Fratello e Sorella





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Bisogna tenere a mente
il colore della propria ferita 
per farlo  risplendere al sole
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tratto da "Il sole dei morenti
di Jean-Claude Izzo

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Infine gliel'aveva detto.

In mezzo a discorsi leggeri come nuvole,  in mezzo a quel tessere una tela di pensieri neutri e annotazioni lievi come piccole pennellate di superficie, lo aveva fatto quel passo... 

"...da qualche anno ho imparato un segreto, ho deciso di vivere in un altro luogo. Un luogo che ho fatto mio. Lo chiamo spazio del cuore."
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Non completò il discorso...per quello ci sarebbe stato tempo.
Lo aveva imparato anche questo. Se davanti, ti si apre un cammino non devi farti fregare dal tempo o dall'istinto d'avere fretta.
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Quei discorsi sarebbero giunti più tardi, al momento giusto.
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Dopo gli anni in cui il sole nella sua vita, un pomeriggio, s'era di colpo frantumato e annerito... Dopo anni di cenere,  che gli avevano tolto il senso stesso dei colori, dopo le ferite, le ustioni, l'isolamento che s'era imposto...
Dopo maldestri tentativi di ritornare sulla strada interrotta,  ora era di nuovo ad un bivio.
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Non poteva mentire, riguardo a questo. In una lettera gliel'aveva scritto:
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"...si giunge a delle svolte... a certe curve della vita  in cui ci si congeda da una fase.
Si arriva in un territorio di confine dove un ciclo si chiude e da lì può accaderti soltanto o di affondare nell'abitudine, nella  sopravvivenza, oppure ti può succedere di incontrare fatti, eventi, nuove curiosità  o persone che ti riaprono  tutti i canali attraverso cui il mondo, la realtà  ti nutre.
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Come avere un altro ossigeno che ti viene d'impeto a spalancare i polmoni. Un ritmo nuovo che
prende a scandire i tuoi giorni e a renderti i colori.
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Lui ora era a quell'incrocio. Ne sarebbe stato degno? Se lo domandava...
 
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Il suo voler vivere sul livello del cuore, spazzando via tutti i filtri che di solito edifichiamo per quieto vivere o per paura, era stata una scoperta graduale.
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E doveva vivere su quel livello, perchè era lì che abitava la sua disperazione. Solo in quello spazio poteva maneggiarla e perfino tornare a parlare con quel grumo di sè. 
Aveva preso casa  in quello spazio deliberatamente. .
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Così come aveva deciso che d'ora in poi, tutto nella sua vita sarebbe stato scelta. Responsabilità. Capacità di rispondere al meglio, per quel ch'era nelle sue possibilità... a ciò che i giorni gli avrebbero portato.
Da allora aveva preso a disertare ogni mondanità, ogni strada troppo facile, ogni rito sociale, non appena vi aveva fiutato sapore di artificiosìtà, di impostura, di convenzione.
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Da anni s'era liberato di tutto l'antico armamentario di compromessi,  quello che, da ragazzo gli era parso indispensabile per cominciare ad entrare nel mondo e nella vita.
 
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Si era sbagliato. Oggi lo ammetteva.
A quel tempo era come cieco e solo molto più tardi aveva intuito che prendi a vivere davvero, soltanto, quando i passi che fai
sono voluti, uno per uno. Cercati. Finchè il tuo percorso diviene la traccia visibile di ciò che sei. Come una seconda ombra. E proprio come ombra inseparabile da te.
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Tutto questo, stava dentro quella sua affermazione.
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Viveva nel cuore.
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Non era che la sua cifra.
Con tutto il rischio che ciò significa.
Con tutta la meraviglia e l'amaro  che te ne può venire.
Perchè quando
hai conosciuto il dolore, la perdita, afferri infine che qualcosa se ne è andato per sempre, strappandoti sì i tuoi vecchi occhi, ma in cambio della vista. Quella autentica.


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«Hai lavorato tanto? »
La domanda gli era sfuggita. Era imbarazzato di avergliela fatta. Ma era un modo per andarle incontro. Il più diretto. Anche il più semplice.
Non appena i loro sguardi si erano incontrati, lei per strada, lui nel bar, si era sentito vicino a lei. Come fratello e sorella. Da sempre.
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Rico non riuscì mai a spiegarmi quello che aveva provato. Quando parlava di lei, Mirjana, ripeteva: «Fratello e sorella, capisci?» Voleva dire, credo, al di là del vero  legame di sangue. Pensava a un altro legame. Quello che unisce fra rabbia e disperazione, gli essere umani rifiutati, gli esclusi. Io per lo meno l'ho vissuto così con lui, come padre e figlio, legati da sempre.
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Mirjana ridacchiò.
«Capirai! Due marchette in tutto il giorno. E un pompino in un parcheggio»
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Guardò la punta incandescente dello spinello.
«Preferisco quando mi faccio scopare tutto il giorno. Almneno non penso a niente e ci faccio i soldi»
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Rico la guardava con tenerezza. Il volto scavato da occhiaie quasi viola. Gli occhi come persi in fondo alle orbite, senza luce.  Gli sembrava più vecchia di quando l'aveva osservata  al bar.
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Più fragile. soltanto le labbra quando parlava , restituivano al suo volto la giovinezza. Ma era come involontario. Le sue labbra, a volte il suo sorriso, appartenevano a un mondo che i suoi occhi parevano aver lasciato per sempre.
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«Ti stai addormentano, tu!» disse sorridendo.
Gli occhi di Rico si chiudevano. Effetto congiunto della stanchezza, del caldo e dei Doliprane._
«Sì... mi farebbe bene dormire un po'»

«Ci arrangiamo, vedrai»
«Ho un sacco a pelo
» fece Rico tirandolo fuori dallo zaino.
Lo srotolò per terra.
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«Non dirmi che dormi così! Vieni qua».

Scivolò sotto le coperte e si strinse contro il muro.
«Spegni per favore. Anche il riscaldamento"
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Rico si infilò nel sacco a pelo e si sdraiò. Sperava che il sonno arrivasse in fretta. Anche separati dalle coperte e dal sacco a pelo, si sentiva piuttosto a disagio. Erano così tanti anni che non dormiva accanto ad una donna. Non aveva alcun desiderio di Mirjana, eppure non gli era del tutto indifferente._
«Tutto bene?»
«Benissimo»
Le loro voci risuonavano come venissero dall'aldilà. Da un altro mondo. Dalle tenebre. Dal freddo.
[...]
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Rico si raddrizzò sul materasso, come spinto da una molla, sudato e senza fiato. A tastoni cercò le sigarette che aveva posato accanto a sè. Si voltò su un fianco e ne accese una. Aspirò lentamente per non tossire. Dietro di lui Mirjana si muoveva.
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«Mi fai dare un tiro?" domandò.

«Non dormi? rispose lui porgendole la cicca»
«No, troppe cose in testa. Girano, girano e ho paura degli incubi»_
«Io ne faccio sempre. Uno dei miei amici, Titì, diceva che è la prova che si vuol vivere. Che si è ancora vivi».
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Mirjana fece una risatina.
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«Io sono già morta da tanto tempo. Da quando ho visto uccidere i miei genitori. E' quello che vedo. Sempre. Che li ammazzano. Solo quell'istante
»
Si voltò.
«Ma gli sparerò» disse.
«A chi?
»
«A quello che li ha assassinati. Era un amico. Frequentava casa nostra. Con sua moglie»
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Rico non capiva granchè di quello che raccontava Mirjana. Avrebbe voluto farle un'altra domanda, ma lei continuò a voce bassissima con un altro tono.

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«Ti ho sognato. Ho sognato che erravi come me nel buio. E poi ci siamo incontrati».__
«Che cosa dici?» domandò Rico, meravigliato da quello che aveva appena sentito.

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« Niente... E' in un libro. Un libro che ho letto tanto tempo fa. Mi sta tornando in mente, è strano. Dammi la mano».-
Rico spense la sigaretta, poi tese la mano verso di lei.


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Mirjana la prese e se la mise sul petto. Dalla parte del cuore.
Malgrado il tessuto spesso della tuta, Rico indovinò il rigonfiamento del seno. Aprì le dita per sentirlo meglio nella mano.


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«Sì». Mormorò lei. « Sapevo che ti avrei incontrato».
Le dita di Rico si aggrapparono al seno di Mirjana._
Sentiva battere il cuore di lei. Ogni battito gli rimbombava nel corpo, nella testa. Fino al cuore.
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Mirjana posò la mano su quella di Rico.
«Adesso possiamo dormire»
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tratto da "Il sole dei morenti" di Jean-claude Izzo
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Commenti

  1. A quell'incrocio occorre tanta forza, ma io credo che la domanda da farsi non è...ne sono degno?
    Io mi farei un'altra domanda " voglio vivere, o continuare a morire lentamente?!
    Perchè senza colori, senza sapori... non è vita...
    Bel post che ho sentito molto, letto e riletto
    Buon fine settimana
    Vilma

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    1. non ho dubbi : voglio vivere ma metterlo in pratica questo che è un desiderio non è nè semplice nè scontato. Ci proviamo però! ;-) un caro saluto
      Carlo

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  2. Occorre tanta forza, si. E lo stupore è che lei... incredibilmente arriva. Certo. Bisogna solo saperla riconoscere. Io, la incontrai una decina d'anni fa. Davanti ad un roseto morente. I giardinieri stavano estirpandolo, ma lui... tra steli e foglie rinsecchiti era riuscito a far sbocciare due piccoli boccioli. Erano proprio striminziti e bruttini, ma erano li, e volevano che li guardassi. Ed io, per fortuna ho posato gli occhi su di loro. E li ho "ascoltati". "Vedi? mi hanno detto, ciò che ora stai guardando è... la forza della vita." I colori della mia Vita sono ripartiti da quei due piccoli boccioli.
    Il roseto è ancora nel mio giardino.
    Grazie Klimt per questo post. Grazie davvero.
    Un caro saluto.
    Cri

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    Risposte
    1. il giardino... è una metafora importante.
      Imparare a coltivare noi stessi, e poi le persone amate e infine imparare a coltivare quello strano territorio che chiamano "amore universale"... con gli strumenti della cura, dell'attenzione, della meditazione, con tutte le armi che permettono di accrescere la nostra umanità, la nostra comprensione, la nostra compassione... Non si impara mai ma è già importante mettersi su quel cammino
      Per me, è questo, coltivare il "giardino"...

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  3. l'importante è imparare la grande lezione della vita e saper vedere con occhi nuovi l'ho capito tardi ma fortunatamente sin che riusciamo a farlo in questa vita è un piccolo traguardo che ci permette di cominciare ad amare...prima era solo illusione d'amore, surrogato d'amore, ego camuffato, d'ora in avanti conosciamo la parola per entrare nel dolore dell'altro che è stato il nostro..

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    Risposte
    1. "è un piccolo traguardo che ci permette di cominciare ad amare...prima era solo illusione d'amore, surrogato d'amore, ego camuffato, d'ora in avanti conosciamo la parola per entrare nel dolore dell'altro che è stato il nostro..."

      Le tue parole mi fanno sperare...

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  4. Grazie per queste belle pagine, per le immagini e per la musica.
    Un saluto
    Mara

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    Risposte
    1. Ciao Mara, è un bel pò che non passo a vedere le foto che pubblichi...

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  5. Risposte
    1. Buongiorno a te, Lavoratrice ! :-)) come la vedi la giornata di oggi? per me hanno scritto la parole fine sul PD
      Ho questa vaga impressione e tutto sommato non mi dispiace affatto !

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  6. Rensi non mi piace, ma sicuramente almeno e' giovane e quindi pensa per forza di cose in modo differente alle cariatidi. Se poi sia un bene o un male non so, ma cambiare si deve cambiare, meglio dell'immobilismo assoluto. E ora vado a godermi questa magnifica giornata di pioggia

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  7. Le foto sono molto belle. E' vero, sì, le svolte nella vita arrivano, non solo una volta, per fortuna. Arrivano e ti fanno ricordare qualcosa di amato e lasciato per paura, ad esempio. Non credo molto alle svolte che cambiano totalmente una persona, credo che ognuno di noi segua un percorso che ha in sé. Il bello, forse, sta proprio nell'arricchirlo, quel percorso, nel renderlo sempre più complesso e definito nel presente quanto aperto nel futuro.

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