
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A questo punto, ci sembra, che il vagabondo, il viandante nomade, da Knulp a Siddharta,  assuma un significato centrale nel mondo poetico hessiano.
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Il vagabondo, perduti ormai i connotati romantici ancora presenti in Knulp, si fa protagonista di un'esperienza  assoluta, l'esperienza del sacro e del divino. La ricomposizione delle lacerazioni e dei dissidi individuali e storici nell'opera di Hesse, viene demandata a colui che dalla compagine del mondo sembra escluso. Ma è esclusione solo apparente, come solo apparente è "l'idiozia" di Myskin, nel romanzo dostoevskiano. Come Myskin, il vagabondo di Hesse ha rinunciato all'intelligenza formalizzata, alla logica analitica ed utilitaristica del mondo che lo circonda, la sua immissione nel flusso indiffenziato della vita naturale, come di quella psichica, si attua su di un piano di intuizione trascendente e mistica. 

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In tale condizione di libertà totale e di assoluta disponibilità, il viandante, come Zarathustra e come Myskin non ha avuto solo pensieri e idee importanti, ma una o più volte si è trovato « sulla magica soglia dove si accetta ogni cosa, dove non solo è vero ogni pensiero più remoto, ma anche il suo contrario»
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È in questa prospettiva che lo spostamento di Hesse verso I'Oriente, verso la patria  degli opposti, assume il suo più profondo significato. L'orientalismo di Hesse non ha nulla a che vedere con la moda più o meno colta e stravagante, ma trova giustificazione, proprio nel senso di recupero dell'altra metà del mondo, della dimensione magica della vita.
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L'amato Lao Tze, autore del famoso e leggendario Tao Te Ching che Hesse leggeva nella traduzione di Richard Wilhelm, non meno delle Upanishad, del Bhagavad Gita e dei Discorsi di Buddha, offrono ad Hesse, la possibilità di giustificare una nuova morale nei termini di un "immoralismo" occidentale, proteso alla conquista e all'integrazione del negativo, di ciò che la tradizione antropocentrica del vecchio continente europeo è abile a considerare opposta all'essere.
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L'antica antinomia parmenidea tra essere e non-essere si dissolve sulla riva del fiume, di qualsiasi fiume, nella metafora dell'acqua per la quale non esiste passato e futuro, ma solo e sempre un eterno presente.

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Nell'acqua che scorre e che pure è tale, alla sorgente e alla foce, nel movimento che cela la stasi e nella staticità che svela il movimento, essere e divenire coincidono, essenza ed accidentalità divengono una cosa sola, e mille volti roteano nel volto di Siddharta rispecchiato dal fiume, come mille volti dipinge Klingsor, nel martoriato autoritratto con cui, finalmente, l'angelico e luciferino pittore, salda il conto con la vita e con la morte....
Il senso ultimo, sacrale, del vagabondaggio svela qui la sua corda più segreta: "ogni uomo che accetti di incamminarsi sulla via della salvezza", ogni creatura che sia disposta a maturare la propria Menschwerdung, non importa sotto quale bandiera e con quale fede - anche queste, ormai lo sappiamo, sono false e illusorie opposizioni - ogni essere, uomo o albero, che decida per la fedeltà al Tao, alla via, alla sua via, è da quell'istante un pellegrino, un viandante, un vagabondo accompagnato dal freddo astrale che circonda Demian e Zarathustra, un uomo solo come solo è ogni albero ed ogni pietra nella nebbia, come i Samana e gli anacoreti che attraversano, trasognati incantatori, l'India di Siddharta.
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Grande metafora in divenire, dicevamo, quella del vagabondo, che culmina nella trasformazione del perdigiorno romantico in un cercatore e in un ribelle, assetato di tutto, affamato di tutto, il cui viaggio non può aver fine se non in quel paradiso che attende chi ha abbandonato quello dell'infanzia  ma ha anche attraversato l'inferno della colpa riconoscendosi in essa, là dove bene e male, innocenza e colpa splendono nella medesima luce che è la luce di Dio, il sorriso di Buddha e degli Immortali.
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Questo sorriso aleggia, lieve e benevolo, nelle pagine di Wanderung  “Vagabondaggio”.
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Leggendo le trasparenti pagine, scritte tra la fine del 1918 e l'inizio del 1919 - e dunque completamente all'interno degli anni di fuoco cui abbiamo sin qui fatto riferimento, viene da pensare che Hesse non cessi mai di stupirci.
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In questo racconto è racchiuso,  depurato e cristallizzato, nella forma che ondeggia tra diario e favola,  tutto il materiale magmatico ed incandescente che vibra nelle opere cosiddette "maggiori".
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Il senso e la poesia del vagabondaggio si esprimono qui per tratti nitidi e gioiosi. Accompagniamo lo scrittore attraverso prati e villaggi, boschi e ruscelli, lo vediamo sostare in assolate pause meridiane ed accendere un fuoco di sterpi contro il sole per poi riprendere il cammino meno stanco e un po' più malinconico, lo vediamo addormentarsi e sognare favole dell'infanzia, rispondere cantando al canto di Dio, lontano, sui monti.  Lo osserviamo mentre sosta reverente di fronte agli alberi,  simboli di fedeltà al proprio destino e di solitudine coraggiosa, mentre canticchia un canto di Eichendorff. Ne seguiamo anche i momenti dello sconforto più atroce, sotto cieli nuvolosi e mal disposti, vibriamo della sua nostalgia di esule alla vista di ogni casa, di ogni volto umano. E il vento stormisce  sulla cima degli alberi e dice che il cammino prosegue, che non può arrestarsi, ricordi di donne bionde e belle infliggono ferite nella carne e nel sangue, le Alpi invitano a passaggi avventurosi e il Nord, la patria, i tetti tedeschi ricordano al vagabondo la sua origine, la casa di un tempo, la terra e la madre. Ogni passo di questo "Vagabondaggio" è un procedere ed è un ritornare, «ogni passo è nascita, ogni passo è morte».
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E così lo lasciamo,  viandante e cercatore inquieto, sempre ad un valico e ad una frontiera,  sospinto senza tregua "là dove i contrasti si estinguono è Nirvana. Per me essi ardono ancora limpidi, amate stelle della nostalgia».
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                       tratto da un testo di MARIO SPECCHIO

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 VOGLIA DI VIAGGIARE
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Siamo in pieno inverno, la neve si alterna al fohn e il ghiaccio al fango, i sentieri di campagna sono impraticabili, si è tagliati fuori dal mondo. Il lago, nel gelido mattino, esala bianchi vapori e forma un bordo di ghiaccio fragile come il vetro; ma al primo vento caldo ondeggia di nuovo nitido e vivo, e verso est diventa azzurro come nelle più belle giornate di primavera.
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E io sono seduto nel mio studio ben riscaldato, leggo libri inutili, scrivo articoli inutili e faccio pensieri inutili. Qualcuno dovrà pur leggere alla fine tutte le cose che vengono scritte e pubblicate di anno in anno, e dato che non lo fa nessuno, lo faccio io, appunto, in parte per interesse e solidarietà verso i colleghi, in parte per pormi come schermo critico e come paraurti fra il pubblico e le valanghe di libri.
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Molti libri sono effettivamente belli e intelligenti e degni di essere letti. Ciononostante mi sembra a volte che la mia attività sia del tutto superflua e la mia volontà diretta a scopi assolutamente sbagliati.

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Entro spesso per qualche attimo in camera da letto dove è appesa alla parete la grande carta  geografica dell'ltalia, e mi spingo con occhi desiderosi oltre il Po e l'Appennino, attraverso le verdi valli della Toscana, lungo le insenature blu e gialle della Riviera, sbircio giù fino alla Sicilia e mi perdo verso Corfù e la Grecia. Dio mio, com'è tutto vicino! E quanto presto si può essere dappertutto. E fischiettando me ne torno al mio studio, leggo libri inutili, scrivo articoli inutili e faccio pensieri inutili. 
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L'anno scorso sono stato sei mesi in viaggio, due anni fa, cinque mesi, e in effetti per un padre di famiglia, campagnolo e giardiniere, è tanto, e  quando sono tornato a casa l'ultima volta, poco tempo fa, dopo essere stato ammalato mentre ero all'estero, operato e costretto a letto per un lungo periodo, mi sembrò giunto il momento di far pace con me stesso e diventare casalingo per un lungo periodo, se non per sempre.
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Ma appena il dimagrimento e la spossatezza furono superati e mi rimisi in sesto, dopo appena un paio di settimane trascorse fra i libri e consumando un po' di carta da scrivere, il sole brillò un giorno così incredibilmente giallo e giovane sulla vecchia strada provinciale, e sul lago scivolò un battello nero con una grande vela bianca come la neve, e io allora pensai a come era breve la vita  e improvvisamente di tutti i propositi, i desideri e i progetti, non rimase nient'altro che una bella, inguaribile voglia di viaggiare.
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Ah...  la vera voglia di viaggiare non è altro che quella voglia pericolosa di pensare senza timori di sorta, di affrontare di petto il mondo di voler avere delle risposte da tutte le cose, gli uomini, gli avvenimenti. Una voglia che non può essere placata con progetti e dai libri, che esige sempre di più e costa sempre di più, in cui bisogna mettere il cuore e il sangue.
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Davanti alla mia finestra il dolce, tiepido vento d'occidente fruga nel lago nero,  senza nessuno scopo, infuriando nella sua passione e consumandosi, selvaggio e insaziabile.
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Così selvaggia e insaziabile è la vera voglia di viaggiare, lo stimolo di conoscere e di sperimentare cose nuove, che nessuna conoscenza e nessuna esperienza riescono a saziare. Uno stimolo che è più forte di noi e di tutte le catene, che vuole sempre più sacrifici da chi ne è dominato. Non ci sono forse uomini che vanno a caccia di denaro, e del favore delle donne e di principi in maniera selvaggia e oltre ogni limite, fino alla rovina? Ecco così  andiamo a caccia noi, noi patiti di viaggi,  di ciò che si può prendere dalla madre terra, con il desiderio di essere un  tutt'uno con lei, possederla e abbandonarsi a lei, in una misura che non si può ottenere, ma solo sognare, desiderare, agognare. E forse questa nostra caccia, questa passione  non è niente di diverso e di migliore, di quella del giocatore, dello speculatore, del dongiovanni, dell'arrivista.
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Ma a questo punto della vita la nostra passione mi sembra migliore e più degna di tante altre. Quando la terra ci chiama, quando a noi vagabondi giunge il richiamo del ritorno e per noi irrequieti si delinea il luogo del riposo, allora la fine non sarà un congedo, una timida resa, ma piuttosto un assaporare, grati e assetati, la più profonda delle esperienze.
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Siamo curiosi di conoscere il Sudamerica, le insenature inesplorate  dei mari del sud, i poli della terra, il segreto dei venti, delle correnti, dei lampi, delle valanghe - e ancor più infinitamente curiosi siamo di conoscere la morte, l'ultima e più ardita esperienza di questo nostro essere sulla terra. Poiché crediamo di sapere che di tutte le cognizioni ed esperienze, possono essere ben meritate e soddisfacenti solo quelle a cui dedichiamo di buon grado la nostra vita.


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                                       CASA COLONICA


Giunto a questa casa prendo commiato.
Passerà molto tempo prima che possa rivederne una simile.
Mi avvicino infatti al passo alpino e qui lo stile architettonico nordico, tedesco, cessa insieme al paesaggio tedesco e alla lingua tedesca.
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Com'è bello varcare simili confini!
Il  viandante è, sotto molti aspetti, un uomo primitivo, così come il nomade è più primitivo del contadino.
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Tuttavia il superamento della sedentarietà ed il disprezzo per i confini fanno di gente del mio tipo degli alfieri del futuro.  Se esistessero molti uomini nei quali fosse così radicato come lo è in me il disprezzo per i confini nazionali, allora non ci sarebbero più guerre né blocchi. Niente è più odioso dei confini, niente è più stupido. Essi sono come cannoni, come generali: sino a quando ragione, senso di umanità e pace dominano, non se ne ha sentore e di loro si ride, - ma non appena guerra e follia divampano essi divengono importanti e sacri. Quanta angustia e tormento hanno procurato a noi viandanti negli anni di guerra!Che il diavolo se li porti!
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Disegno la casa sul mio taccuino ed il mio occhio si accommiata dal tetto tedesco, dalla travatura e dal frontone tedesco, si accommiata da una certa intima familiarità. Ancora una volta amo tutte queste cose familiari con una accresciuta intensità poiché sto per  staccarmene.
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Domani amerò altri tetti, altre capanne. Non lascio qui il mio cuore, come si legge nelle lettere d'amore. Oh no, il mio cuore lo porterò con me, ho bisogno di lui anche lassù sulle montagne, in ogni  ora.
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Poiché io sono un nomade, non un contadino. Sono un adoratore dell'infedeltà, del mutamento, della fantasia. Non tengo in nessun conto l'idea di inchiodare il mio amore ad una qualsiasi chiazza della terra. Considero tutto ciò che amiamo sempre e soltanto un'allegoria. Dove il nostro amore resta incatenato per trasformarsi in  fedeltà e virtù, là esso mi diventa sospetto.
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Salute al contadino! Salute al possidente e al sedentario, al fedele, al virtuoso! Io posso amarlo, venerarlo, posso invidiarlo. Ma ho sprecato metà della mia vita nel tentativo di imitare la sua virtù. Volevo essere ciò che non ero. Volevo essere un poeta e allo stesso tempo un borghese. Volevo essere un artista ed un  sognatore ma volevo anche possedere la virtù e godere della patria. È durato a lungo, fino a che ho compreso che non si può essere ed avere l'uno e l'altro insieme, ho compreso che io sono un nomade e non un contadino, un cercatore e non un depositario. A lungo mi sono mortificato al cospetto di dèi e di leggi che per me altro non erano che idoli. Questo fu il mio errore, il mio tormento, la mia complicità alla miseria del mondo. Io accrescevo la colpa e la pena del mondo facendo violenza a me stesso e non osando percorrere il cammino della salvezza. Il cammino della salvezza non porta a destra né a sinistra, esso conduce nell'intimo del proprio cuore, e solo là è Dio, solo là è pace.
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Dalla montagna alita, sfiorandomi, un vento umido; al di là azzurre isole di cielo occhieggiano su altri paesi. Sotto quei cieli sarò spesso felice, ma spesso soffrirò anche di nostalgia per il mio paese. L'uomo del mio tipo, compiutamente realizzato, il viandante puro, non dovrebbe conoscere la nostalgia. Io la conosco, io non sono realizzato e non mi affanno per esserlo. Io voglio assaporare la mia nostalgia come assaporo le mie gioie.

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Questo vento contro il quale incedo profuma in modo prodigioso di lontananza e di infinito, di spartiacque e di confini linguistici, profuma di monti e di Sud. E' colmo di promesse. Addio  piccola casa colonica, addio paesaggio familiare!
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Mi congedo da te come un giovinetto dalla madre: egli sa che è giunto per lui il tempo di staccarsene e sa anche che non potrà abbandonarla mai del tutto, quand'anche lo volesse
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  .            VILLAGGIO
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Il primo villaggio sul versante meridionale del monte.
Quì ha inizio la vita errabonda vera e propria, quella che io amo, il vagare senza meta, i riposi assolati, il vagabondaggio affrancato.
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Ho una particolare propensione a vivere di ciò che ho nello zaino e ad andarmene con i pantaloni sfilacciati.

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Mentre mi faccio portare fuori vino attinto dalla pinta, mi torna improvvisamente alla memoria Ferrucio Bussoni. «Lei ha un'aria così provinciale», mi diceva il caro uomo, con un'ombra di ironia, l'ultima volta che ci vedemmo  a Zurigo. Andrea aveva diretto una sinfonia di Mahler e sedevamo insieme nel solito ristorante.
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Ma com'è che sopraggiunge proprio ora questo ricordo?
Lo so! Non è a Bussoni che sto pensando, né a Zurigo.
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Sono questi i consueti inganni della memoria, quando ci si approssima a qualcosa di imbarazzante, allora facilmente scivolano in primo piano, immagini innocenti.
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Ora lo so! In quel ristorante sedeva anche una giovane donna, dai chiari capelli biondi e le guance rosa, con la quale non scambiai una parola.
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Angelo! Soltanto vederla era delizia e tormento e quanto l'ho amata in quella lunga ora!
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Avevo di nuovo diciotto anni. All'improvviso tutto è chiaro. Bella e felice ragazza bionda! Non so più come ti chiami.
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Ti ho amata per un'ora e torno ancora ad amarti oggi sulla stradina assolata del villaggio montano, per  un'ora. 
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Nessuno ti ha amata più di me, nessuno ti ha mai concesso tanto potere su di sé, quanto io te ne concessi, un potere incondizionato.
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Ma io sono condannato all'infedeltà. Appartengo alla razza degli uomini  che non amano una donna, ma solo l'amore.
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Noi viandanti siamo così. La nostra smania di vagabondaggio e di vita errabonda è in gran parte amore, erotismo e sensualità per il mondo. Il romanticismo del viaggio è per metà nient'altro che attesa dell'avventura. Ma per l'altra metà esso è impulso inconsapevole a trasformare e a trascendere l'elemento erotico. Noi viandanti siamo abituati a coltivare i desideri amorosi proprio per la loro inappagabilità, e quell'amore che apparterrebbe alla donna, noi lo dissipiamo, indirizzandolo al villaggio, alla montagna, al  lago, ai bimbi sul sentiero, al prato, all'uccello, alla farfalla.
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Noi liberiamo l'amore dall'oggetto. L'amore da solo ci è sufficiente, così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento dell’andare in se stesso, l'essere in cammino.
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Giovane donna dal fresco volto, non voglio conoscere il tuo nome.  Tu, non sei la meta dell'amore, ma il suo impulso.
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Questo amore poi io lo regalo ai fiori del sentiero, al lampo del sole nella coppa del vino,  ai rossi bulbi del campanile. Tu mi permetti di essere innamorato dell’intero mondo.
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Ah, sciocchi discorsi! Questa notte, nella capanna montana, ho sognato la ragazza bionda. Ero follemente innamorato di lei. Avrei dato il resto della mia vita insieme a tutte le gioie del vagabondaggio per lei, se mi fosse stata accanto. A lei sto pensando oggi tutto il giorno. Per lei mangio pane e bevo vino. Per lei disegno sul mio taccuino, il villaggio e la torre.
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Per lei ringrazio Dio – per il fatto che è viva e che ho potuto vederla.
Per lei comporrò una canzone e mi ubriacherò di questo vino rosso!
E così era scritto che la mia prima sosta nel sereno Sud fosse pervasa dalla nostalgia per una ragazza bionda, di là  dai monti.
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Com’era bella la sua bocca fresca!
Com'è bella e sciocca e incantevole questa vita!
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fotografia di Misti 




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Fotografia di Misti
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Commenti

  1. Stupende foto!
    Ogni tanto, fa bene sognare!
    Ho copiato le tue utime frasi e le ho fatte mie!
    Ovunque tu sia...ti auguro tanta serenità.

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  2. un post come una lunghissima carezza sull'anima....

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  3. senti ma questa misti è una forza della natura !!

    assai più di tante parole assaporo soltanto ciò che lei ci trasmette, con queste foto meravigliose...!!

    a cosa servono le parole poi ? sono sconfitte dal piacere del mio occhio. voglio perdermi nelle immagini, ed in questa natura immensa.

    le parole no, oggi no...

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  4. certo, anche l'amore per un uomo si può sublimare in un amore per l'infinito, la natura, il viaggiare... e sustanziare nell'andare... perchè un uomo (o donna) ci fermerebbe, dopo tutto.
    è ciò che temo in fondo più di ogni altra cosa...

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  5. ;-) si si!! La mia amica MISTI è una forza della natura, GARANTITO!
    Le parole a volte sono un di più...
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    In certi giorni ci fanno bene e aggiungono qualcosa... altre volte basta il silenzio ed avere i sensi aperti.

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  6. Che bella passeggiata a sensi aperti! Sì...

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  7. Splendido bosco di faggi...un sorriso...

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  8. Grazie dei complimenti :-) Il merito è di Carlo che sa scegliere ed avvolgere di parole (da leggere quando servono )
    Un caro saluto a tutti !!

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  9. devo trovare il tempo per leggere tutto il tuo blog, me lo riprometto, ma non ci riesco mai. Macche' palm beach, se dovessi un giorno toccare suolo americano, mi fionderei in canada, e/o in sudamerica tra le rovine dei popoli antichi :)

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  10. Davvero belle le foto di Misti, i miei complimenti. Un post dove la natura è emozione... è sentimento.
    Un caro saluto
    Vilma

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